IA vs IN, vera sfida?

Lo straordinario sviluppo della tecnologia che, negli ultimi decenni, ha dato nuovi volti al mondo del lavoro, dello studio e della vita quotidiana, ha avuto risvolti positivi e risvolti negativi. Quelli positivi, è evidente, hanno inciso moltissimo sul nostro benessere e sulla nostra salute, quelli negativi, che non possono essere derubricati a effetti collaterali, sono conseguenti alla velocità dello stesso sviluppo, all’avidità dei sistemi economici e produttivi, e alla difficoltà di controllare la loro influenza sull’educazione e sulla vita sociale dell’individuo.

Il tema delle reti (a)sociali è già stato trattato in articoli precedenti e non mi ripeterò, quindi passerò direttamente alle nuove tecnologie che si affacciano all’orizzonte e che avranno un impatto drammatico sulla nostra vita quotidiana. Tentare di immaginare gli effetti di queste tecnologie dovrebbe servirci di aiuto per evitare di esserne travolti.

Parliamo, quindi, di intelligenza artificiale e, parallelamente, di come si sta sviluppando l’intelligenza umana, quella naturale.

Partiamo da una constatazione: se è artificiale non è intelligenza, ma è un programma SW e, per quanto evoluto, resta una macchina. L’intelligenza umana è così complessa (per fortuna) che un programma SW non potrà mai uguagliarla. Un esempio: tu vedi un cavallo e sai che è un cavallo, la macchina deve vedere decine di migliaia di modelli prima di apprendere che un cavallo è un cavallo.

Detto questo, i sistemi di elaborazione di oggi sono estremamente evoluti e i dati a disposizione sono quasi illimitati, e se in un contesto specifico l’uomo impiega ore o giorni per cercare negli archivi i dati che gli occorrono per svolgere un lavoro, la macchina quei dati li trova rapidamente e, altrettanto rapidamente, li analizza e li confronta con tutto quello che trova in rete. 

Con capacità di ricerca e di elaborazione rapidissime, un lavoro ripetitivo che si basa su stime e rilevazioni, può facilmente essere fatto in un batter di ciglia da una macchina. È per questo che professioni nel campo della finanza, dell’economia, delle assicurazioni, etc… possono essere in gran parte realizzate da sistemi automatizzati. Invece, progettisti, architetti, ingegneri, medici, ricercatori, etc… non saranno necessariamente sostituiti dalla macchina, ma coadiuvati, perché l’elemento creativo e la capacità decisionale sono, per fortuna, ancora patrimonio umano. Infine, i creativi, gli artisti, i musicisti, etc… possono utilizzare la macchina come uno strumento in più. Per ora.

Così come l’automazione ha sostituito le braccia, l’intelligenza artificiale sostituirà la parte del cervello destinata a lavori ripetitivi, a meno che non si voglia che la macchina abbia scopi più alti, come consigliere bellico, ministro dell’industria o roba simile, sostituendosi all’uomo e diventando una sorta di estensione del pensiero della persona che la usa, relegando il potere decisionale di governi e di industrie alla sola interazione tra titolare ed elaboratore. Scenario non impossibile e neanche troppo fantascientifico, anzi, sempre più probabile dal momento in cui l’intelligenza umana vive in stato quasi ipnotico. Ma non auspicabile e innegabilmente pericoloso. 

Ho scritto “stato ipnotico” e occorre una spiegazione: se da un lato l’evoluzione e lo sviluppo della tecnologia non si ferma, dall’altro l’evoluzione dell’intelligenza umana, dopo aver raggiunto il suo apice nel secolo scorso, sembra aver iniziato un rallentamento se non, addirittura, un’inversione di rotta. Non è raro leggere articoli in cui si parla di un decadimento del QI medio, che forse non era tanto alto due secoli fa ma che, probabilmente, ha avuto un forte incremento arrivando al suo apice in tempi recenti.

