L’ambiente non ha frontiere. Il mare, l’aria, le nuvole, i fiumi e le terre che ci ospitano e ci sostengono, sono parte di un unico pianeta, un solo ecosistema che vive, nonostante le nostre angherie, e che tenta sempre di ristabilire equilibri che noi continuiamo ad alterare e, peggio, a ferire con la presunzione di esserne i padroni.
Per questo motivo affrontare il problema dell’ambiente con politiche protezionistiche è sbagliato. Lo è anche pensare “a casa mia faccio come mi pare, tanto gli altri fanno peggio”, come lo è non far nulla, tanto di tempo ne abbiamo. Occorrono politiche comuni e occorre educazione, rispetto e consapevolezza, in una parola, civiltà.
Oggi, tuttavia, stiamo assistendo a un riequilibrio delle forze in campo dove la scissione tra occidente e resto del mondo è sempre più marcata. Ma succede ancora di più, posto che la scissione all’interno dello stesso mondo occidentale è già in atto. Le politiche di Trump, ad esempio, è prevedibile che siano aggressive verso l’ambiente e negazioniste sul fronte sia del cambio climatico che sul fronte di alcuni progressi nel mondo della medicina. Questo potrebbe portare a nuove scissioni all’interno dell’Europa dove a latere da tempo ci sono forze sovraniste, negazioniste e ipocritamente tradizionaliste che lavorano sotto traccia,salvo poi uniformarsi alla legge del più forte, che sappiamo chi è.
Non è peregrino pensare che in USA si tornerà a trapanare la terra per cercare petrolio e lo si continuerà a bruciare fino ad esaurimento. Per carità, non è che le soluzioni alternative siano mature, ma se il loro sviluppo dovesse fermarsi, invece di andare avanti si manterrebbe lo status quo in cui i produttori di petrolio dominano la scena. Per questo l’Europa, che si trova, oggi più di prima, davanti a una sfida ciclopica: deve scegliere se continuare a pensare che l’economia verde è un’opportunità, oppure tirare i remi in barca e agonizzare come in qualche modo ha detto Draghi quando ha presentato il suo prezioso “report”.
Ma discutere di ambiente non basta: vi sono guerre in atto che portano devastazione, detriti, esplosioni, incendi e morte. Morte non solo di militari o di civili innocenti, ma anche di territorio. La guerra uccide, e rende sterile la terra per cui chi prima viveva con due galline e un piccolo orto, a seguito del passo dei blindati o di un bombardamento, si trova con una poltiglia di fango e detriti. Terra sterile e inutilizzabile per anni.
Probabilmente si arriverà alla fine delle ostilità, o alla fine delle operazioni, ma cosa resterà di quelle terre martoriate? Territorio per fare resort su un lungomare per ricchi in cerca di un posto dove svernare o spazio libero per mettere pale eoliche affinché i ricchi possano svernare? Certo, là dove c’erano miniere ci saranno miniere ancora più grandi, solo la bandiera cambierà. Ma la terra del povero disgraziato? Eh, a lui fango e detriti, tanto è un povero disgraziato e i problemi di quella gente sono solo danni collaterali.
L’ambiente, però, non è solo quel pezzo di terra, ma anche l’aria, le foreste, il corso dei fiumi, il clima… roba che respiriamo e beviamo anche noi. Ce ne importa qualcosa? Apparentemente no, almeno finché si scannano a casa loro. Sta di fatto che parlando di ambiente si dovrebbe parlare di casa nostra, una casa comune, senza confini e senza pezzi di ricambio.
Giorni fa, seguendo l’intervento di un politico leghista in Parlamento, ho sentito parole agghiccianti, le riporto come le ricordo, non sono esatte: “noi non siamo responsabili dell’isola di plastica nell’oceano, è nell’oceano, non è qui. Sono i paesi sottosviluppati che devono occuparsene perché quel danno viene da loro”. Siamo al delirio.
Salvarci è anche questione di civiltà, questione di piccoli e di grandi gesti, consapevolezza delle conseguenze di ogni nostra azione, piccola o grande che sia.
Una cartaccia per terra, la spazzatura buttata a casaccio, l’uso indiscriminato dell’automobile, l’abulimia consumistica, la scriteriata gestione delle risorse naturali, le fabbriche, il cemento, la moda, i gioielli, le nostre cene pantagrueliche, lo spreco, la fantomatica ricerca di una pace e le guerre che tanto fantomatiche non sono, il dominio, la sovrastazione, radere al suolo territori e mietere morte e devastare terre, mari, aria (con armi prodotte e vendute da noi alimentando un mercato che ingrassa il nostro PIL), tutto questo, e molto di più, iniziando dalla responsabilità di ogni cittadino, complice per indifferenza o inciviltà, per finire con le decisioni dei pochi che hanno il potere di determinare il destino di milioni di persone, portando distruzione là dove l’umile contadino prima coltivava il suo orto, tutto è da riconsiderare.
Certo, a sentire quel politico si direbbe “è colpa loro, noi siamo bravi”, grande esempio di civiltà.
La verità è che l’umanità è allo sbando, l’avidità non ha rimedio e l’uomo bianco, come ha sempre fatto spesso scudandosi dietro l’alibi delle Sacre Scritture, si autocelebra ritenendo di avere il diritto di “sopruso” e di “abuso”. La legge del più forte, questo è il vero motore dell’umanità. Dalla cartaccia buttata per terra al lancio di bombe atomiche, è sempre la legge del più forte che guida la strafottenza dell’uomo.
Ma voglio pensare che non tutto sia perduto, almeno non ancora. Però dovremmo sentici un po’ più responsabili della nostra impronta nel mondo e delle conseguenze dei nostri atti. D’accordo, siamo consumatori, siamo produttori di spazzatura e di spreco, questo non cambierà, ma se lavarsene le mani è un gesto storicamente condannabile, il tradimento lo è ancora di più, e noi l’ambiente lo stiamo tradendo consapevolmente perché sappiamo che l’ambiente è tutto, è di tutti, non ha frontiere e i danni fatti a est si ripercuotono ovunque come i danni fatti a ovest si ripercuotono ovunque. Fregarsene dell’ambiente è un atto criminale. Preoccuparcene, però, non significa solo fare la raccolta differenziata a casa, che già sarebbe un primo passo, o evitare di fare lo sbruffone in macchina, significa anche ridurre i consumi e gli sprechi, quindi andare contro lo schema consumistico in cui siamo brutalmente immersi, schema che ci dà lavoro e benessere (ammettiamolo: non a tutti), e significa anche rispettare lo spazio comune. Chi è pronto a farlo? Non l’industria, non il sistema… non il singolo individuo…?
Parliamo chiaro: la terra l’abbiamo resa impermeabile, la biodiversità sta scomparendo, il grigio cemento è ovunque e ci dà riparo, bruciare gas ci riscalda… ma se questo non si può cambiare, tentiamo almeno di far meglio le cose che faremo in futuro perché non abbiamo altro ambiente al di fuori di questo.
Claudio Fiorentini