Agiamo o siamo agiti?

Inizierei con una domanda: siamo noi a fare la società, come crediamo, oppure è la società a farci come siamo? Facciamo qualche esempio pratico: Coca Cola, Mc Donalds, Nike, Starbucks, D&G… e tanti altri marchi, cosa sono? Solo 50 anni fa, la maggior parte di questi marchi non si conosceva, i cittadini non si curavano del coccodrillo sulla maglietta o della scritta sulle mutande.

Cosa è successo in questo mezzo secolo? È passato il testimone dai genitori che avevano come unica preoccupazione far studiare i figli, ai raffinati figli, tutti titolati e ben vestiti, poi diventati a loro volta genitori, la cui maggior preoccupazione è dare oggetti ai loro figli, che poi sono diventati oggetti che mettono ben in risalto la “griffe”, quindi siamo passati da essere aspiranti consumatori a consumatori compulsivi, solo che prima sapevamo di essere “aspiranti” e oggi non ci rendiamo conto di essere “compulsivi”.

Per crescere e svilupparsi, il consumo (la materia prima del capitalismo) ha bisogno di noi, per questo fagocita le nostre idee e neutralizza i nostri ideali proponendoci oggetti da sogno, raggiungibili con un po’ d’impegno e a volte molti debiti, miti nuovi che ci fanno sopportare obbrobri passandoli per moda.

E qui occorre tornare alla domanda: è l’uomo che fa la società o è la società che fa l’uomo? Secondo me abbiamo avuto la nostra opportunità di fare la società quando, negli anni Sessanta, parallelamente al boom economico e al meraviglioso fenomeno dell’alfabetizzazione e della scolarizzazione, si sviluppavano una nuova società, un nuovo pensiero e un nuovo movimento.

A quanto sembra quest’opportunità l’abbiamo sciupata. O forse l’intelligenza del capitalismo ha saputo cavalcare la tigre. Se così non fosse stato, oggi, invece di pensare alle mode, animeremmo un pensiero alternativo al pensiero dominante e saremmo motore di un cambiamento continuo e sostanziale del modo di vivere, creeremmo dinamiche alternative al capitalismo spietato in cui siamo immersi, creeremmo nuovi paradigmi e, con orgoglio, potremmo dire “è l’uomo che fa la società”.

Invece, per “libera” scelta, agiamo come un gregge, lobotomizzati dalla necessità di consumare sempre di più, dando vita al fenomeno della società “brandizzata”, vittima e artefice di un sistema che ci domina e che impedisce al pensiero di nascere. La stessa nostra lingua si sta deteriorando a favore di una “brandizzazione”, ma questo non è nuovo, si era già capito molti anni fa, basti ricordare Sordi che faceva l’americano, caricatura divertentissima, ma allo stesso tempo atroce ritratto di un pecorismo che ci affligge e ci trasforma in meccanismi di una subdola dittatura che dice: vince chi ha qualcosa da mettere in mostra, vince il codice “smart”, vince l’atteggiamento “cool”, vince il “brand”.

Insomma, il sistema ha vinto? Forse, ma forse qualcosa da salvare ancora c’è. Certo se parlassimo di dittature, dove i popoli sono guidati e controllati sapendo di esserlo, di teocrazie, dove i popoli sono agiti, controllati e guidati per volontà di Dio, il dominio del sistema sarebbe più che evidente, ma lì esiste la repressione, e questo non ci appartiene. Almeno apparentemente. Oggi, infatti, anche nelle democrazie, i popoli sono agiti credendo di agire, perché i popoli sono masse informi da controllare per qualche scopo specifico, e il controllo avviene con la creazione di modelli da imitare, falsi miti (o veri miti), comunque enti estranei a cui vogliamo somigliare.

In conclusione, che sia attraverso l’inganno, la censura o la fede, il controllo dei popoli è sempre nelle mani di pochissima gente di potere che sa creare modelli. Se dovessimo rappresentare la società con una metafora, il teatro dei burattini viene al caso nostro: il pubblico sarebbe costituito dalle masse, i burattini sarebbero i miti (o i falsi miti) e i burattinai rimangono nascosti. Ma a noi, che siamo parte dei popoli, ancora resta la capacità di produrre pensiero: teniamocela stretta e non disperdiamola, anzi, alleniamola e condividiamola affinché il pensiero crei nuove dinamiche in cui potremo agire invece di essere agiti.

Claudio Fiorentini