Il Piuismo

Leggo che una star di Hollywood di neanche trent’anni fattura ottanta milioni l’anno, un’altra, a soli ventisette anni, ha avuto sei nomination all’oscar che gli valgono fior di fatture, un rapper tatuato e la sua compagna valgono qualche manciata di miliardi, una top model chiede per una sfilata di mezz’ora qualche valigia di bigliettoni, e un narcotrafficante messicano appena evaso è più ricco di Bill Gates… soldi, soldi, soldi… dati dallo star system… e successo, successo, successo… decretato dallo star system… e prime pagine nei media, concesse dal media system (se poi non troviamo più le parole in italiano per esprimerci è una triste conseguenza di quello che dico in questi primi paragrafi).

L’uomo più ricco, l’attore più bello, il giocatore più pagato, la cantante con il miglior didietro, il principe che pilota gli elicotteri, la donna più potente, il CEO più influente, la donna più attraente, per la maggior parte americani, solo alcuni inglesi, come la famiglia reale di cui tanto si parla, e ben pochi italiani, protagonisti di scandali o politici strilloni (già, questo è assai triste perché da circa vent’anni, ormai, vediamo che prende più voti chi strilla più forte, e non chi propone programmi di sviluppo credibili)… Ecco cosa propongono i “media”.

A noi rimangono le veline, i ballerini, i politicanti, i valletti, i palafrenieri, le belle amanti, quelli che sono arrivati e quelli che hanno svoltato, quelli che hanno trovato la panacea e quelli che si sono sistemati… e comunque è questione di soldi, solo soldi… e apparenza, apparenza, apparenza… che però te la permettono i soldi, soldi, soldi, perché una con un bel didietro non finisce sui giornali se non è ricca, e un bravo (brava) attore (attrice) non è nessuno se non ha ingaggi milionari…

Questi ed altri, dello stesso tenore, sono i nostri modelli, che in comune hanno il segno “più” da qualche parte, un superlativo che gli esce dalla tasca o un magnetismo misterioso (neanche tanto) stampato in fronte… roba che polarizza il desiderio dei comuni mortali o, meglio, delle masse (o, toccando un tema coerente con questo settembre, attraendo voti per quel più, e non per le idee).

Insomma, parliamo di miti. Miti contemporanei. O falsi miti. Tutti fuoriusciti dalla fabbrica di immagini che invade le nostre giornate, che sia attraverso i media, la rete o le foto sui giornali, che sia attraverso il sentito dire, la chiacchiera al bar o in mensa con amici o colleghi, che sia attraverso il commento critico di qualche sociologo o di qualche intellettuale, il risultato è che se ne parla, li si pensa, li si combatte o li si subisce, e pur nolenti li abbiamo tutti ben piantati nelle nostre teste.

Miti, o falsi miti, non importa. Sono loro, le immagini dei “più” che influenzano le nostre scelte e che determinano i nostri ritmi. E sono immagini, attenzione, non idee, qualcosa che lavora in un lampo, qualcosa che evoca desideri nascosti e che, consapevole della velocità di fruizione, non si dona al pensiero ma stimola il bisogno di essere immagine. E infine, si tratta immagini che non si traducono in idee e che dominano, appunto, l’immaginario collettivo. Immaginario che ci domina.

Nessuno uscirà illeso da questo continuo bombardamento. Anche il più refrattario, alla fine, si troverà un giorno a parlare di queste figure e di questi personaggi costruiti ad hoc dalla stampa e dai media, e dovrà fare i conti con ciò che oggi è diventato il nostro desiderio nascosto e il nostro modello.

Ma non scoraggiamoci. Esiste un’altra fabbrica di miti, silenziosa, persistente, penetrante… una fabbrica di miti diversa, che percepisce il vuoto e la falsità delle immagini dei “più” e vi si ribella, una fabbrica profonda e rigenerante da cui non possiamo fuggire. Loro, i “più”, provano a neutralizzarla, e forse ci riescono, in parte, in buona parte… loro ci provano, forse neanche lo sanno, ma tentano di convogliare le energie di questa fabbrica diversa verso le loro “piuità”, verso le loro mire… e ci convincono che anche loro sono parte di questo mondo silenzioso che si muove alla ricerca del mito, fabbricando o rigenerando un mito, vivendo con un mito in testa che non sia quello dei media, ma quello dei valori, per questo di quelle star da ottanta milioni l’anno si parla tanto, a volte anche inneggiando alla loro “disinteressata” opera di volontariato o di sostegno al volontariato…

Invece, questa fabbrica che pullula di operai squattrinati, di impiegati senza risparmi, di disoccupati che danno il proprio tempo (l’unico valore che gli rimane), e di manager laboriosi, questa fabbrica dove lavora la gente comune (che però a volte, anzi, spesso si fa la guerra, o si organizza in caste, o si ghettizza o si organizza in consorterie) costruisce, ci prova almeno, i nuovi miti.

Non è una fabbrica ideale, però è una fabbrica di ideali, anche se un po’ pasticciata, disorganizzata e contaminata dalla “piuità”… è una fabbrica di miti silenziosa, persistente, penetrante, e si chiama umanità! Sì, perché ancora esiste l’umanità e il suo operato si manifesta attraverso l’arte, la creatività, l’intelletto, la libertà, la voglia di fare, la necessità di vivere, di amare, di cantare, di giocare, di ridere, di abbracciare, di baciare, di sognare… e di affermare il solo ed unico principio per cui vale la pena combattere fino alla morte, che è quello che ti permette di dire: “io sono vivo, e sono io, sono me, sono la mia voce interiore, la ascolto, la seguo… per questo non solo esisto, ma sono, e mi manifesto per quello che sono, e amo grazie a quello che sono ”…

Questa seconda fabbrica di miti, pur nella sua imperfezione, ci propone un’alternativa alla più roboante e inimitabile fabbrica dei (falsi) miti contemporanei, proprio perché i falsi miti, spiegati all’inizio di questa mia alzata di scudi, sono schiavi del loro tempo, quando invece i miti di questa seconda fabbrica sono eterni, e si traducono in valori, sentimenti, sogni. Sono cose che non si toccano e che, pur non allineandoci ai desideri del “piuismo”, semplicemente, ci rendono migliori.

Se solo la fabbrica fosse meglio organizzata, libera da contaminazioni “piuistiche” o da personalizzazioni patologiche e maggiormente fondata sul senso di appartenenza, sulla voglia di collaborare, sulla presa di coscienza che un mito prodotto lì dentro può cambiare il mondo, allora se ne vedrebbero delle belle, e quella pletora di falsi miti si vedrebbe ridimensionata a fotografie da rotocalco di serie B, di cui parlare solo trenta secondi e basta, sì, basta! Perché alla fine tutti abbiamo di meglio da fare!

Claudio Fiorentini