Negli ultimi anni abbiamo assistito a un fenomeno, decretato dall’invadenza delle reti sociali, che stigmatizza la faciloneria con la quale il pubblico (per non dire le masse) dà più credito a un proclama di dubbia provenienza che a una ricerca scientifica. Non è una novità che la pigrizia mentale affossi ogni stimolo di approfondimento, se non di apprendimento, ma l’arroganza con cui la menzogna si impone la fa da padrona in molti dibattiti e in molte miserrime “chat” che si vedono in rete.
Tempo addietro ho partecipato ad alcune chiacchiere sulla nocività delle frequenze del 5G, con allegate fotografie di ipotetiche morie di uccelli e di disastrosi tagli di alberi. Tutto falso. Si usavano foto di archivio, derivanti da chissà quale notizia di dubbia veridicità, e le si collegavano con assurde diagnosi di scienziati da tastiera che argomentavano, in modo del tutto superficiale, su temi di cui gli autori dei “post” non sapevano assolutamente nulla.
Certo, io ho una formazione ingegneristica e esperienza nel settore, il che mi facilitava smontare quegli argomenti, ma anche per chi non avesse avuto nozioni di radiopropagazione la menzogna era facilmente smascherabile, bastava fare qualche piccola e minima ricerca in rete per ritrovare le foto di archivio e smentire la “notizia”.
Ricordo anche che molti di questi “scienziati” citavano grandi nomi per dare alle loro “teorie” una parvenza di credibilità. Un esempio è Steiner, di cui spolveravano idee di oltre cento anni fa, poi superate e smentite dagli studi e dalle ricerche che, ricordiamolo, non si sono fermate all’inizio del novecento e sono andate avanti seguendo il metodo scientifico, sicuramente l’eredità più grande che ci ha lasciato Galileo Galilei.
Come è stato per il 5G, è stato anche per la pandemia, e opinioni squinternate di qualche “star” della rete, ampiamente smentite da ricerche scientifiche, sono diventate baluardo degli “esperti” del “click”.
Insomma, la scienza è diventata il demonio e la verità assoluta è stata trovata nei vangeli di Facebook.
Il disastro di questa disinformazione ha portato molte persone, impreparate sui vari temi oggetto di dibattito, a confutare ricerche che si sono condotte per anni, risultato di fatica e di studio da parte della comunità scientifica che, va detto, è assai più democratica della presunzione degli evangelizzatori del “social”, dando più importanza alla falsa informazione che al risultato degli studi condotti da scienziati, gente che ha consumato, e ancora consuma, la vita sui libri e nei laboratori di ricerca.
Molti pseudo-scienziati hanno vaticinato in rete ottenendo un seguito incredibile. I “navigatori” frettolosi hanno sposato slogan senza leggere neanche un solo libro sul tema dello slogan stesso, hanno sostenuto video pirata sulle reti sociali e, invece di documentarsi leggendo anche un solo articolo scientifico (che tra l’altro spesso si trova nella stessa rete dove impera lo slogan), hanno divulgato la verità assoluta dell’incompetenza.
L’onda è stata quasi uno tsunami e milioni di persone, in rete, si sono scatenate contro il mondo della scienza, si sono messe ad evangelizzare gli altri, arrivando a considerare nemico chiunque volesse argomentare sul tema con un briciolo di sensatezza. Gli scienziati sono stati insultati, sono stati presi di mira, sono stati trasformati nel “demonio” che ci vuole controllare perché la verità, ormai è chiaro a tutti, è in mano a chi condivide uno slogan in rete e non nelle mani di chi studia giorno e notte.
Un mondo così incattivito, arrogante e presuntuoso non lo avrebbe immaginato neanche Orwell, che è pure è stato il visionario autore di “1984” prevedendo l’occhio del “grande fratello” (che poi è ben incarnato proprio dalle reti sociali).
Eppure, quando ero bambino, neanche tanti anni fa, ben ricordo che bastava che qualcuno fosse un ragioniere affinché avesse il rispetto del vicinato. Certo, l’ignoranza e l’analfabetismo negli anni sessanta creavano un contesto assai diverso da oggi, ma l’umiltà non mancava e chi aveva studiato meritava rispetto.
Da quegli anni ad oggi l’alfabetizzazione e l’innalzamento del livello di scolarizzazione ci hanno cambiato profondamente, la nostra società è diventata più istruita e più sana, a volte è diventata anche salutista (comunque “brandizzata”). Oggi andiamo in palestra, abbiamo tempo libero, viaggiamo, andiamo dall’estetista, i nostri figli vanno all’università e hanno automobili e smartphone fantascientifici, usano il computer con la stessa facilità con cui negli anni sessanta disegnavamo su un pezzo di carta e tutti, proprio tutti abbiamo accesso a informazioni a cui solo cinquant’anni fa non avremmo mai sognato di accedere (e lo sprechiamo).
Ma allora, cosa è andato male? Cosa ha determinato che la capacità critica, invece di svilupparsi insieme alla nostra capacità di acquisire informazioni, si atrofizzasse? Un fatto sembra emergere da questo fenomeno: la capacità critica è stata sostituita dall’arroganza. Già, perché la critica, non dimentichiamolo, è una “Facoltà intellettuale che rende capaci di esaminare e valutare gli uomini nel loro operato e il risultato o i risultati della loro attività per scegliere, selezionare, distinguere il vero dal falso, il certo dal probabile, il bello dal meno bello o dal brutto, il buono dal cattivo o dal meno buono, ecc.” (cit: treccani), e per avere questa capacità non basta leggere un post su Facebook, i dati non si possono valutare superficialmente e la verità non si trova in una citazione estrapolata da un discorso complesso; per avere la capacità critica occorre studiare o almeno informarsi su fonti attendibili, il che implica un ritorno all’umiltà di socratica memoria che insegna il “so di non sapere” e che ci indica la strada per imparare. Altrimenti il pensiero si articola in sterile polemica, e questo, lo vediamo, non fa bene a nessuno.
Claudio Fiorentini