È sulla quarantina, di aspetto gradevole, passa spesso davanti alla galleria. Cammina sempre un po’ ingobbita e, quando si ferma al bar, passa tutto il suo tempo a guardare il display del telefonino e a digitare chissà quale messaggio. Il rito della colazione mattutina è sempre lo stesso, sigarette e chat, mai una chiacchiera con amici, mai che sollevi lo sguardo dal telefonino. Ingobbita a leggere e a scrivere parole frettolose, per poi far scorrere di nuovo il dito sul display, in su o in giù, alla ricerca delle risposte che ancora deve dare.
La sua postura è determinata dalla posizione del corpo in fase “chat”, e anche quando cammina non guarda avanti, ma sempre in giù; non assume una posizione eretta e sembra “attartarugata” su qualcosa, come se dovesse farsi scudo e proteggere una verità nascosta. La “chat” è entrata nella sua vita e la domina, salvo poi trovare momenti di distensione con amici o conoscenti, naturalmente facendosi un selfie da mettere in rete.
Come lei ne esistono milioni, tutti con lo stesso vizio, molti li ho osservati di sfuggita, ma lei è cliente abituale del bar e ho potuto osservarla con più attenzione. Da questa osservazione sorge qualche domanda: questo fenomeno dei giorni nostri, la chat, cos’ha di così affascinante? E cosa ci impedisce di fare?
La “chat” si sviluppa in un ambiente protetto, è privata e ha fretta, richiede risposte rapide e, in pochi istanti, la nostra postura diventa come un guscio che ricopre il display luminoso. Se paragonassimo la postura “fase chat” con la postura di chi legge un quotidiano, noteremmo molte differenze: innanzi tutto il quotidiano ti obbliga ad aprire le braccia, ti costringe a movimenti ampi come quando volti pagina per poi ripiegarla a piacere, secondo i diversi stili di lettura, mentre la “chat” obbliga a chiudersi sul display e i movimenti di apertura scompaiono. Come conseguenza, ci si sente protetti e si può elargire il privato attraverso un insano mondo virtuale.
Ora veniamo ai possibili tranelli.
Quando ci si sente protetti si vive nel segreto. La “chat” porta, spesso, a dire cose che in pubblico si nascondono. Certo, molti messaggi sono di approvazione dell’altro, una sorta di enfatizzazione dell’incoraggiamento, ma senza impegno perché un conto è guardare negli occhi l’amico in difficoltà e dirgli “forza, vai avanti”, magari con lo sguardo umido, un conto è scrivere un messaggio sgrammaticato che non impegna l’anima.
La “chat” enfatizza l’ipocrisia? In parte sì, ma da un’altra parte consente di esprimersi senza coinvolgimento. Anzi, sapendo che si sviluppa nel segreto delle videate che non condividi con nessuno, ha il dono della clandestinità e può farti esprimere quello che a quattr’occhi non riusciresti a dire perché non ti vede nessuno e ti legge solo l’interlocutore. E poi dura un attimo. Ma dopo il primo messaggio ogni momento è buono per sbirciare il telefonino in cerca di risposta. Se la risposta tarda, l’occasione è ghiotta per cercare nuovi messaggi da altri “amici”, e magari rispondere se non con parole, almeno con una “emoticon”.
La “chat” va consumata quando il messaggio è fresco di trasmissione perché circoscritto all’emozione del momento. Se passa tempo tra un messaggio e l’altro, l’emozione, che per sua natura è effimera, cambia e il messaggio ricevuto in risposta richiede, al momento della lettura, la rilettura del messaggio precedente e, con essa, la rievocazione delle emozioni che l’hanno accompagnato.
Poi comunque arriva la risposta che attendevi, e allora la leggi, la interpreti a modo tuo, ci ricami sopra qualche sceneggiatura personale e privata, tanto la persona non la vedi, e rispondi di nuovo, vuoi per chiarire il messaggio o la risposta di prima, perché il malinteso è lì lì, pronto ad assediarti, vuoi perché il tuo interlocutore va coccolato… insomma, alla fine chatti, e chatti ancora, e chatti sempre, e ti viene la tendinite al pollice e ti ingobbisci.
L’isolamento dall’ambiente circostante non solo ti impedisce di guardare il cielo, di respirare l’odore della pioggia, l’aroma del caffè o di sentire il cinguettio di qualche raro uccello appollaiato sul ramo, ma ti convince che gli scambi di parole e di selfie siano la vita reale e credi che i tuoi “amici” in rete siano amici veri. E forse riduci l’amicizia a incontri frugali post “chat” quando tutto è stato detto, dimenticando che il suo valore è nello scambio di energie che solo gli sguardi o gli abbracci possono trasmettere. Si tratta di energie che crescono dentro e che consentono di far sentire all’amico o all’amica anche un semplice “ci sono”, anche da lontano, anche sotto forma di pensiero. Non di “chat”.
Altro tranello della “chat” risiede nell’illusione del protagonismo. Il messaggio è solo tuo, ma pretendi che l’interlocutore gli dia il giusto valore, specie se è breve, specie se è di approvazione. Se non lo legge subito, quel messaggio perde valore. Infatti, nel momento dell’invio, sei tu (o questo credi) chi si materializza nella mente dell’altro. Ma proprio questo è il suo limite, perché la “chat”, a differenza della lettera, è effimera, dura un attimo e vive di strascichi personali, non di approfondimenti o di argomentazioni.
Ah, dimenticavo: il dono della sintesi. La sintesi è prerogativa della poesia, ma la poesia contiene il non detto e si esprime nella lettura in profondità. La “chat” è ben lontana da queste caratteristiche e se, per caso o per pignoleria, nei messaggi ci metti qualche argomentazione, la risposta può essere “non ho tempo ora, ti leggerò in un altro momento”. Vana illusione, perché quel momento non verrà, sarà sommerso da altri messaggini insulsi, immediati, di solito di approvazione perché, si sa, in un mondo pieno di insicurezze, l’approvazione è quanto di più ricercato. E si digerisce nella fretta, e in fretta.
Bene, allora a che serve la “chat”? Certo, l’innovazione tecnologica ci ha portato tante cose utili come la possibilità di comunicare in tempo reale questioni necessarie come “sono in ritardo, scusa” o come “la cena è alle 20,00” o come “atterrato”, ma la nostra vanità va ben oltre e a seguito di un messaggio ne vengono sempre altri, sempre frettolosi, sempre privi di contenuti concreti, sempre mascherati dalla virtualità. E falsi, perché anche se in un messaggio metti un pezzo di te, verrà un messaggio da altri, si sovrapporrà al primo, ruberà la tua attenzione, sfrutterà il tempo che riservi alla “chat”, e ti fagociterà ingobbendoti, isolandoti, regalandoti l’illusione di comunicare mentre ti rifugi in un guscio, e nulla sarà più importante della digitazione di un messaggino o dell’invio di una “emoticon”, mentre la vita scorre intorno a te e tra sorrisi, smorfie, gesti, rumori, odori e sapori, passa e se ne va, per non tornare mai indietro. E tu non te ne avvedi.
Claudio Fiorentini