Stiamo vivendo un momento storico assai critico e molti equilibri saranno ridefiniti in modo, per ora, imprevedibile, con annesso rischio di una guerra nucleare alle porte di casa. Intanto le vittime a Gaza sono più di 40,000, il conflitto rischia di estendersi all’Iran e al Libano, e le armi della NATO sono utilizzate per fare qualche danno in Russia, e questo per non parlare della situazione disastrosa in cui si trova l’Argentina, del rischio di guerra civile in Venezuela, della fame a Cuba e di tante altre situazioni che rendono il panorama mondiale, a dir poco, esplosivo.
Non credo che ci sia salvezza per la razza umana, almeno fintanto che si mettono in primo piano i nazionalismi o la sola economia, e si considera la cultura umanistica, con essa le arti, come un insieme di attività inutili, accessorie, decorative e prive di interesse per gli equilibri del pianeta.
Poco tempo fa ci fu un gran parlare di economia verde, questo è stato un bene, ma l’industria bellica, vista la situazione, d’improvviso è tornata alla ribalta e con essa la corsa al riarmo, i rischi di attacchi nucleari, i bombardamenti qui e là (in preparazione di lucrative ricostruzioni), i sabotaggi, gli attentati e i massacri che, però, in rete non appaiono più drammatici del plinto in cemento delle pale eoliche, dimenticando che certi disastri, oltre ad essere crimini e a portatori di morte, sono un danno irreversibile all’ambiente che è l’unico bene che possa dirsi veramente comune.
Respiriamo la stessa aria, beviamo la stessa acqua, ci muoviamo sulla stessa Terra (già, vista dall’alto la Terra non ha confini) ma sembra che lo facciamo senza consapevolezza e ci accontentiamo di seguire i vari giochi del palinsesto televisivo, i pettegolezzi su William e Kate o il bikini tricolore del primo ministro italiano e la sessualità di Imane Khalif. Goliardate inutili che, per alcune testate giornalistiche, hanno importanza vitale e per l’utente sono una gomma che cancella gli orrori della via di non ritorno che abbiamo intrapreso.
A parte l’utente, inerme, individualista e menefreghista, rileviamo un apparentemente simile atteggiamento nella comunità internazionale che, altrettanto inerme, è incapace di muovere un dito. Questo è assai più grave.
Mai, come in questo periodo, si è visto quanto, di fronte all’aggressività di alcuni leader e di fronte alle guerre che si consumano senza requie, la debolezza dell’Europa (che invece dovrebbe essere un gigante) dimostri che l’unica opzione sul tavolo, per capire come sarà il mondo domani, è scritta nei risultati delle elezioni americane. Sì, proprio loro, i figli e i nipoti degli emigranti europei, africani e asiatici, i figli di chi prima stava in un altro paese (i veri nativi furono sterminati e confinati in riserve) sono quelli che determinano i passaggi cruciali della politica estera mondiale.
Ciò che vediamo ora e vedremo dopo l’estate, mentre sondaggi e dibattiti iniziano ad infiammare il suolo americano, è l’Europa che si defila da ogni trattativa, drammaticamente divisa, con alcuni leader che si schierano coi conservatori e altri coi democratici, tutti in attesa della benedizione del nuovo presidente che, con una pacca sulla spalla in qualche summit, farà contento l’elettorato della frangia che si accoda alla sua ombra.
Intanto Putin continuerà con il suo piano di riformare la Grande Russia, Netanyahu continuerà a radere al suolo ciò che resta di Gaza (attenzione, qui non parlo di Israele o degli israeliani, ma di un governo che non rappresenta tutto il suo popolo), tante altre guerre saranno dimenticate e noi ci intratterremo con lo sport e con i derivati del Grande Fratello, dimostrando che siamo un branco di pecore.
Il modello a cui ci ispiriamo – specie in Italia e in modo particolare dalla discesa in campo di Berlusconi – ci divide in buoni e cattivi ed è diventato sistema. O meglio, si è impresso nella mentalità popolare. I cattivi, chiaramente, nella nostra storia sono stati i comunisti, quelli che mangiavano i bambini. Questo identificare come cattivo il comunista – anche quando il comunismo non esisteva più – ha diviso l’Italia in modo drammatico. Eppure, a parte gli estremisti che sono sempre stati un po’ qua e un po’ là, i comunisti degli anni 60 e 70, altro non erano che operai e lavoratori in cerca di condizioni di vita migliori, non certo degli esaltati in cerca di una dittatura.
Oggi, quando gli operai sembrano una specie in via di estinzione, del resto le produzioni sono state, a parte alcuni strenui baluardi, quasi tutte esternalizzate, al posto loro abbiamo una classe di lavoratori confusa e poco corporativa, fatta un po’ di tecnici, un po’ di esperti, un po’ di precari e un po’ di amministrativi: una classe che ha difficoltà a collocarsi che non ha un moto identitario.
Si tratta di una grande fetta della popolazione, spesso priva di un approccio critico, che brancola nel buio e che un po’ viene trascinata a destra e un po’ a sinistra, di certo è molto influenzata dalle notizie false, è molto, ma molto informata su fesserie stile grande fratello e talent show, e spesso è guidata dalla superficiale voglia di divertirsi. Questa classe è disorientata anche a causa delle reti sociali che pretendono di spacciare la verità e gli intellettuali e i pensatori, che una volta venivano ascoltati, oggi sono derisi e presi per i fondelli.
Tornando alle elezioni americane, dove l’elettorato è immerso in dinamiche per certi versi analoghe a quelle appena descritte, non mi sembra di vedere molta luce. Le scelte di quel popolo dipenderanno dalla capacità che avrà un candidato di screditare l’altro e la macchina del fango sarà implacabile. Intanto fioriranno magliette, cappellini, tazze e borse con stampati gli slogan di questo o quel candidato, il merchandising funzionerà alla perfezione e i dibattiti eluderanno la politica, infiammando le masse con proclami, retorica e inni nazionali cantati dalle star del momento.
Più che dalla politica, le scelte degli elettori saranno guidate dagli scandali del passato, dai peccati di gioventù di uno dei due, e dall’efficacia dello slogan. E noi, in attesa dei prossimi titoli in cui scopriremo che qualcuno si è fatto una canna quarant’anni fa o che qualcun altro ha evaso il fisco, oppure che uno ha sedotto una tirocinante e l’altra ha avuto un flirt adolescenziale con una donna, faremo un tifo da stadio.
Intanto la politica estera, l’economia, i diritti, le scelte programmatiche, la visione del futuro o l’onestà intellettuale, di fronte a qualche scheletro nell’armadio, anche minuscolo (e che goduria se lo scheletro parla di sesso), saranno l’ultimo interesse dei contendenti.
Botte da orbi in arrivo, quindi, magari condite con intelligenza artificiale, fake news create ad arte e scandali in arrivo. Disorientare l’elettore è una delle arti della propaganda. E pensare che il vincitore sarà quello che picchia più duro non è confortante.
In conclusione: con il mondo a un passo dall’autodistruzione, con guerre atroci di cui non ci importa granché, con il popolo che si bea con le fesserie che girano in rete, con gli intellettuali neutralizzati, con la cultura umanistica disciolta, con l‘ambiente ridotto a una circostanza, con l’inutilità dei leader europei che si palesa sempre di più, con la politica estera che dipende dagli scandali di cui sarà oggetto uno dei due candidati (di certo non dal programma o dall’affidabilità della persona o dello schieramento) e con altre amenità che non sto ad elencare, a noi, umili spettatori del ridicolo, restano solo due parole: speriamo bene!
Claudio Fiorentini