Risiko o Politica?

Siamo quasi sempre in campagna elettorale, vuoi per la Sardegna, vuoi per le europee o per quello che verrà. Ciò che mi lascia perplesso non sono le dichiarazioni pre campagna, ma le dichiarazioni post campagna. Intendiamoci, personalmente mi rallegro del risultato, ma a leggere la stampa italiana sembra che l’unica cosa che conti sia aver preso più voti e lemmi come “ora ci sbarazziamo di questo” o “non ci hanno visti arrivare” diventano la norma quando, in teoria, in politica, si dovrebbe votare per i programmi e per la credibilità dei candidati. Delle due parole “programmi” rimane la prima perché il candidato, che ha dietro una squadra di persone, presumibilmente capaci, da solo non può far nulla. 

La politica non è un Risiko dove si fanno guerre di conquista, ma un insieme di attività tese a realizzare il bene “comune”. Ora, a prescindere dalle mie preferenze personali, che non rinnego, quando voto mi curo di informarmi sul programma e credo che così occorrerebbe fare sempre. Purtroppo una pratica ormai radicata è quella di votare per la persona più che per le idee e mi chiedo: quanti elettori leggono il programma di questo o di quel partito (o coalizione)? Quanti elettori votano per proclami o per dichiarazioni fatte a colpi di slogan?

La tendenza generale a seguito, credo, della discesa in campo di Berlusconi trent’anni fa, è quella di accodarsi a chi strilla di più. Lo abbiamo visto con molti altri politici: l’uomo (o la donna) forte, lo strillone, lo sloganista… quelli che puntano il dito verso un “nemico” (non più un avversario), quelli che propongono soluzioni facili per problemi complessi senza nessun progetto o, peggio, senza nessuna visione del sistema Paese o del sistema Europa. Soluzioni sulle quali, c’è da dirlo, i populismi, i nazionalismi e i sovranismi eccellono: basta dire “prima gli italiani” e “questa Europa ce lo impedisce” e si abbocca. 

Proprio sul tema Europa è importante fare una riflessione: l’Europa è un insieme di Paesi ricchi di storia e con economie abbastanza robuste, popolati mediamente da gente di alto livello di educazione e di scolarità, con sistemi sanitari abbastanza equi e con infrastrutture perlopiù avanzate. Dove potrebbe arrivare, l’Europa, se si uniscono capacità di ricerca scientifica, arti, culture e valori morali e sociali?

Qui non parlo di valori cristiani, mi basta dire valori umani, che sono quelli che dovrebbero unire tutti e che, in Europa, tutto sommato, ancora esistono. Fate il confronto con altri paesi non europei, vedrete che è difficile trovare termini di paragone adeguati. Per questo pensare anche solo per un attimo d’interrompere il processo d’integrazione sarebbe allucinante e i nazionalismi, oggi, hanno senso solo per i nostalgici. 

La ricchezza del nostro continente – o meglio: della nostra Unione – è data dal livello di scolarità, dalle differenze culturali e storiche, dalla perseveranza nel portare avanti il dialogo e dalla capacità che avremo di esprimere solidarietà. Ah, parola strana, questa. Eppure, quando pensiamo a cosa è successo con il Covid, quando i 27 si sono messi d’accordo per avere un debito e un piano di sviluppo comuni, è successo proprio questo: si è vista la solidarietà.

Alcune parti politiche in Italia hanno attribuito il successo a Conte, che comunque merita tutto il nostro rispetto per come ha gestito una situazione che nessuno aveva previsto, ma il successo non è opera di un uomo solo, il successo è venuto dal dialogo e dalla grande capacità che hanno avuto i leader europei per trovare un accordo lungimirante e in tempi brevi.

Magari questa capacità ci fosse sempre. 

Ci sarà anche chi dirà che questo dialogo non è sempre produttivo, ed è vero, ma è comunque necessario perché mettere insieme un numero elevato di Paesi con politiche e culture diverse, cosa che non equivale a fare una passeggiata, è lo stato dell’arte della politica. E poi, pensateci bene: andare verso un’armonizzazione nell’erogazione dei servizi sanitari, del sistema fiscale e della difesa europei, comporterebbe riduzioni della spesa per ogni Paese membro.

Senza dimenticare che fino a pochi anni fa i vari Paesi europei erano in guerra tra loro mentre ora sono un esempio di faticosa democrazia. Già, la democrazia è faticosa: per usufruire di diritti si devono rispettare i doveri, e quante volte questi doveri non ci piacciono. Ma se solo pensassimo o sapessimo a cosa servono, forse affronteremmo le discussioni con meno animosità. 

Tornando all’incipit, vedo tra i nostri politici troppa foga nel parlare di conquiste dove si dovrebbe parlare di piani d’azione, e di sconfitte dove, invece di eventuali rese di conti, si dovrebbe fare autocritica e accettare la volontà popolare. Non è cosa di oggi perché, ahimè, questo “sparlare” è una costante.

Purtroppo noi cittadini siamo disabituati al ragionamento e basta leggere i titoli dei giornali per capirne il motivo. Facciamo un esempio di adesso e, a seguito della tornata elettorale sarda, leggiamo “Briatore non torna più in Sardegna; Il voto è risposta ai manganelli; Ora dettiamo le condizioni (non prima, ora); Ci giochiamo tutto; È un referendum sul governo; Doppia sconfitta per gli alleati riluttanti; Resa dei conti a destra” e roba simile.

Ce ne fosse uno che dice “Ora ci si deve rimboccare le maniche e mantenere le promesse”, chiarendo quali siano queste promesse. Parlo dei titoli in grassetto, sia chiaro, ma sono proprio questi che ci danno l’impressione che conta, più di altro, l’occupazione di poltrone o di territorio. Sono titoli dove si usa un linguaggio quasi bellico, appunto, da Risiko, e sembra che il lavoro da fare non conti proprio per niente. E poi ci meravigliamo della spaventosa e sempre crescente percentuale di astenuti.

Alla fine, la domanda sarebbe: la stampa italiana è in grado di interpretare il risultato della tornata elettorale senza scendere nella squallida polemica da tifoseria (la stessa domanda vale per la classe politica, ma questa è un’altra storia)? Sicuramente sì, è in grado, ma la legge del “click” funziona se il titolone è a sfondo scandalistico, non di certo se si affronta l’approfondimento. Per questo auspico che anche l’elettore medio si ponga delle domande e si chieda se a indurlo a votare qualcosa o qualcuno sia stato e sarà un ragionamento, un senso di appartenenza o la più semplice e banale simpatia.

Da europeista e progressista mi auguro che le prossime tornate elettorali confermino la tendenza vista in Sardegna, ma da cittadino vorrei che la scelta fosse frutto di ragionamenti e non di emozioni. E soprattutto che non si finisca con il solito tifo da stadio. Come succede e, temo, succederà ancora. 

Claudio Fiorentini

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