L’arte come manifestazione di pensiero progressista

L’arte, in tutte le sue manifestazioni, rappresenta una rivoluzione. Se non dovesse farlo, allora non è arte. Per capirci, l’uomo può produrre arte in due modi diversi: il primo, quello dell’agire, il secondo, quello del reagire. Il primo fa qualcosa senza averne motivo apparente (l’artista ha carta bianca), il secondo è reazione ad un evento esterno (l’artista non lavora su commissione, questo è chiaro, ma ha un obiettivo: soddisfare delle specifiche). Il primo, senza movente, ha il dono della purezza. Il secondo ha un movente e rientra in una corrente predefinita. 

Ho già detto in passato che l’arte nasce fuori dalle mura ed ha carattere sovversivo, ora però vorrei concentrarmi sul fatto che l’arte ha in sé la manifestazione di un pensiero che ancora non c’è, quindi è quanto di più progressivo esiste.

Ma cominciamo da un presupposto: l’arte è inutile, ed è precisamente questa sua caratteristica la prima espressione di libertà creativa. Ma per essere inutile, lo deve essere fino in fondo. A cosa servono le sinfonie di Beethoven? A nulla, ma il loro ascolto ci rende migliori. E quando Beethoven le ha scritte, a cosa servivano? A meno di nulla perché ben pochi suoi contemporanei ne apprezzavano la grandezza. Se Beethoven avesse voluto compiacere il pubblico sarebbe stato un novello Haydn, ma lui fece altro, perché dentro gli ribolliva altro, perché sapeva che il futuro non si sarebbe fermato lì.

Oggi, che quella musica è un monumento della nostra cultura, noi ancora non riusciamo ad immaginare la ribellione, la forza del pensiero, la grandezza che scoppiava dentro quell’uomo che altro non ha fatto che seguirla. Questo vale per tutti i grandi artisti di ogni tempo. La domanda è, perché, potendo fare cose che piacevano al grande pubblico e sbarcare il lunario divertendosi, invece, i grandi, seguendo la voce che avevano dentro, hanno affrontato tutte le avversità che gli ha offerto la vita, a volte sono diventati pazzi, sono finiti in galera o nell’indigenza, solo per seguire quella voce, per essere fedeli a quel sogno. Perché?

Non ho una risposta, ma vi chiedo di tentare di immaginare il nostro presente senza quel passato. Provateci un attimo… Vi lascio rabbrividire. 

Se ieri i grandi artisti hanno dato voce all’inespresso che portavano dentro, oggi quell’inespresso non è più tale, ma fa parte del nostro patrimonio culturale. A noi è data l’opportunità di cogliere l’inespresso che esprimono i nostri contemporanei e capire come contribuirà a formare il patrimonio culturale di domani.

L’arte deve continuare a rappresentare l’inespresso perché, pur se archetipico, ha una voce che si trasforma con le trasformazioni dell’umanità, insomma, è cultura in movimento, è dinamica di pensiero. Già, perché la cultura altro non è che una “coltivazione” di idee, di sensazioni, di pensiero e di proiezioni, cioè un continuo proporre qualcosa che appartiene al nostro “dentro” e che sboccia in un fuori che diventa patrimonio comune, espressione di umanità, di crescita e di sviluppo. 

D’accordo, mi si dirà che è una fesseria, che bastano “i valori a cui dobbiamo ispirarci”, ma non è così perché oltre i valori c’è l’essenza dell’uomo, cioè quello che ci fa – permettetemi di esprimermi con simboli – “a immagine e somiglianza” di qualcosa che non conosceremo mai, ma che ci gorgoglia dentro, che nonostante si provi a manifestarlo, rimane sempre privo di forma e colmo di mistero.

Per alcuni sarà qualcosa di simile al Divino da cui vorremmo ispirarci, per altri sarà qualcosa di simile alla follia che ci vive dentro e che ci rende impietosamente vulnerabili all’impossibilità di esprimerla, perché, pur se se ne esprime una minima parte, rimarrà ancora un interminabile magma primordiale che preme da dentro per diventare altro là fuori. 

È il pensiero, e non finisce mai.

Quindi, diciamolo chiaramente: ogni dinamica creativa e artistica ha in sé il seme di un pensiero che ancora non è stato espresso, e traccia la direzione dello sviluppo dell’umanità!

Certo, il pensiero è rivoluzionario, e lo è ancora di più se viene coltivato e, alcuni diranno “Dio non voglia”, condiviso. 

