Tentiamo di immaginare il futuro

Un esercizio che faccio spesso è quello di immaginare come potrebbe essere il futuro e quali potrebbero essere, in quel futuro, le problematiche che dovremo affrontare. Nelle riflessioni che leggerete non c’è la pretesa di sapere tutto, semmai c’è una sequenza di domande su temi critici, evidenti e di sostanza che, se non affrontati, potrebbero farci sprofondare nel baratro.

È troppo semplice parlare, in modo generico, di ambiente e di ecologia, le prime problematiche da affrontare seriamente. Io credo che occorra un pensiero un po’ più articolato del semplice utilizzo delle parole, e questo pensiero, mi duole dirlo, l’agone politico, salvo rari casi, non riesce ad esprimerlo.

Vediamo quali sono alcuni di questi temi.

Acqua: anche chiamata “oro blu”, ce ne sarà sempre di meno e sarà sempre più localizzata in territori non sempre amici. I cambiamenti climatici, che qualcuno si ostina a sottovalutare, determinano disastri come desertificazione, siccità, bombe d’acqua eccetera… non è impossibile che anche nei Paesi ricchi di questa risorsa, sia necessario, in un futuro neanche troppo lontano, un razionamento.

Petrolio: è nei serbatoi della pancia del pianeta, ma questi sembra che siano quasi in riserva. Alcuni studi indicano che l’esaurimento delle scorte potrebbe avverarsi nel giro di trent’anni. Una mancanza di visione in questo campo metterebbe in crisi l’intero sistema logistico mondiale con conseguenze inimmaginabili…

Energia: ne occorre sempre di più, e deve essere “pulita”; chiaro che continuare a bruciare gas, carbone o petrolio non è più proponibile, ma neanche deturpare il territorio con pale eoliche o pannelli solari sembra praticabile perché, comunque, il danno per l’ambiente non è trascurabile, non solo per il paesaggio che viene massacrato, ma anche per l’impatto sulla biodiversità (permettetemi la licenza: in un mondo senza api non sbocciano fiori).

Trasporto e mobilità: le esigenze aumentano e, che si tratti di trasporto su rotaia, su strada, via aerea o via mare, pensare di continuare solo a costruire nuove infrastrutture o ad intasare le vie di comunicazione esistenti potrebbe portare a una devastazione, a quanto pare già irreversibile, del pianeta.

Telecomunicazioni: sempre più efficienti, sempre più veloci, sempre più ricche di contenuti e sempre più importanti per la tenuta delle economie, a livello globale. High Tech: Italia, dove sei?

Queste tematiche hanno tutte qualcosa in comune: si avvalgono di reti, che siano di distribuzione o di comunicazione. Le reti determinano il collegamento tra territori e popolazioni e sono costituite dai rami che uniscono due punti, e da punti di snodo o di interconnessione (i così detti “Hub”), sempre più importanti e sempre più imponenti, luoghi in cui vengono smistati dati, merci e persone; sono spesso definiti “non luoghi”, come sono i parcheggi, gli aeroporti, i porti, i centri logistici, le sale d’attesa eccetera. Vi sono, però, altre problematiche che non possono essere viste come reti, come l’aumento della popolazione, l’inquinamento, le guerre, lo sfruttamento dei territori da parte di mercenari senza scrupoli e altro ancora. Queste ultime non le tratterò in questo articolo, ma non temete, ne parlerò in un altro momento.

Il tema principale, per il nostro futuro, rimane comunque l’ambiente che, per sua natura, non ha frontiere, non ha confini, non appartiene solo a quattro o cinque persone, ma a tutti, proprio a tutti, ed è dall’ambiente, e dalla sua salvaguardia, che possiamo capire il senso del “bene comune”. L’ambiente è, infatti, il bene comune per eccellenza, per questo non ha reti di interconnessione, ma è un grandissimo e spropositatamente meraviglioso “Hub”, il “non luogo” che accoglie tutti i luoghi.

Il tema dell’ambiente, spesso trattato con superficialità e incompetenza, infarcisce tutti i discorsi dei nostri incapaci e poco visionari politici. Per la sua salvaguardia, come ci ha detto più volte Greta, bisogna fare, non basta dire! E il fare comincia dal cittadino. Il politico, ormai lo sappiamo, non farà l’onda, ma la seguirà come ormai fa da tanti anni e, se solo il cittadino avesse consapevolezza delle proprie responsabilità, il politico medio sarebbe meno cialtrone.

Tornando alla riflessione iniziale, che non pretende di essere un elenco esauriente delle problematiche da affrontare con serietà e anche con urgenza (non sono un “Grillo” strillone e inconcludente), facciamo un appunto alla classe politica in Italia (e non solo in Italia) che, a quanto sembra, non ha capito un bel niente.

