Pandemia dei ludi


I mulini a vento e i Don Chisciotte esistono. I primi sono ovunque e i secondi li incontriamo tutti i giorni, a volte senza accorgercene. 

Chiariamo un punto: i “mulini a vento” non hanno le pale e non sono costruzioni indecifrabili, semmai sono meccanismi perversi che costringono all’intrattenimento senza vie d’uscita. Lo vedo da anni di militanza nel mondo della cultura perché, quando organizzo eventi e incontri, devo sempre considerare l’offerta che c’è in giro, questo non solo per l’enorme quantità di eventi dello stesso tipo organizzati da associazioni e circoli di varia natura, di solito frequentati da pochi seguaci (ma sai com’è, pochi di qua e pochi di là è già due volte tanto), ma anche dallo sport, soprattutto dal calcio che, se negli anni sessanta si concentrava solo nelle partite domenicali che si seguivano anche in spiaggia con una radiolina a transistor, oggi ha infestato il nostro vivere quotidiano.

Ecco quindi che se devo organizzare una presentazione o un “vernissage”, mi trovo nell’obbligo di verificare quali sono le partite in programma, trasmesse su molti canali, sia martedì che mercoledì che giovedì che sabato e, ovviamente, domenica. A volte anche nei due giorni superstiti, lunedì e venerdì. Ma se il lunedì, per attività culturali è sconsigliato in quanto il giorno più odiato dai lavoratori, il venerdì della bella stagione è sconsigliato perché c’è chi va via dal rumore cittadino e si gode un sano week end in campagna o al mare. Già, dopo una settimana di lavoro, e di partite, è giusto che sia così. Ma se le partite se le possono vedere anche nella casa dei fine settimana, l’evento culturale, beh, quello no. Si arrangino i promotori.

Tempo addietro, quando mi occupavo di cultura come secondo lavoro, non facevo caso a queste cose, ma quando una presentazione non era partecipata e mi chiedevo perché, scoprivo che c’era qualche partita importante che, magari al momento dell’organizzazione del cartellone, non era in programma. Certo, le eliminatorie, le classifiche e tutto il resto non possono dare una previsione anticipata di quello che succederà nei mesi successivi, ma tant’è. In Spagna sono costretto a seguire il calcio perché ho una figlia calciatrice, e quindi tra “copa del rey”, “liga”, “champions” e “supercopa”, ecco che le squadre più seguite sono sempre lì. Ma non è un’epidemia che riguarda solo la Spagna, semmai è una pandemia che coinvolge il mondo intero.

Il promotore di cultura si trova sempre a combattere con queste attività e quando il pubblico, dopo essere stato impegnato a seguire la squadra del cuore, ha un po’ di tempo, non è detto che parteciperà a un “vernissage”, a una “tertulia” o a una presentazione, anche perché, giustamente, i pochi giorni della settimana in cui non deve seguire le partite dovrà decidere se impegnare il suo tempo a cena con amici, al cinema o, semplicemente, con la famiglia. 

Ammettiamolo: siamo diventati fruitori passivi e consumatori compulsivi di sport. Ma non solo. Già, perché c’è l’appuntamento con le serie su Netflix, Sanremo, il Talent Show… tutta roba da non perdere, tutta roba che si spaccia per cultura. Certo, cultura del consumo, perché di questo si tratta: consumare il tempo libero. E se non basta, ci mettiamo anche la palestra, il corso di cucina e l’appuntamento con l’estetista, sane occupazioni indispensabili per vivere bene.

Ecco perché il promotore di cultura (quello vero) è un Don Chisciotte che, mettendoci passione, coraggio e giocandosi la reputazione (e mettiamoci pure tempo e risparmi), non ha spazio ed è costretto a trasformare i suoi incontri in un banchetto perché, questo sì, se c’è da mangiare e da bere, l’evento sarà partecipato.

Allora facciamo cultura con le mozzarelle? 

Non è evidente perché c’è chi ci ha già pensato e ci troviamo con un’offerta, anche interessante, in cui l’arte culinaria è condita con la cultura (purtroppo non il contrario) e molto spesso sono proposti eventi gastronomici con un pizzico di musica, di storia o di poesia. Spacciando questa proposta per cultura. Ma quale cultura? Di certo non si tratta di quella che si costruisce con la fatica degli artisti e degli intellettuali, specie se non allineati, che si barcamenano per tenere in vita il pensiero, semmai si tratta di quella in cui quattro amici parlano di qualche tema mentre si mangia senza che nessuno realmente si interessi al tema, oppure di raffinate degustazioni con in mezzo qualcuno che ci canta i successi degli anni settanta. Insalata con canzoni, mozzarella con la storia dei broccoletti, vino bianco con l’analisi delle mire di Trump e tiramisù con considerazioni postelettorali. Intendiamoci, va bene anche questo (del resto è sempre meglio stare in compagnia che neutralizzare il cervello davanti alla TV), ma dopo aver riempito la pancia, che ce ne facciamo del pensiero? Lo consumiamo con una bella siesta o con il rito della passeggiata, magari in compagnia di amici o di amanti, o lo elaboriamo fino a farlo nostro? 

La cultura non è un accessorio, semmai è un motore del pensiero, è un attivatore di neuroni, è una semina di idee (come, del resto, dice la parola), non è un condimento del banchetto né tantomeno è un abbellimento dell’evento. La cultura è nella vita e genera pensiero, alimenta sogni, ispira scelte. La cultura è alimento della mente, non un adorno strumentale. Restituiamole la persa dignità, diamole il rispetto che merita, riconosciamone il valore!

Questo sciabordio di offerta che umilia continuamente la cultura è sistematicamente voluto: popolando la nostra vita extra-lavorativa con mille cose da fare e poche cose da pensare si raggiunge l’abbrutimento delle masse, questo è strumentale alla gestione del “potere”. 

Il “panem et circenses” è ben apparecchiato!

Intanto, i vari Don Chisciotte, o presunti tali, combattono battaglie privi di armi, illudendosi di riuscire a “sfondare” se usano correttamente le reti sociali (alimentando ancor di più i server che frullano dati) o se nelle riunioni narcisistiche appare qualche critico che dice due parole (gonfiando l’ego dell’artista o dello scrittore) davanti a uno sparuto pubblico che si sente speciale perché stando lì è convinto di andare controcorrente. Salvo poi uscire da quell’evento e finire al ristorante a banchettare, o a casa a vedere un altro episodio della serie TV. 

E la battaglia è persa.

Claudio Fiorentini

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