“Fatti non foste” e il lato grottesco dell’informazione

Nella narrazione della realtà, il giornalismo ha grandi responsabilità. Certo, a differenza della prosa o della poesia, il giornalismo è una disciplina effimera, ha carattere di impermanenza perché le notizie vivono il tempo in cui le si legge ma, non dimentichiamolo mai, rimangono per sempre negli archivi e diventano documentazione della storia.

Questo un po’ mi angoscia perché se tra qualche centinaio di anni uno studioso consultasse gli archivi delle notizie che girano oggi in Italia, si chiederebbe dov’era il rapporto dei giornalisti con la storia o, più semplicemente, con la realtà dei “fatti”.

Ebbene, oggi, chiunque cerchi di informarsi, specie se lo fa “online”, troverà titoli esaltanti (con accesso alle notizie riservato agli abbonati, per cui, non potendosi abbonare a tutte le testate, si limiterà ai titoli, gli approfondimenti sono roba da “talk show”) che parlano di grandi fesserie, per cui ci si trova immersi in un mare di informazioni per dementi o per “voyeur”, cioè per guardoni. Già, perché si tratta di titoli stigmatizzanti minuzie che possono dar scandalo e, se li leggiamo con attenzione senza però prenderli per notizia, troveremo che hanno la veste del pettegolezzo (ho usato un termine arcaico perché in italiano contemporaneo ormai si dice “gossip”…).

Credo che questa deriva, nella narrazione dei fatti, sia conseguenza dell’avvento delle TV private, quelle che hanno portato alla ribalta le semplificazioni e la volgarità perché, si sa, il “popolo” non vuole perder tempo con approfondimenti noiosi e ancor meno con quisquilie culturali o tecnicismi per esperti (il “popolo” non vuole essere educato, vuole essere guidato). Meglio l’intrattenimento puro e duro, quello che porta il nulla nelle nostre case, invade le nostre menti e inquina il nostro pensiero, e che evolve attraverso gli orizzonti della rete riducendosi a un messaggio in “chat”.

Diciamo che al sistema dell’informazione, ormai arcaico, non manca l’informazione, semmai è mancata la sensibilità necessaria per capire dove va il mondo e, dovendo inseguire la tecnologia che evolve a velocità quasi spaziali, non ha trovato un metodo efficace che, invece, addomesticasse questa tecnologia, e si è ridotto alle semplificazioni (le soluzioni più facili) che, ahimè, non aiutano ad argomentare il benché minimo pensiero, ma portano “click”.

Inseguire, questo è il problema. La caccia al “click” porta in dote il continuo inseguimento perché il “click” è veloce e non pensa, appena arriva scappa e il pensiero non si trattiene su quel “click” perché subito si rivolge al “click” successivo.

Il “click” ha la durata di un “click”

In questa continua corsa, per attrarre l’attenzione del fruitore, è necessario proporre il titolo che “tira”. Mi torna in mente un esperimento fatto da un ottimo giornalista, di cui non ricordo il nome, che sotto a un titolo di puro “gossip” (ma sì, bando ai termini arcaici, parliamo “italiano” moderno), sviluppava un’analisi, assai ben strutturata, della situazione economica di quel momento. E poi concludeva più o meno così: “…se siete arrivati fin qui avete letto un articolo di economia, ma se non fosse stato per il titolo probabilmente non avreste neanche considerato di leggerlo”.

Una trovata ironica e geniale, per cui il lettore, che si aspettava di leggere dettagli sulla vita sessuale di una parlamentare, si trovava invece immerso in un ragionamento raffinato, in cui si sviluppavano anche molti dettagli tecnici, dicendo anche, in modo neanche tanto velato, che il titolone “gossipparo” è l’esca migliore per un “popolo” di guardoni. Insomma, una meravigliosa presa per i fondelli al sistema dell’informazione da cui, però, il sistema dell’informazione non ha saputo trarre nessun insegnamento.

Tornando alla narrazione dei “fatti”, sempre tenendo presente la distinzione tra cronista e analista, vorrei mettere l’accento sul giornalismo che si occupa di “politica”, termine che metto tra virgolette perché ciò che vediamo oggi è la “gossippazione” del racconto, la riduzione della vita politica ai “fattarelli” che neanche in una riunione di condominio sarebbero messi all’ordine del giorno. In altre parole, i “fatti” narrati non sono relativi a programmi o idee, o alla loro attuazione, ma sono prevalentemente piccolezze che aprono la porta dei retroscena e che sono ben lontani dall’essere edificanti.

Ma i titolisti sono a caccia di “click”, i “retroscenisti” sono pronti all’azione e i protagonisti dell’informazione invece di dire “il tuo programma prevede tale o quale cosa e io da ora ti faccio le pulci per vedere se sai lavorare e se sai tener fede alle tue promesse” oppure “il risultato del voto vuole che tu sia alla cabina di guida, vediamo come stai lavorando e se stai facendo il bene del Paese” o anche “il futuro del Paese è tracciato da queste linee (ben sappiamo quali sono, basta consultare il sito della UE), seguirò ogni tuo passo per vedere se saprai portarci verso questo futuro” in ogni singolo momento dell’azione politica dei nostri strapagati rappresentanti, si soffermano su dettagli di poco conto…

E se i politici sono protagonisti di scenate grottesche, noi non dovremmo parlarne oltre il dovuto, semmai dovremmo dimostrare che siamo migliori delle loro piccolezze e dire “Pelandroni che non siete altro: invece di rendervi ridicoli lavorate!”. Va da sé che debbano lavorare bene.

Claudio Fiorentini

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