Per osservarne il declino non è necessario scomodare studi e ricerche, basta osservare un fenomeno recente che vede l’uomo più “evoluto” rientrare nel proprio guscio, quasi fosse una tartaruga, fatto di certezze e protezione e che ha come protagonisti gli slogan, i titoli, le fake news, i messaggi brevi e roba simile, e che ha come sceneggiatura il plot più antico del mondo: la lotta tra il bene e il male, che nei videogiochi diventa parossistica, essendo il buono colui che controlla il joystick, e nelle reti sociali si combatte a colpi di “mi piace” o usando la terribile arma del “ti banno” o “ti cancello dagli amici”. E la vita si riassume in attività dove il pensiero latita. 

Queste attività si sono sostituite ad altre, molto più impegnative, come la lettura o il gioco di squadra su di un prato, la prima campione di sviluppo del pensiero, la seconda portatrice di concertazione e di definizione degli accordi (le regole del gioco) e di ascolto dell’altro, con un arbitro che decide l’esito delle controversie. 

Certo, la tecnologia non è la fonte di tutti i mali e il problema è principalmente di contenuti, ma occorre ammettere che le reti sociali, i videogiochi, la TV e gli altri strumenti di fruizione, portatili e integrati, intelligenti e popolari, sono entrati con furore nelle nostre vite ed hanno diversi scopi: intrattenere, isolare, divertire, virtualizzare, illudere, mentire, occupare, e tutto questo riducendo a schemi semplicistici le cose complesse… tutto più veloce, cultura in pillole e saggezza in slogan, condizionando la scelta di contenuti e costituendo quasi un modello di vita. Approfondire, argomentare, dibattere, verificare le fonti e magari cercare anche un contraddittorio, questo mai, perché non abbiamo tempo. 

Paradossalmente, alcuni di questi strumenti sono gli stessi che danno accesso alle informazioni, in quantità impensabile, che consentirebbero di istruire e di arricchire il pensiero. Purtroppo non è questo, se non in casi sporadici, l’uso finale che gli viene dato, perché in quelle mefitiche realtà si è sviluppato uno spazio di protagonismo che ogni individuo, vittima del proprio ego, riempie di nulla. Certo, di questo abbiamo già parlato, ma vale la pena ricordarlo.

Ora concentriamoci sull’effetto devastante che si vede sulle nostre intelligenze e, peggio, sulle nostre menti. Questo effetto è riassumibile nella contrazione della capacità di analisi, ci basta quello che leggiamo nei titoli in grassetto, e il muscolo più prezioso, il cervello, è quello che alleniamo di meno.

Qui viene colta una nuova contraddizione: se con l’automazione il lavoro fisico dell’uomo si è semplificato portando a nuove conquiste come, ad esempio, il tempo libero, questo tempo spesso viene riempito con attività fisiche; se con l’informatizzazione, e ben presto con l’intelligenzartificializzazione, il muscolo che si libererà sarà il cervello, o almeno la parte che destiniamo alle attività intellettive ripetitive, ci sarà da vedere se lo alleneremo in palestra perché tali palestre, per quanto esistano da secoli, sono quasi in disuso. 

Riassumendo: con il progressivo calo di utilizzo dell’intelligenza umana, con la riduzione evidente delle capacità intellettive, l’arrivo di strumenti quali l’IA diventa una vera sfida non per lo strumento in sé, ma per la perduta capacità di analisi, di approfondimento, di studio e di argomentazione che, essendo in fase di regressione, rende l’uomo vulnerabile.

Resta da vedere se la progressiva riduzione di utilizzo dell’intelligenza umana ha un limite e magari, invece di consumarci in realtà “orwelliane”, vivremo una fase di risveglio in cui gli studi umanistici, artistici, filosofici e creativi, prolifereranno come palestre per il pensiero. 

Insomma, l’uomo deve scegliere se essere messo alla berlina dalla macchina, oppure se superarla, semplicemente allenando la propria mente. E deve capire se è meglio farlo ora o aspettare di toccare il fondo, come probabilmente (e tristemente) tenderà a fare, per annaspare nei, sempre più difficili, tentativi di risalita.

E ricordiamo che, per non soccombere, è sempre bene avere un libro tra le mani. 

Claudio Fiorentini

 

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