Mi spiego: di recente, in Italia, ci sono state le elezioni e, come sempre, i vari candidati hanno presentato programmi insulsi, privi di una visione di Paese e ricchi di slogan sterili, non hanno mai parlato all’elettorato di possibili soluzioni ai problemi o di come potrebbe essere il futuro, ma siamo stati sommersi dai vari insulsi “io sono Giorgia”, “siamo ecologisti”, “lavoro ai giovani” e “prima gli italiani”, lemmi che altro non fanno che aizzare le masse.

Come conseguenza siamo stati sedotti da chiacchiere! La classe politica di oggi, che sembra preoccuparsi solo di vincere le elezioni e non della gestione del bene comune, ha portato avanti un progetto che può riassumersi con due lapidarie parole: “voglio governare!”, quando invece “governare” significa scendere a compromessi con la realtà. Una volta arrivati al potere, però, spesso si rendono conto che gli slogan urlati non sono altro che uno spot pubblicitario e l’elettore che ha votato lo slogan non trova risposte alle sue, spesso sterili, domande.

I grandi comunicatori, proprio per questo motivo, continuano a gridare “slogan” e continuano a fare campagna elettorale, dando la colpa del proprio insuccesso ad altri che, come sempre, se non sono l’opposizione che fa ostruzionismo, sono l’Europa che non ci piace o le ONG che sono affiliate alle mafie e amenità simili, senza affrontare i veri problemi che, in un futuro neanche tanto lontano, potrebbero farci cadere nel baratro.

Potrei continuare, ma fermiamoci ai temi prima elencati.

Acqua: qui parliamo non solo di acqua da bere o acqua per lavarsi i denti, ma parliamo anche di territorio. Non ce ne sarà a sufficienza non solo per i danni che abbiamo fatto al nostro pianeta, ma anche perché non siamo in grado di capire che se l’acqua non penetra nella terra, cosa che è ancora possibile, prima o poi finisce. La cementificazione del territorio, infatti, impedisce alla terra di assorbire l’acqua che cade dal cielo, il suolo “impermeabile” è un danno irreversibile per i cicli ingovernabili della natura. Non solo, se non si trovano soluzioni per le piene dei fiumi o per l’abusivismo edilizio, i disastri che narrano le cronache continueranno a invadere le prime pagine dei giornali e a distruggere case, territorio e vite umane.

Ma dove andiamo se i vari progetti di prevenzione e di cura del territorio vengono, puntualmente, affossati? Parliamo chiaro: eventi una volta considerati estremi, come il recente disastro del fiume Misa o la frana di Ischia, sono all’ordine del giorno e possono avere un effetto minore solo se, invece di cincischiare per quarant’anni sulle autorizzazioni per costruire “casse d’espansione”, queste si costruiscono, oppure se invece di fare “condoni”, si monitora il suolo dove la casa è costruita.

Ma non solo: l’acqua può essere semplicemente raccolta, del resto spesso e volentieri, cade dal cielo… possibile che essendo a conoscenza dei danni conseguenti alla cementificazione, all’inquinamento, ai cambiamenti climatici eccetera, ancora non si sia realizzato un sistema di raccolta del prezioso liquido? D’accordo, l’acqua che cade finisce nel mare e il mare è pieno d’acqua, ma in alcuni luoghi è ricoperto di uno strato di plastica, allora andiamo bene! E pensare che siamo capaci di progettare navicelle spaziali che fotografano gli anelli di Saturno!

Petrolio: non possiamo continuare a bruciarlo inquinando l’aria che respiriamo o costruendo isole di plastica nel Pacifico; il petrolio, oltre ad essere una risorsa a termine, è altamente pericoloso per l’ambiente. Certo, si va verso l’elettrificazione, ma ci vuole tempo e, prima di arrivare ad elettrificare arei, navi e automobili, forse si può trovare una soluzione alternativa, come l’idrogeno… ah, certo, gli aerei ad idrogeno sono in fase di sperimentazione (Airbus è abbastanza avanti in questo campo), esistono anche automobili ad idrogeno (per ora commercializzate in Australia), ma chi produce l’idrogeno?

Occorrono sistemi di stoccaggio e distribuzione fantascientifici. Come si fa? Poi ci sorprendiamo quando leggiamo che la Spagna ha firmato accordi per la produzione e fornitura di idrogeno verde, e non ci lamentiamo per l’Italia, eterno fanalino di coda, che va avanti con le solite chiacchiere. Ma non basta, occorre sostituire la plastica e accelerare nella ricerca di soluzioni alternative al petrolio. Insomma, di lavoro ce n’è molto.

Energia: pulita e onnipresente, altrimenti come facciamo a ricaricare il telefonino? Non solo le esigenze industriali, ma anche le esigenze personali determinano un impulso alla produzione di energia che, se non è pulita, è un disastro per tutti. Ma allora, oltre alle centrali geotermiche, cosa c’è di pulito? Certo, le nuove frontiere del nucleare lasciano ben sperare, ma ci vorranno almeno trent’anni per un nucleare pulito e poco rischioso, ammesso che sia possibile arrivare a tale traguardo. Intanto esistono soluzioni perfettibili, purtroppo ancora invasive, che tracciano la strada della produzione di energia per i prossimi anni. Il problema sarà trovare il giusto equilibrio tra la soddisfazione del fabbisogno e la deturpazione del territorio, che comunque è un dato di fatto.

