Opera lirica? No, grazie


L’opera lirica per molti inesperti è un percorso noioso pieno di trovate teatrali dove cantanti, ballerini e figuranti si esibiscono in una scenografia d’effetto. Togliendo teatro e scenografia, per i più, la musica diventa un ghirigori di vocalizzi e virtuosismi per addetti ai lavori che, se confrontati alla voce arrochita di Vasco Rossi, si dissolvono nel nulla.

Nel circo della musica, però, succede qualcosa di strano. È vero che l’ascolto quotidiano nelle case, nei bar, nei supermercati e (orrore) nei negozi di scarpe è, spesso, un viaggio nel trap, nel rap, nel pop, nel neomelodico o, se va meno peggio, nella musica da SPA.

Eppure, nonostante l’orrore dell’ascolto imposto dalla radio o nei luoghi dove vai a comprare qualcosa, la musica classica e l’opera lirica rimangono nella storia, non vengono sostituite da mediocrità consumistiche, e poi scopriamo che la Traviata è l’opera più rappresentata nel mondo o che la Tosca finisce con tre quarti d’ora di applausi. Ne siamo orgogliosi, in quanto bandiera della cultura italiana nel mondo, ma la ascoltiamo? 

Non era così negli anni sessanta, quando le stazioni radio erano due o tre, e quando la musica che si trasmetteva era scandita dai programmi in cui si proponeva di tutto ed anche la musica lirica entrava nelle nostre case e nelle nostre teste. Perché oggi no?

Ora, immaginate una strada dove scorrazzano autobus rumorosi e giovani imberbi sfrecciano in motorino facendosi belli davanti a belle liceali che si accalcano davanti ai negozi di abbigliamento. Immaginate macchine e camion frigoriferi in doppia fila che ingolfano noncuranti il traffico, immaginate la maleducazione che si concentra in poche centinaia di metri di strada. 

Ebbene, state immaginando quella parte della nostra vita che è ben rappresentata dalla musica che, più che chiamarsi tale, merita l’appellativo di inquinamento sonoro. Per giunta indesiderato. E violento.

Ora, prendiamo un grumo di vita in una grande città, dove palazzoni imponenti, appesantiti da fumi e incuria, sembrano burlarsi della piccola e colorata umanità che anima i marciapiedi. I palazzi fanno ombra, proteggono dal vento e ci propongono vetrine brillanti e luminose, ma allo stesso tempo non lasciano passare la luce del sole e l’aria ristagna.

Prendiamo le molte botteghe che alimentano un tramestio ininterrotto di andirivieni senza senso. Si va avanti e indietro, due passi, una sosta, altri due passi, e e a un certo punto si va via e dietro l’angolo, dove la strada sfuma in un vialone alberato e i passanti, esplodendo da quel budello rumoroso, trovano sollievo disperdendosi nello spazio sconfinato di un vialone che, grazie a qualche alberello tisico, appare come un’infinita prateria. 

Ecco, la prateria! Se la musica delle radio o dei vari talent show trova spazio al chiuso, nei negozi o nei buchi neri di TV e radioline, è nel vialone alberato che si annuncia l’immensità corale dello sviluppo di un tema di una sinfonia o di un’opera lirica. 

La musica classica è una prateria e l’opera lirica è quel parco sconfinato dove può succedere di tutto! Per arrivare alla prateria, però, occorre cambiare strada.

Ammettiamolo, uscire dalla via ingolfata e sovraffollata (che comunque propone i suoi effimeri piaceri) per aprire lo sguardo davanti al vialone alberato che finisce in un parco o nella visione di una verde collina, significa provare sollievo e avere una visuale aperta e viaggiare oltre quel budello cittadino che digerisce la vita senza farsi tanti scrupoli. 

E l’opera lirica cos’è? Forse quella collina che esplode in un coro mentre gli orchestrali sottolineano l’apoteosi del momento vibrante che è integrazione di elementi? Forse, ma forse è anche di più, perché quando si arriva all’apoteosi non si può far altro che sentire i brividi sulla schiena e dire: mamma mia, com’è bella!

Così si apre la vita davanti a noi, in uno scenario meraviglioso.

L’opera dura molto, sembra noiosa, in alcune opere c’è il parlato, altre volte ci sono trovate teatrali che annoiano e sembrano presuntuose e altalenanti. Ma che volete che sia tutto questo, se non una preparazione per arrivare al godimento dell’attimo sublime? No, non è come l’orgasmo che arriva dopo preliminari e preparazione, semmai è molto di più perché, se preliminari e orgasmo ci appartengono, l’apoteosi dettata dall’evolversi della musica non ci appartiene. Però ci trascina, ci coinvolge, ci trasforma.

Si inizia, spesso, con un preludio, cioè con una sinfonia di meno di dieci minuti che riassume il senso dell’opera, un po’ come un “trailer”. Poi inizia il canto, la pausa, il ballo o quello che è, arrivando a un’aria di quelle che ti spaccano le viscere, riprendendo la passeggiata fatta di altro canto, di cori, di balli, di scene teatrali e, a volte, di perplessità fino ad arrivare al momento sublime dell’aria più possente, quella che passa il filtro del tempo e diventa eterna. Poi si riparte con la passeggiata e si arriva alla conclusione. 

Provate a immaginare “E lucevan le stelle” senza la “Tosca”. Poi andate a teatro e vedevi tutta la “Tosca” e capite perché, se immersa nel suo brodo, l’aria va oltre. Oppure immaginate “Casta Diva” senza la sua storia della “Norma”. Insomma, si tratta di momenti musicali che, pur essendo meraviglia già da soli, quando sono inseriti nell’opera si vivono dopo tutta la preparazione, immeri nella vita che è stata scritta e descritta là dentro, e contengono una meraviglia in più. 

Insomma, uscire dalla strada dove il rumore viene spacciato per musica, scoprire quel vialone che diventa prateria e guardare il paesaggio lì in fondo, questo è ascoltare musica. Il paesaggio lì in fondo, dove vedete mare o montagne innevate o verdi colline, quel paesaggio dove la vista si esprime nell’apertura al suo mistero, è il suo senso.

L’opera lirica è preparazione al bello, quel “bello” che quando arriva vi sconvolge, vi sorprende e vi meraviglia nell’aria che ha fatto la storia e che vi cambia per sempre. Poi tornate in un negozio di scarpe dove sentite qualche rapper o qualche neomelodico (se vi va bene qualche cantautore) e ditemi se non vale la pena vedere la collina alberata più che rimanere nel budello cittadino. 

Insomma, la musica è cultura, non consumo. È la collina dove viviamo bene e ci rilassiamo senza lo stimolo di correre qui e là, è quel luogo dove viviamo i primi amori, dove andiamo a correre e a respirare aria pulita, dove siamo il meglio di noi. 

La musica, ma la cultura in generale, vive di questo e… anima il pensiero! E cosa saremmo senza il pensiero? 

Tornare alla collina alberata invece di rinchiuderci in un ambiente dove impera il non-pensiero è ciò che chiede la cultura. Ed è ciò che ci rende migliori.

Ora mettete nella vostra playlist qualcosa di Bellini, di Verdi, di Donizetti, di Puccini e lasciatevi andare. Dopo l’ascolto tornate nel negozio di scarpe per fare due conti con la realtà che ci vuole sudditi del non-pensiero e poi scegliete dove volete che sia il vostro io, se nella collina alberata o nel tugurio. In ogni caso, buon ascolto!

Claudio Fiorentini

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