NOOR

Mi è capitato di leggere in rete che la storia delle automobili ecologiche è una di quelle trovate per specularci sopra. Questa asserzione viene spesso appoggiata dicendo che le navi o gli aerei inquinano più delle automobili, però quelli non li ferma né li controlla nessuno. Cosa comunque non vera. Non ricopierò i ragionamenti che seguono questo filo né i commenti che li corredano, del resto sono tutti dello stesso genere: “ci vogliono fregare”, “se reagissimo tutti insieme…”, “sono le solite trovate per farci fessi” eccetera. Certo, a volte verrebbe da dare ragione agli autori di questi post, ma anche se all’apparenza questi ragionamenti e questi commenti possono avere un fondo di verità (basti pensare alle grandi capacità di “accerchiamento” che hanno la furbizia e le varie confraternite che la praticano, portando avanti la più antica delle arti che distingue l’Italia, cioè, il “tu me voi frega’, beh, mo’ te frego io”), a me risulta difficile fare di tutta l’erba un fascio e ancora più difficile risulta dare per persa una battaglia che sta iniziando e che è la forza motrice di una rivoluzione a cui stiamo assistendo: la rivoluzione energetica.

Andando indietro nel tempo, abbiamo vissuto diverse rivoluzioni che hanno cambiato il nostro modo di vivere e di lavorare, dalla rivoluzione industriale al post industriale, cioè l’informatica, poi la rivoluzione dell’informazione, l’avvento di internet che da una trentina d’anni è protagonista della nostra vita quotidiana. Ma rispetto a quanto stiamo vivendo oggi, nei casi sopra citati non si partiva da una necessità ma di inderogabile avanzamento tecnologico. Oggi invece (vuoi per una sempre più urgente svolta ambientale, vuoi perché presto il petrolio scarseggerà, vuoi perché si rischia l’estinzione del genere umano) è assolutamente necessaria ed è per questo che i cambiamenti che stiamo iniziando a vedere saranno molto rapidi, e globali. 

Ma andiamo per parti.

Quando parlo di rivoluzione energetica mi riferisco a un cambiamento epocale che influirà sui trasporti, sull’intero sistema industriale, sulla logistica, sulle reti di distribuzione, sulla movimentazione di merci e persone eccetera. Non si tratta di un cambiamento marginale o di qualcosa di accessorio, no: quello che stiamo vivendo è un’intera riconversione che riguarda tutto e tutti, e non c’è modo di opporsi a questo cambiamento.

Partiamo dal fatto che il petrolio è una risorsa a termine, ma se anche non lo fosse è ormai chiaro che bruciare combustibili fossili implica la distruzione dell’ambiente. Questo non ce lo possiamo permettere. Quindi bye bye petrolio! E con che lo sostituiamo? È chiaro che nei paesi europei non vi sono alternative all’elettrificazione, ma nei paesi africani, dove la rete elettrica è, in alcuni casi, inesistente, occorre ben altro: Forse si farà ricorso a biocarburanti? Chissà. E in Cina, negli USA, in India? Ogni realtà è diversa, ma per semplificare questo ragionamento rimaniamo nella nostra realtà europea. 

Occorre tanta energia elettrica, possibilmente pulita. Quindi occorre riconvertire l’intero sistema produttivo per fornire l’energia necessaria al sistema industriale, alle case, all’imprenditoria, ai trasporti… occorre produrre motori elettrici e accumulatori – o batterie – sempre più efficienti, sempre più sofisticati.

Tecnicamente, un motore elettrico è molto più semplice di un motore a scoppio, inoltre non ha parti meccaniche immerse nell’olio bollente, non deve contenere esplosioni a seguito della compressione del pistone e non ha bisogno di un sistema di raffreddamento. Che bello! L’esplosione della miscela aria/carburante non esisterà più! In cambio, esisterà un rotore che gira in un campo magnetico, alimentato da batterie che forniscono corrente continua. E cioè, invece del serbatoio pieno di carburante avremo delle batterie.

Ah, le batterie avranno vita molto lunga, forse tanto quanto un motore usato normalmente. Arrotondiamo a 100-150 mila chilometri, poi si cambiano. Intanto forniscono energia, basta ricaricarle come si ricarica un telefonino. 

Non serviranno più i distributori di carburante, quindi non esisterà più quel serbatoio sotterraneo che ogni tanto è rifornito da un’autocisterna che scarica i suoi bei 25,000 litri di carburante anche in zona urbana, magari a due passi da casa. Questo sarà sostituito da colonnine di ricarica, cioè da semplici prese elettriche. Certo, c’è chi preferisce vedere l’autocisterna con tutta la sua portata di puzza e di rischi per l’ambiente, ma è innegabile che il progresso ci toglierà anche questo piacere. E le raffinerie? Riconvertirle sarà difficile, ma tant’è. 

Non serviranno più i grandi serbatoi di carburante nei porti e negli aeroporti. Cribbio, che botta! Allora, saranno elettrici anche gli aerei? Forse si troveranno soluzioni ancora più interessanti, come ad esempio l’alimentazione a idrogeno, o anche la ricarica della batterie con pannelli solari ad alta efficienza, chissà.

In un viaggio recente in Marocco ho visto, da lontano, uno scintillio incredibilmente forte. Era originato da una serie di specchi orientabili posti su un pilone altissimo, che concentravano e riflettevano la luce del sole su ettari di altri specchi che a loro volta riflettevano la luce su tubi in cui un liquido raggiungeva temperature e pressioni altissime. Si tratta del primo impianto del progetto NOOR, ettari ed ettari di solare termodinamico, cioè di produzione di energia elettrica grazie al semplice riscaldamento di un liquido. Col sole. Nulla di più pulito. 

Cosa intendo dire con questo? Semplice: è la scoperta dell’acqua calda! Non scherzo. Qualcuno ricorda il progetto che portò avanti l’ENEA quando a guidarla era Rubbia? Grazie a ricerche come quella oggi esiste il progetto NOOR che ci fa credere che la riconversione dell’intero sistema produttivo non è un miraggio. Certo, parliamo di progetti internazionali portati avanti da multinazionali e da prestigiosi istituti di ricerca. In progetti di tale portata l’intervento di grandissimi gruppi e di diversi paesi è implicito il controllo rigoroso delle procedure e una impeccabile applicazione delle leggi sulla trasparenza anche perché, non sottovalutiamo questo fattore, i vari attori di questi progetti si controllano tra di loro: uno sgarro implicherebbe l’esclusione con conseguenze da non dire.

Ora torniamo all’inizio di questa analisi: quello che si dice in rete. Ebbene, uno dei benefici della globalizzazione è la riduzione dell’impatto dell’operato del furbetto del quartiere anche grazie alla collaborazione tra centri di ricerca, tra aziende di diversa origine e tra multinazionali. Per quanto si possa criticare l’approccio globalizzato, occorre capire quali sono i suoi benefici. Dirò di più: sono proprio le più becere consorterie ad opporsi ai processi di globalizzazione. 

NOOR è un esempio virtuoso: è stato possibile grazie alle recenti dinamiche e alla collaborazione tra paesi diversi. È lo specchio (è il caso di dirlo) di traguardi oggi raggiungibili. 

Ora, se popolassimo il mondo con progetti che seguano il modello NOOR, potremmo dire che non è impossibile uscire a testa alta dalla rivoluzione energetica. NOOR è la dimostrazione che il futuro non guarda in faccia a nessuno. E stavolta verrà molto più rapidamente di quanto si possa immaginare. 

Claudio Fiorentini

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