Il libro di Vannacci è assai pericoloso ma non perché sia espressione di un punto di vista personale che, per quanto discutibile, merita rispetto, semmai perché, a seguito di una improvvida ribalta giornalistica, è diventato un best seller.
Il contenuto di questo libro sembra una raccolta di titoli di “Libero”, quindi un inventario di frecciate a chi la pensa in un certo modo, seguito da ragionamenti che, in alcuni casi, possono anche diventare interessanti spunti di discussione (ammesso che sia possibile la discussione). Il problema di questa impostazione è che certi ragionamenti, invece di aprire un dibattito, hanno la chiara intenzione di chiuderlo perché chi la pensa diversamente dall’autore è stato già identificato dallo stesso autore come uno che non capisce niente.
Senza entrare nel merito di ogni capitolo (ci vorrebbero mesi di lavoro per farlo), mi limiterò ad analizzare alcune tattiche comunicative che caratterizzano questo tipo di “letteratura” o di “giornalismo”.
Esprimere un’opinione è legittimo, esprimerla partendo da un panegirico (o da un titolo) che ridicolizza una certa situazione, è invece una pratica scorretta.
La stampa italiana, negli anni, si è convertita in un dispaccio di titoli. Ben ricordo che anni addietro lessi un articolo di economia molto interessante che aveva come titolo “Adesso sappiamo con chi scopa (nome e cognome che non ripeto, si trattava di una donna molto avvenente, all’epoca nelle liste di centrodestra)”. Alla fine della lettura, l’autore dell’articolo scriveva qualcosa come “avete letto un articolo di economia, ma se avessi messo un titolo in linea con il contenuto, lo avreste letto?”. Ecco la chiave.
I titoli dei giornali hanno una grande importanza dipendendo da come sono scritti. Molti ricorderanno il termine coniato da un quotidiano nazionale, “gretini”, per identificare un movimento di opinione ecologista che all’epoca stava nascendo. Oppure la “patata bollente” per irridere al, pur criticabile, operato dell’allora sindaca di Roma. Questi titoli hanno una funzione: ridurre il pensiero a una fotografia perché chi si identifica con titoli di quel livello prenderà di mira il soggetto del titolo senza minimamente curarsi dei contenuti. A meno che… a meno che non si tratti di un libro!
E se il libro diventa un soggetto politico? In altri articoli ho parlato di un tema sul quale non intendo ritornare, ricopio, però, un passaggio in cui mi riferivo alla classe politica: la scena politica italiana (ma non solo politica) oggi vive di capacità comunicativa più che di contenuti. Ma, la politica, per chiamarsi tale, necessita dell’approfondimento dei temi da trattare. Mancando quello, il “popolo” diventa una fabbrica di voti. Del resto basta uno slogan per convincere, e ben sappiamo che convincere equivale a vincere.
Ma il libro di Vannacci, che non meriterebbe la benché minima attenzione se non fosse diventato (per colpa delle testate giornalistiche che tanto ne hanno parlato riservandogli un prezioso servizio di pubblicità gratuita) il più venduto del mese, ha fatto un prezioso regalo a una certa classe politica, e può diventare una sorta di Manifesto.
E per quella specifica classe politica la cosa funziona benissimo perché i ragionamenti del generale donano allo slogan di parte un fondo che ora manca. Attenzione, però, i ragionamenti, che da soli potrebbero essere tema di dibattito, sono introdotti e infarciti di riferimenti a chi la pensa diversamente, curandosi di renderli ridicoli.
Ricordate quando Berlusconi parlava dei “comunisti” senza affrontare il tema del “pensiero” che essi rappresentavano? È lì che tutto è iniziato: basta mettere uno “stigma” (negativo) sull’avversario e il “popolo” è con te. Da lì sono nati movimenti di pari valore, dove tutto veniva ricondotto all’idiozia e l’incapacità dell’altro, riservando la conoscenza della “verità” al proprio “leader”. Insomma, basta identificare un avversario, dire che è sporco, brutto e cattivo, e poi proporre “perle di saggezza” che diventano verità assolute, uccidendo a priori ogni possibile contraddittorio.
Vannacci ha dalla sua tre lauree e una proprietà di linguaggio poco comune. Inoltre, il suo libro, a differenza degli studi scientifici che potrebbero smontare le sue tesi, è di facile lettura. L’avversario è una persona o una icona, ma non può controbattere anche perché, pur se fosse in grado di smontare i ragionamenti del generale, è stato già incasellato nella folta schiera degli idioti. Alla fine, Vannacci, quando dice di contrapporsi al pensiero “unico”, non fa altro che rappresentarlo.
Ecco la formula magica: prima di argomentare il proprio pensiero occorre ridicolizzare l’altro pensiero. Se l’altro pensiero è oggetto di burla, argomentare il proprio diventa un gioco da ragazzi. A prescindere dal fatto che si dicano cose sensate o che si faccia indegna propaganda.
Infine porrei una domanda: seppure qualcuno, con molto tempo a disposizione e armato di buona volontà, replicasse al libro di Vannacci argomentando a dovere tesi diverse dalle sue, avrebbe la stessa risonanza sulla stampa?
In conclusione, leggete Pirandello e Calvino, è mille volte meglio!
Claudio Fiorentini