Trasporto e mobilità: per rimanere in un settore che riguarda il cittadino, come la proprietà del mezzo di trasporto (concetto che dovrà essere prima o poi superato), si sta sviluppando, assai rapidamente in Europa, la “shared economy”, cioè la condivisione di risorse. In molti paesi il Car Sharing, il Bike Sharing e qualsivoglia Sharing è una realtà consistente. In Italia, specialmente in alcune città, vuoi per l’inciviltà dell’utente o per la pessima gestione del bene “condiviso”, è un autentico disastro.

Utilizzare risorse condivise implica educazione al rispetto della risorsa. Ma c’è un altro aspetto da considerare: se nelle città si circolasse solo con “car” o “bike sharing”, le vendite di scooter o di automobili, con tutto quello che si trascinano dietro come manutenzione, parcheggio, lavaggi eccetera, diminuirebbero. Sarebbe un danno per l’industria? Non so e non credo, ma probabilmente il beneficio per la comunità sarebbe enorme. E non dimentichiamo che l’economia può passare il testimone dal pezzo di ferro ai contenuti, quindi all’high tech.

Telecomunicazioni: questo è un tema che tocca tutti gli altri perché l’alta tecnologia consente di sviluppare applicazioni che permettono di ottimizzare l’utilizzo delle risorse e di sviluppare i sistemi che le controllano. Un esempio attuale: se utilizzate Maps, per andare da un posto all’altro, avrete diverse opzioni tra cui le indicazioni di traffico e di tempi necessari per raggiungere la meta; potete scegliere l’itinerario meno trafficato, con risparmio di tempo e minore consumo di carburante.

Certo, il dio Google l’ha fatto, ma qualcuno ancora dice “ci vogliono controllare”. Immaginate, ora, che si sviluppino applicazioni che ottimizzino i percorsi dei TIR, dei pullman o delle ambulanze… immaginate anche che si sviluppino applicazioni in grado di ottimizzare gli orari di consegna dei beni. Immaginate anche, esempio reale, alla possibilità di operare con telemedicina, alla possibilità di telecomandare i mezzi di trasporto (guida automatica per navi, treni, eccetera) integrando alla soluzione l’ottimizzazione di percorsi e di orari… ce ne sono molti di esempi, ma è chiaro che le reti di telecomunicazioni li affrontano tutti.

E poi la sicurezza e la manutenzione? Pensate, ad esempio, al monitoraggio delle infrastrutture critiche di un Paese o delle reti di distribuzione come gasdotti, acquedotti eccetera. Insomma, c’è molto altro da dire al riguardo, ma già questo non è poco. Le infrastrutture sono da vedere come reti e ottimizzarne l’utilizzo, invece di ingolfarle, dovrebbe essere uno dei compiti dell’alta tecnologia e delle informazioni che viaggiano in rete, informazioni che non sono solo i nostri “post” su Facebook, ma anche dati come lo stato di funzionamento di una conduttura, l’accensione di un sistema di illuminazione pubblica, l’efficienza di un acquedotto eccetera.

Ora torniamo al tema principale: l’ambiente. Ho sentito troppe parole superficiali sull’ambiente. Certo, parlarne non è semplice, anche perché se si vuole risolvere, ad esempio, il problema dell’isola di plastica nel Pacifico, occorrono progetti e non parole. Purtroppo, se da una parte i politici sono capaci solo di formulare frasi fatte, dall’altra i cittadini non sembrano consapevoli dell’importanza delle proprie azioni e delle proprie scelte.

Quando in Italia si parlò dei due centesimi sulle buste compostabili, invece di una presa di coscienza ci fu quasi una rivolta. E ancora oggi, quando si tratta di fare la differenziata, se l’amministratore non riesce a monitorare lo stato del cassonetto, il cittadino si lamenta perché è lontano. Occorre prima di tutto educazione, poi riduzione degli sprechi di acqua e di combustibile, ricorso all’economia circolare, utilizzo di risorse condivise, ottimizzazione degli spostamenti, andare a piedi, ridurre i consumi e chi più ne ha più ne metta. E occorrono politici avveduti in grado di parlare di questi temi con una certa autorevolezza, cosa che oggi non vedo.

E se gli slogan “prima gli italiani” e “io sono Giorgia” fanno breccia al momento del voto, sono comunque destinati a diventare tenui ricordi perché, una volta che si devono fare i conti con la realtà, i segnali di allarme sono così chiari e così seri che occorre adeguarsi alle indicazioni della scienza e, nel nostro caso, dell’Europa, la quale, su certi temi, non solo fa scuola, ma fa di tutto per definire uno scopo comune. E su questo mi auguro che sia intransigente.

Claudio Fiorentini

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