Il tema della transizione energetica è di vitale importanza per la sopravvivenza non solo dell’Europa, ma di tutto il pianeta. Non si può negare, però, che qualsiasi transizione implichi cambi di paradigma che possono risultare in politiche a volte impopolari e, soprattutto, che rischiano di non essere capite dai cittadini. È il caso dello sviluppo delle automobili elettriche, cosa che non piace a chi giova della dipendenza dal petrolio, ma anche a chi, come alcuni politici, ritiene che i problemi dell’ambiente, come il cambio climatico, siano delle falsità. È facile per loro cavalcare onde populiste e trovare terra fertile nelle reti sociali. Con l’arrivo di Trump aspettiamoci anche di peggio perché non saranno più solo le reti, spesso manifestazione di un viscido e occulto potere, ma il potere vero, quello che tira le redini dell’economia mondiale, a contrapporsi a un cammino tanto difficile quanto virtuoso.
Utile, per questa riflessione, è analizzare la situazione della produzione di energia in Europa e nel mondo. Non intendo fare uno studio dettagliato, semplicemente condividere qualche linea di informazione che non sempre è di facile accesso.
L’energia può essere prodotta bruciando combustibili come carbone, petrolio, gas naturale e biomasse, o sfruttando vento, sole e correnti marine. O nucleare. I combustibili più inquinanti sono il carbone e il petrolio. È però importante sapere che le centrali a carbone sono state quasi tutte dismesse, almeno in Europa, a favore delle fonti rinnovabili che hanno la virtù di non bruciare nulla. Bruciare, questa parola è importante, equivale a distruggere quello che si butta nel fuoco, producendo fumi e danneggiando l’atmosfera.
Inoltre, se parliamo di bruciare un combustibile, è opportuno notare che petrolio e gas si comprano ai paesi produttori, mentre le biomasse sono spazzatura e scarti di lavorazioni agricole. Roba che comunque da qualche parte si deve buttare e, in ogni caso, sempre meno inquinante del petrolio. Su questo tema c’è da chiedersi: quella roba è meglio buttarla in discarica, rovinando il territorio, o trasformarla in combustibile?
Ad oggi la seconda alternativa è la migliore in quanto le centrali che bruciano biomasse possono recuperare i fumi in modo abbastanza efficiente, con impatto ambientale comunque ridotto, anche perché quelle biomasse da qualche parte dovresti pur sempre buttarle.
Il fabbisogno di energia, però, è in costante aumento e se, oltre alla chiusura delle centrali a carbone, le crisi internazionali ci hanno portato a chiudere rubinetti di gas e simili, produrla diventa una sfida enorme.
In Europa questa sfida si sta affrontando con un ragionevole pragmatismo, resta da vedere se si si riuscirà. Inoltre, si stanno implementando leggi volte a proteggere l’ambiente. Si può dire che altri non fanno la stessa cosa, ma a che serve? Forse a dire “facciamo come gli altri”? Io non ci sto e da cittadino europeo esigo che l’Europa sia portatrice di ragionevolezza e serva da esempio a chi, invece, coi problemi dell’ambiente ci si pulisce il deretano.
Però non facciamoci illusioni: tra poco l’ambiente sarà l’ultimo dei problemi per la più grande “democrazia” del mondo e molti paesi si accoderanno a questa nuova anarchia (tra l’altro in qualche modo profetizzata nel film Don’t look up). Ma noi non dobbiamo accodarci a certe politiche perché, pur se “drill and frack” avranno un impatto significativo sull’economia americana, l’Europa deve continuare per la sua strada che non solo la rende relativamente indipendente da gas e petrolio ma che, a lungo termine, probabilmente si rivelerà virtuosa e visionaria.
La transizione ecologica è una necessità, inoltre porta molte opportunità di sviluppo e di lavoro. Non vederle sarebbe un errore e non coglierle affonderebbe l’Europa per i secoli dei secoli.
Questa transizione ha già portato qualche risultato anche in termini di ricerca e sviluppo, alcuni esempi sono la produzione di idrogeno green che, oltre a Giappone e Corea del Sud, vede Spagna, Francia e Germania in prima linea. Poi c’è lo sviluppo di batterie al litio senza cobalto recentemente presentato in Spagna. Di recente sono nate le batterie al Niobio che a quanto sembra sono molto più efficienti, e così via. È innegabile che tutto questo abbia comunque un impatto su ambiente e natura, ma mantenere lo “status quo” è molto più grave per noi e per la nostra discendenza.
E il nucleare? Siamo seri, per costruire una centrale nucleare ci voglio 10-15 anni (anni in cui lo sviluppo di altre tecnologie nel campo delle rinnovabili sarà più che consistente) e per raggiungere livelli di sicurezza accettabili i costi sono altissimi. Se poi si parla della fusione, beh, andiamoci piano: l’energia necessaria per contenere e scaldare l’idrogeno a un milione di gradi è superiore all’energia che si produrrebbe, e dubito che ci vorrà poco per superare questo scoglio, ammesso che ci si riesca.
