Tempo addietro ho pubblicato un articolo che parlava del progetto NOOR, derivato dal progetto Archimede, voluto da Carlo Rubbia quando era direttore dell’ENEA. Quel progetto, che all’epoca non ebbe i fondi necessari per la miopia dell’allora ministro Scajola e, ovviamente di Berlusconi, portò Rubbia alle dimissioni. Lo stesso progetto è passato per varie fasi, tra cui, credo, il Desertec, e ora è una realtà impressionante che produce energia per milioni di famiglie sfruttando la luce solare in zone desertiche. L’Italia, purtroppo, è fuori.
Ora, però, il capitolo è un altro: la tanto osteggiata auto elettrica, a che punto siamo?
I dati riportati in rete sulle nuove immatricolazioni di automobili sono rivelatori di una realtà grottesca: in Italia, delle nuove automobili immatricolate, solo il 3% è elettrico. In Norvegia, paese produttore di petrolio, sono arrivati al 90%. Questi sono gli estremi, poi ci sono le sfumature con la Germania al 30% o giù di lì, la Francia al 19% e la Spagna al 13%.
Certo, chi, come me, vive a Madrid, sa benissimo che la rete di ricarica è efficiente e abbastanza capillare, ma non solo: le aree di sosta per la ricarica sono regolamentate e, guarda un po’, ci si parcheggia solo per ricaricare il veicolo. Non parliamo dell’Italia, o più specificamente di città come Roma dove la doppia o la tripla fila sono la norma, perché ci sarebbe da vergognarsi.
È tuttavia interessante rilevare che, le colonnine, sono certificate e l’energia lì erogata, viene da fonti rinnovabili. Almeno un dato positivo. Non solo, la rete è stata adeguata e Terna riporta valori confortanti, cioè, il 43% dell’energia erogata viene da rinnovabili, cosa che solo dieci anni fa era un miraggio. In Spagna si è arrivati al 60% e in Norvegia che, ripeto, è produttore di petrolio, sono arrivati al 98% (sic!), con buona pace di chi parla di complotti per rovinare il povero cittadino.
Quindi la riconversione “green” non è una patacca elettorale, ma una realtà.
Ora veniamo alla mobilità, chiarendo che non riguarda solo le automobili: Airbus sta sperimentando aerei alimentati ad idrogeno che dovrebbero entrare in servizio entro il 2035, alcune navi elettriche sono già in servizio e i treni, almeno in Europa, sono quasi tutti elettrici.
Per l’autotrasporto, invece, occorrono altre riflessioni. Credo che sia in atto una guerra commerciale iniziata da Tesla che, avendo scelto di produrre più di quanto si potesse vendere, aggredisce il mercato con prezzi assai competitivi e mette sotto scacco i produttori europei che, in alcuni casi, hanno sospeso la produzione. Credo si tratti di una banale questione di scarsa competitività.
Ma quali sono i vantaggi dell’auto elettrica? Possono i prezzi alti, a parte quelli di Tesla che, ripeto, sono frutto di una politica aggressiva e visionaria di un folle tanto geniale quanto pericoloso, giustificarne l’acquisto?
Il prezzo d’acquisto è alto, ma scenderà. L’utilizzo, comunque, consente tanti di quei risparmi che, a fronte di un certo numero di Km annui, anche l’acquisto si giustifica. Però il sistema di mobilità sta vivendo una fase di trasformazione tale per cui diventa sempre più conveniente il noleggio a lungo termine. Inoltre, in molti casi, dato che l’uso medio che si fa dell’automobile è di qualche mezz’ora al giorno, a molti conviene, più che possedere un bene che si svaluta anche stando fermo (senza contare i rischi di danni, atti vandalici, grandinate eccetera), rivolgersi alle società di noleggio al minuto, cioè, ricorrere alla mobilità condivisa. La shared economy avanza e non giustifica l’acquisto di un mezzo di trasporto se l’uso che se ne fa è limitato. Semplice.
Oltre alla questione puramente monetaria, però, dovremmo parlare dei vantaggi tecnici o del danno ambientale che, a dire di alcuni male informati, è pari a quello della mobilità tradizionale. Ebbene, non è vero. Primo perché, come ho scritto all’inizio di questo articolo, l’energia prodotta da fonti rinnovabili ha ormai raggiunto percentuali ragguardevoli quasi ovunque; secondo perché le batterie, pur se la materia prima viene estratta con metodi devastanti, a fine vita sono smaltite recuperando i materiali nobili, cioè, sono riciclabili in altissime percentuali; terzo perché i motori elettrici hanno un’efficienza del 95% (i motori a scoppio vanno dal 30 al 40 %), utilizzano meno parti meccaniche che non nuotano nell’olio bollente (altro problema per i motori a scoppio e per l’ambiente) e non hanno bisogno di radiatori e manicotti con liquido di raffreddamento, né di marmitte catalitiche di difficile smaltimento.
Un altro problema per l’ambiente, però, è evidente: per estrarre il litio per le batterie o le terre rare per i magneti, si devastano territori e si usano fiumi di acqua. Però le batterie si fanno una volta sola e durano almeno 100,000 km (alcune fonti dicono che possono durare molto di più) e i motori elettrici non sono soggetti al logoramento dei motori a scoppio, del resto sono rotori che si muovono in un campo magnetico, senza sfregamenti e senza esplosioni. Pensate a quanti km possono macinare i treni senza dover cambiare motore. Inoltre è tutto riciclabile in altissime percentuali.
L’elettricità viaggia su elettrodotti, non su petroliere. E già, perché non va dimenticato che il petrolio va estratto, trasportato, raffinato, ritrasportato e versato nei serbatoi del benzinaio che a volte è sottocasa. Tutto per un prodotto che viene bruciato e non si ricicla, semplicemente diventa, cito i dati di un esperto: “… 200 grammi di co2 per chilometro e 600 grammi di diossido d’azoto… per non parlare dell’olio motore e degli altri consumabili che diventano un grosso problema” e aggiunge, sui danni per l’ambiente “…sono 250 volte superiori alla sola costruzione di una batteria, il cui carico ambientale si esaurisce qui.”
Infine, esistono altri due temi di cui non abbiamo parlato: da dove vengono le batterie e che cosa si può dire dell’idrogeno. Non ho competenze specifiche, ma è evidente che l’idrogeno è ancora lontano da venire per problemi di distribuzione, stoccaggio e costi di produzione, ma verrà. L’elettrico, invece, è ormai maturo. Vale la pena segnalare, per concludere questa mia disanima, che in Europa esistono diverse “gigafactories” per produrre batterie ricaricabili, tra i paesi più attivi abbiamo la Spagna, ciò riduce la dipendenza dai produttori cinesi. Sempre la Spagna è tra i leader per la futura produzione di “idrogeno green”. L’Italia, come sempre, è al palo.
Claudio Fiorentini