Do something!
L’Europa prese tempo, non ebbe il pungolo di reagire con fermezza e in modo unitario. Intanto nel mondo spietati regimi, alcuni sorti da libere elezioni, miravano a conquistare altri territori ed estendere il proprio dominio. Furono tempi difficili anche perché non ci fu una reazione coesa e, perdendosi in lungaggini, i vari leader furono inermi osservatori dell’orrore che si stava preparando, limitandosi a scambi epistolari e deboli interventi della diplomazia che, all’epoca, non aveva l’autorevolezza necessaria per dire “basta”. Questo succedeva negli anni trenta, ma se pensiamo quello che succede oggi qualche analogia la possiamo trovare.
Tuttavia, oggi, l’Europa esiste. Bisogna, però, vedere se ha ancora voglia di esistere. L’intervento di Draghi, non certo il primo, è paragonabile allo schiaffo che si dà a chi ha perso i sensi, ed è una ulteriore denuncia all’inerzia dell’Unione. Certo, se il leader europeo più autorevole non ha ruoli decisionali lo dobbiamo alle scelte timide fatte al momento dell’elezione di Ursula Von Der Leyen: i leader europei non hanno capito che ormai aveva fatto il suo tempo e, anche se aveva lavorato bene, non aveva l’autorevolezza per ripetere il suo mandato. Insomma, lo scenario attuale dimostra che forse è stata la scelta sbagliata. Ma tant’è.
Il problema dell’Europa non è, però, solo nelle lungaggini, semmai è nelle politiche nazionali che si oppongono alle politiche sovranazionali. Chiacchiere e dispetti, sgambetti e orgogli regionali, ignoranza e stupidità di alcuni leader che, a seguito di (per loro) fortunate elezioni, oggi siedono su scranni che non meritano – tutto risultato di una idea di democrazia che rimane pur sempre la migliore che sia stata mai prodotta – oggi protagonizzano il dibattito senza porre fine alle chiacchiere, ai contrasti, alle infantili comparsate di politici che reclamano la supremazia del proprio territorio e delle proprie fantasiose nullità. Non tutti, per fortuna. Sappiamo benissimo che in qualsiasi parlamento siedono personalità di grande valore e fantocci manipolabili e ricattabili. Da sempre è così e non è pensabile che sia altrimenti.
Il senso della democrazia è, comunque, nel dare voce anche a chi non ne ha, nel mettere insieme ogni sorta di pensiero per tirar fuori, da una pur estenuante discussione, un’idea che accontenti la maggioranza dei cittadini, e la minoranza deve accettare il risultato del dibattito politico continuando a battersi per le proprie idee, se queste sono valide, nella sede adeguata, cioè, il Parlamento.
Il nome stesso lo dice: “parlamento”, il luogo dove si parla. Una assoluta meraviglia: la piazza del dialogo, del dibattito, delle parole che si trasformano in leggi e regolamenti che, per la natura del luogo dove nascono, sono pensate per il bene “comune”. E il bene comune è di tutti.
Tuttavia la democrazia ha i suoi tempi e questo, vista la velocità con cui oggi, come negli anni trenta, succedono le cose, palesa la sua crisi.
Non è pensabile che l’Europa non reagisca, difatti reagisce, ma prima cerca il dibattito, cerca di mettere tutti attorno a un tavolo e discutere su quale sia la migliore soluzione. Solo le dittature, o i regimi, hanno la soluzione “prêt á porter”. Gli aggiustamenti del sarto richiedono tempo e l’abito lo indossi dopo il suo intervento, più o meno a una settimana dall’acquisto.
Ma dal discutere al non far nulla è un attimo. Il tempo passa veloce e i decisionisti che siedono al tavolo non esitano un solo istante a ridicolizzare qualsiasi lentezza. Dicono “ora decido, voi quando siete pronti me lo dite e vedrò se vi sto a sentire”. E il risultato è che le decisioni sono prese dai prepotenti.
L’Europa, che a seguito della pandemia ebbe un sussulto e fece per la prima volta debito comune, se lo vuole, può reagire, come allora, rapidamente. Basta che si riconosca la crisi in atto. Solo che prima il nemico era un virus, ora non si sa. Gli USA, storici “alleati”, per quanto l’alleanza negli ultimi tempi sia stata assai discutibile, si presentano con il cinismo decisionista del potere assoluto, siedono al tavolo delle trattative con la complicità di stati veramente loro alleati, smontano il castello di leggi pensate nel rispetto dell’ambiente, trivellano, impongono dazi, si presentano con mire espansionistiche e altre menate.
Pensate a quando Trump parlò (lo aveva già fatto nel primo mandato) di prendersi la Groenlandia (temo che ora passerà ai fatti) che è danese, cioè europea… l’Europa non ha detto nulla, ma proprio nulla! Quindi gli USA, con queste mire espansionistiche su territori europei, non possono certo dirsi “alleati”, o sbaglio? Gli USA che vogliono convertire Gaza in un resort per ricchi e grassi americani, possono dirsi “alleati” del mondo arabo (o anche solo del mondo)? Lo sono, certo, di quelli che accettano questi ulteriori soprusi, ma che conseguenze si possono avere se un piano così spietato e crudele si realizza? Gli USA che si vogliono prendere il Canada, che impongono dazi spropositati ai loro maggiori partner commerciali (Messico e, appunto, Canada), che cosa hanno in mente? Oppure, cosa probabile, Trump è un chiacchierone che le spara grosse per vedere la reazione?
Già in altri articoli ho denunciato il silenzio dell’Europa, ora lo fa Draghi, non un medium che dice “manifestati, entità!”, ma una delle voci più autorevoli a livello mondiale, e lo fa nelle giuste sedi. L’Europa reagirà o pensa che “tanto quello dura quattro anni, finito lui, noi ci saremo ancora”?
Ebbene, io non voglio credere che il percorso europeo sia esaurito e penso che, così come ha reagito quando ci fu la pandemia, questa crisi gravissima sia l’opportunità per accelerare ogni processo di unione. Speriamo che sia così.
Claudio Fiorentini