Il valore di un “buongiorno”


Preso dai miei pensieri, l’altra mattina, mentre spazzavo il marciapiedi davanti alla galleria, mi ha colto il buongiorno del vicino. È stato un buongiorno come tanti, privo di slanci e relativamente banale, ma è stato un augurio pulito, positivo e sincero. In quel momento mi sono reso conto che quell’attimo in cui ho alzato lo sguardo per rispondere con un sorriso, anch’esso banale e privo di slanci, ma sincero, qualcosa è cambiato in me. È bastato quell’attimo, infatti, per distogliermi dai miei pensieri e guardare non più la spazzatura che ramazzavo, ma il volto del vicino e vivere quell’istante di comunicazione, sentirmi invadere dalla simpatia e tenere lo sguardo su, incrociando altri sguardi e cogliendo movimenti ed espressioni dei passanti. In altre parole, ho visto la vita sopra la spazzatura che, poi, ho comunque continuato a ramazzare. 

Si può dire che basta un “buongiorno”, anche il più umile, per iniziare bene la giornata? Forse sì, ma credo che la questione sia più profonda. Infatti, il momento del saluto ha un valore inestimabile perché, non è solo uno scambio di sguardi e di una o due parole dette al volo, ma un cambio di ritmo, un’emersione dal turbine di pensieri, un invito a volgere lo sguardo altrove. 

Diciamo anche che, quando siamo immersi nei nostri pensieri, senza rendercene conto, siamo immersi nel disordine. 

I pensieri non sono ordinati e a volte rappresentano un ritmo ostinato di parole non dette o di cose non fatte, di rimpianti e di beghe inutili, come la spazzatura che si accumula a colpi di ramazza. Il “buongiorno”, invece, si erge come un germoglio, sorge dalla terra, polarizza il nostro pensiero in un attimo che si materializza come se fosse un fiore. Il “buongiorno” si innalza dal disordine creando un ordine nuovo, pulito, rigenerante e terapeutico per cui il pensiero disordinato si immobilizza e, sebbene poi torni a turbinare nella sua inutilità, viene interrotto da un gesto nobile.

Il mio vicino, diciamolo, mi è simpatico e non è detto che un “buongiorno” venuto da chi mi è antipatico avrebbe avuto lo stesso effetto, ma non si può negare che un gesto così semplice, da chiunque venga, ci riconcilia con le angherie della vita e, per quell’attimo, non le vediamo come tali. Un attimo in una vita conta poco, ma è pur sempre un pezzo di vita.

Immaginiamo, ora, che il “buongiorno” non sia un evento straordinario, che lo si dica a tutti quelli che incontriamo. Non sarebbe un tonico per l’umore, un tocco di colore nel grigiore dell’esistenza umana?

Ricordo la scena finale del film di De Sica Miracolo a Milano, che conclude con un volo verso un mondo dove “buongiorno” vuol dire “buongiorno”. Forse sottovalutiamo la grandezza di quel film, che prende a schiaffi la nostra indifferenza e il nostro voler vivere protetti da tutto e da tutti. Ricordo bene anche la scena in cui una comparsa risponde al “buongiorno” del giovane che esce dall’orfanotrofio con un “ma che vuol dire buongiorno?”, come se l’augurio celasse un’intrusione nel mugugno che tanto ci piace. 

Nel nostro vivere quotidiano siamo abituati alla diffidenza e al sospetto, disvalori che non aiutano la convivenza, eppure quando subentra qualche gesto abitudinario (come incontrare il vicino tutte le mattine) si varca la soglia della fiducia, si entra in contatto, seppur brevemente o superficialmente, con la meraviglia della comunicazione: ci si saluta! 

Quando camminate per un sentiero di montagna e incrociate qualcuno, come vi sentite se quel qualcuno vi saluta? Sentite che ha invaso la vostra intimità perché ha interrotto il flusso dei vostri pensieri, oppure rispondete al saluto con un sorriso? Probabilmente rispondete, eppure si tratta di persone che non avete mai visto e forse non vedrete mai più. Si sa, è cosa consueta che in una condizione rilassata, come la passeggiata in un bosco o in mezzo alla natura, il viandante che incrociamo ci saluti. Non serve a niente, certo, ma un attimo in cui due sguardi si incrociano e si augurano qualcosa di buono, non rende la nostra vita degna di essere vissuta? Ora immaginiamo che passeggiando su una strada di città si faccia la stessa cosa. No, non è consuetudine, bisogna conoscersi prima. Ma come si fa a conoscersi se prima non ci si saluta con un semplice, sano e autentico “buongiorno”? Ah, no, a parte il mugugno, oggi siamo tutti attaccati al telefonino (chiamarlo così è un po’ ridicolo), chatta di qua e chatta di là, guardarsi negli occhi è una perdita di tempo.

Dirsi “buongiorno” è un gesto rivoluzionario, sarebbe bello che invece di subire chini sui nostri guai l’orrore delle notizie e delle disgrazie del mondo sollevassimo lo sguardo e ce lo dicessimo più spesso, perché dire “buongiorno” fa bene all’anima.   

Claudio Fiorentini

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