Il petrolio? Non dimentichiamolo: è una risorsa a termine, per estrarlo occorre trapanare la crosta terrestre facendo buchi di 12 kilometri devastando il territorio, poi va messo in petroliere, poi scaricato in raffinerie che devastano il territorio, durante il processo di raffinazione se ne brucia un bel po’, poi va messo negli oleodotti e in autobotti e trasportato anche per migliaia di chilometri, poi messo in serbatoi sotterranei che devastano ulteriormente il territorio per finire in motori che lo bruciano. Già, lo bruciano e non ritorna a noi se non sotto forma di gas tossici e particolato, nonostante le varie normative euro-qualcosa.
Tutto questo contrasta con l’estrazione, va detto che è assai inquinante, del litio che, però, una volta costruite le batterie, che durano comunque fino a dieci anni, si recupera nella quasi totalità perché le batterie, va sottolineato, sono riciclabili al 95%. Il litio non si brucia, si riutilizza! Se in più consideriamo lo sviluppo di batterie al sodio, di quelle al niobio appena citate o di batterie atomiche (ancora lontane dalla commercializzazione, ma esistono), senza contare le fuel cell a idrogeno, il petrolio non ha più motivo di essere estratto se non per produrre plastiche e gomme che, però, sono, a differenza del carburante, in buona parte, riciclabili.
Tornando al tema principale, è vero, serve sempre più energia, ed è anche vero che questa deve essere pulita! Le centrali a carbone sono state quasi tutte chiuse e le fonti rinnovabili, comunque non esenti da problemi, rappresentano in Italia, ad oggi, il 43% della produzione, in Spagna il 60% e in Norvegia (esempio estremo) il 98%. Queste percentuali (forse eccettuando la Norvegia) sono destinate ad aumentare.
Di seguito occorre la riconversione dell’intero sistema logistico e di trasporto per smettere di bruciare petrolio (che, tra l’altro, ha un prezzo deciso dai produttori… a loro basta mettersi d’accordo per portare le quotazioni alle stelle e mettere in crisi tutte le nazioni che non ne producono). Per i trasporti abbiamo esempi molto interessanti: Airbus intende mettere in commercio aerei che viaggiano a idrogeno entro il 2035, in Cina già sono in servizio portacontainer a batteria, in qualche paese nordico imbarcazioni per navigazione fluviale sono a batteria… insomma, ci vuole tempo, ma si va avanti, non indietro.
Venendo all’autotrazione, i listini di automobili e veicoli commerciali già contano numerosi modelli elettrici a batterie a prezzi non più proibitivi e da qualche mese si trovano berline sotto i 18,000 euro, cosa che fino a dieci anni fa sarebbe stata fantascienza. Le colonnine di ricarica appaiono un po’ ovunque e si nutrono di energia prodotta da fonti rinnovabili. Alcune colonnine, in autostrada, consentono la ricarica rapida, per cui bastano 10 minuti (tempo di andare al bagno, lavarti le mani, prendere un caffè e riparti). Si stanno anche sviluppando modelli elettrici fuel cell, ancora troppo costosi e pressoché privi di reti di rifornimento, ma tra una decina d’anni saranno competitivi.
Il vero problema per questi sviluppi, però, non sono le industrie o le tecnologie, semmai sono i movinenti contrari che alimentano la rete e a cui i cittadini fanno riferimento, informandosi più sulle reti sociali che su riviste specializzate o su organi di stampa seri, assorbendo così il peggior luddismo e generando immotivata ritrosia che si giustifica con “l’ha detto lui, allora è vero”, quando questo “lui” è un fantomatico tiktoker o un disinformatore che si nutre di click sulle reti sociali.
Non occorrono neanche le “fake news” perché basta uno slogan, tanto nessuno si va a cercare le informazioni sul tema. Da dove vengono questi slogan e queste informazioni, da esperti del tema? No, di solito vengono da agitatori di scarsa competenza e da, guarda un po’, paesi che traggono giovamento dalla disinformazione. Che poi si traduce in disgregazione dell’Europa.
Insomma, la questione è chiara: la transizione ecologica è una necessità, è urgente, porta sviluppo e lavoro e probabilmente sarà ulteriormente osteggiata dai nuovi equilibri risultanti dalle elezioni americane, e sempre più dai cittadini male informati. Ma se l’Europa dovesse fermarsi sarebbe un disastro senza precedenti.
Bella sfida che abbiamo davanti!
Diciamolo chiaramente: chi si ferma è perduto. Forza Europa!
Claudio Fiorentini