Partendo dalla citazione di Primo Levi che vedete nell’immagine, la mia riflessione riguarda un viaggio che, credo, tutti dovremmo fare. Se non con finalità turistiche, almeno con l’ausilio dei mass-media, o della rete. Si tratta, più che di un viaggio, di un pellegrinaggio che non ha come scopo vedere qualche sacra reliquia, ma immergersi nell’orrore di cui l’umanità è stata capace. E ancora lo è.
Ma veniamo al viaggio.
La Polonia, senza entrare nella tormentata storia che ha avuto, il secolo scorso è stata invasa dai nazisti e, dopo la guerra, dominata dai sovietici. Come la metti la metti, si tratta di una terra dominata da dittature aliene che non sono riuscite, per fortuna, a distruggerne l’identità. Quando i nazisti la occuparono, imposero un regime assetato di sangue che ha segnato la nostra storia per sempre.
A trecento chilometri all’est di Cracovia, infatti, nasce il primo campo di sterminio (Belzec) che fu operativo durante nove mesi. In quel luogo i prigionieri venivano uccisi e, inizialmente, sotterrati in fosse comuni per poi, quando non c’era più terra per sotterrare i cadaveri, passare ai forni crematori. Si calcola che, in nove mesi di attività, in quel luogo furono uccise 450.000 persone. Di questo campo, che non era di “concentramento” in quanto destinato solo all’uccisione dei prigionieri, non rimane altro che un memoriale.
Altri campi, nei quali hanno perso la vita milioni di persone sono stati operativi per anni. Alcuni di essi, ancora oggi, si possono visitare. I più vicini a Cracovia, Auschwitz e Birkenau, sono quelli di cui si parla di più: il primo, inizialmente destinato ai prigionieri russi, era in muratura; il secondo, che sorge su un immenso pianoro dove neanche gli alberi hanno il coraggio di crescere, si estende su una superficie di 175 ettari ed è arrivato a contenere fino a 100.000 prigionieri, la maggior parte ammassati in baracche di legno, dove dormivano (si fa per dire) fino a mille prigionieri per ogni baracca.
Oggi, questi campi più di altri, sono meta di orde di turisti che fanno la fila per entrare, molti sentendo i brividi sulla schiena, altri cercando l’immagine d’effetto da condividere in rete salvo poi finire la serata tra birre e vodka nella splendida città di Cracovia, scansando la memoria che, comunque, vuoi o non vuoi, scava nel profondo.
Ma è entrando nel bus, dopo la visita a questi campi, che ho sentito, dalla voce della guida, l’unica frase che dà un senso alla visita: Ancora oggi vediamo l’orrore in molti luoghi del mondo, ma non dobbiamo rimanere indifferenti, e questa nostra visita serve per dire ad alta voce “NOI NON SIAMO COME LORO!”
Ecco: non siamo come loro. In barba a chi si fa i “selfie” e li dà in pasto alla rete.
Da lì, la visita alla fabbrica di Schindler diventa quanto di più forte si possa immaginare: la fabbrica, allestita come una mostra labirintica che ci fa ripercorrere gli ultimi anni di storia prima della guerra per arrivare a una sala che ci accoglie con rumori di bombardamenti e di raffiche di mitragliatrice, è quasi una preparazione per arrivare negli uffici di Oskar Schindler, dove si sente un brivido, quasi come se le vite di chi era lì fossero ancora lì e ci ammoniscono dicendo “è possibile, sì, è possibile NON essere come loro”.
È giusto anche ricordare che il milione e mezzo di vite finite in quei due campi non erano solo vite di ebrei, ma anche di ROM, di omosessuali e di diversamente abili, vittime troppo spesso dimenticate, su cui sono anche stati fatti esperimenti di quello che oggi chiameremmo eugenetica.
E poi ricordare che dopo la liberazione da parte dell’esercito sovietico, la Polonia fu occupata di nuovo, proprio dai sovietici, e tardò un bel po’ per iniziare un periodo di crescita, avuta nel cuore dell’Europa. Per aprire questa nuova fase fu determinante una parola che disse Giovanni Paolo II in una delle sue visite, proprio a Cracovia: Solidarietà! Cioè, Solidarnosc. Mai, nella storia, una parola è stata così importante, forse per la nazionalità del papa o chissà per quali altri motivi, il fatto è che la Polonia divenne un paese libero, l’impero sovietico si sgretolò e il mondo cominciò a vivere una fase di rinnovamento.
Certo, non scopriamo la guerra solo oggi, si tratta di qualcosa che infesta tutta la storia dell’umanità, a vantaggio sempre dell’uomo bianco, ma non per questo dovremmo smettere di credere che un’altra via sia possibile, per cui mi viene da chiedere: esiste oggi una parola che possa avere lo stesso effetto come lo ha avuto “solidarietà”? Sì, perché invece di “vendetta” dovremmo dire “concordia”, “dialogo”, “rispetto”, “ascolto” e “pace”. Ma non sentiamo queste parole e, senza batter ciglio, osserviamo l’orrore delle guerre sparse per il mondo, mentre la diplomazia e la comunità internazionale sono completamente inermi. Persino la Chiesa, se non fosse per i preti di frontiera, sembrerebbe che si volti dall’altra parte…
E noi?
Per rispondere, nel silenzio complice del mondo, io mi aggrappo alle parole della guida: NOI NON SIAMO COME LORO. Se non lo diciamo, la memoria non servirà a niente e la storia, lentamente, continuerà ad uccidere.
Claudio Fiorentini