Ma l’arte è una dinamica effimera, ed è anche inutile, controllarla per non farle generare pensiero è facile. E come? Semplice, le diamo una veste, tanto gli artisti sono dei farfalloni in cerca di visibilità… e comunque, e a scanso di equivoci, l’arte va controllata… Vediamo come:

1. Da sempre l’uomo ha bisogno di sentirsi parte di una comunità, per cui non è difficile incanalare l’estro creativo in mode, tendenze, suggerimenti dati dai “media” o dal sistema stesso, trasformandolo in dinamica controllabile. Due esempi: i concorsi a tema, specie se si tratta di temi sociali, raccolgono la creatività nella ripetizione dell’esistente; i bandi per presentare progetti esprimono linee guida specifiche e danno visibilità a chi le segue… come risultato abbiamo da una parte l’appagamento dell’ego, dall’altra il finanziamento a progetti di un certo tipo.  

2. La creazione artistica spesso viene riconosciuta di valore per intervento di voci critiche, insomma, se un intellettuale ne giustifica l’esistenza, quella è un’opera d’arte. Purtroppo sappiamo bene che esistono molti intellettuali allineati.

3. La distrazione di massa, il più diffuso dei passatempi, non favorisce la “coltivazione” del pensiero. Non occorrono altre spiegazioni.

Evidentemente, dovremmo interessarci all’opposto, ricordando sempre che l’arte è inutile, che se fosse utile avrebbe un obiettivo che non è il sogno, che non è rispondere alla voce interiore, quella che ti porta a fare ciò che non è stato fatto. 

L’arte non può e non deve adattarsi alle necessità del momento, almeno a quelle tangibili, perché l’arte vive di dinamiche intangibili. 

L’arte che non si adatta porta con sé un dono: apre le porte della percezione e, nell’arte contemporanea, è una percezione nuova che, proprio per questo, attiva i neuroni trasformandosi in sensazioni che generano pensiero e, conseguentemente, influisce sulle nostre azioni. L’arte non si spiega, si sente. 

Quando si sente, qualcosa succede nel fruitore perché si sollecitano le parti più intime dell’essere, si risveglia la percezione del gorgoglio che portiamo dentro, si indirizza la percezione verso ciò che non si conosce e, quindi, si risveglia lo stupore, si esplora il dubbio, si pensa in modo diverso. Il fruitore non è indifferente allo spettacolo dell’arte, sente dentro di sé che esiste la possibilità di andare verso un oltre che prima non percepiva. 

Ma veniamo a un punto: l’arte può essere conservatrice o progressista? Sì. La prima non propone nulla di veramente nuovo, non esplora, ripete e a volte anche molto bene, perfeziona l’esistente. La seconda esplora, sperimenta, propone, disubbidisce e, nel farlo, pianta un seme nella parte più profonda dell’essere. Da questo seme nesce qualcosa di nuovo, ma proprio per essere nuovo, ha la virtù di destabilizzare, cambiare gli equilibri, portare a vedere le cose in modo diverso, sentire in modo diverso, pensare in modo diverso.

Un’opera d’arte deve creare un vuoto al quale si reagisce con stupore che, poi, si trasforma in idee e si sviluppa in pensiero. L’arte è sintesi dell’inesprimibile, proprio per questo la si può definire come un anticipo dell’evoluzione dell’uomo. L’arte non è seguire la corrente, l’arte è la corrente! 

Per questo l’arte è azione rivoluzionaria. Ascoltarla, leggerla o contemplarla arricchisce il pensiero; ignorarla o, peggio, tentare di neutralizzarla, è quello che il “sistema” tenta di fare con i soliti metodi, ai quali ormai siamo tutti assuefatti. 

Per questo, oggi più che mai, l’arte deve vivere nella sua più spavalda libertà e fregarsene di censure e insuccessi. Ci basti ricordare che Dante ha scritto la Divina Commedia quando chi sapeva leggere si contava sulle dita di una mano, Beethoven ha scritto la sua musica (sordo) ben sapendo che non sarebbe piaciuta e Cervantes ha scritto il Don Chisciotte in galera, monco, a lume di candela e senza committenti. Nessuno di loro rispondeva a bandi o partecipava a concorsi a tema. 

E ancora oggi le loro opere sono seme di pensiero.

Concludo: le dinamiche di fruizione dell’arte sono rivelatrici delle dinamiche evolutive dell’umanità. Qualunque sia la strada che indica il “sistema” esisterà sempre una via alternativa, espressa dall’arte. Attraverso le dinamiche sviluppate dall’arte contemporanea, se libera, si può capire quale sia la codifica che genera il pensiero futuro. Spetta a noi renderlo migliore di quello di oggi.

Claudio Fiorentini


Nota: i temi di questo articolo, e temi attinenti, verranno approfonditi in un ciclo di conferenze e dibattiti presso la galleria Captaloona Art di Madrid a partire da metà settembre. Per informazioni consultare il sito captaloona.com, o contattare direttamente la galleria a [email protected]

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