L’eredità del pensiero

Mi capita di vedere, assai spesso, delle foto di tempi andati, neanche tanto lontani, in cui i soggetti sono alle prese con le innovazioni del momento: le prime automobili, i primi telefoni, i primi aerei e i primi riproduttori sonori (radio, giranastri, registratori a cassette…). Guardando quelle foto con occhio romantico, spesso si prova un po’ di nostalgia per come eravamo o, meglio, per come erano i nostri predecessori e per quello che li distingueva, come il sorriso orgoglioso, il portamento fiero, lo sguardo innocente… atteggiamenti che possono anche sembrarci ingenui.

Certo, vedere la foto di un uomo fiero della sua moto, un vecchio ferro senza ammortizzatori e con una scomodissima sella in cuoio rigido, oggi ci fa un po’ ridere, ma ieri forse avremmo invidiato quell’uomo. Il nostro sorridere per il suo atteggiamento dovrebbe, invece, esplorare lo sguardo di chi non aveva la moto e considerava un “mito” il signore baffuto che la teneva per il manubrio. E dovremmo anche ricordare che se fossimo stati lì, forse saremmo stati dalla parte degli invidiosi o dei desideranti, perché l’oggetto era per pochi.

Ebbene, oggi l’innovazione tecnologica è arrivata a un punto tale che quelle foto, a volte sgranate e graffiate, sono disponibili in rete e appaiono con un “pop up” a ricordarci che eravamo (erano) così, e spesso sorridiamo dicendo “com’erano ridicoli”.

Ora, però, facciamo un salto nel tempo, e immaginiamo che un nostro discendente, tra cinquant’anni o giù di lì, si diverta a guardare le immagini, i filmati, le stampe 3D e roba del genere, che rappresentano il nostro oggi. Non so se il discendente avrà lo stesso nostro atteggiamento, ma mi piace pensare che forse sorriderà dicendo “come erano ridicoli” trovando antiquate le innovazioni che oggi mostriamo con orgoglio (il cellulare, l’automobile ibrida con i migliori ADAS, la tuta tecnologica con la quale andiamo a correre, il tablet, l’asciugacapelli robotizzato, eccetera).

Ridicoli, dolci e teneri social network addicted, bellissimi palestrati e palestrate tatuati e tatuate che neanche si vede la pelle, strabilianti DJ che gestiscono la playlist dal cellulare, orgogliosi genitori che portano a passeggio i bambini col volto illuminato dal display… tra poco sarà antichità. E succederà in fretta, perché la tecnologia avanza a una velocità tale che difficilmente potremo seguirne gli sviluppi.

Già, sappiate che quando un nostro discendente parlerà (non so se con nostalgia) dei (bei) tempi andati, parlerà di noi. E non ci vedrà come innovatori o come rivoluzionari, ma come vecchi sognatori che credevano in qualcosa, ammesso che noi si creda in qualcosa, e ammesso che quel “qualcosa” esista.

Ma la vita non ha pietà, va avanti senza pensarci su, per questo, quando vedo la reazione di chi si trova davanti a una foto d’epoca, mi viene voglia di schiaffeggiarlo: ci sono voluti un bel po’ di millenni di evoluzione della specie per arrivare a quella foto, e tu ti concentri in quel pugno di anni che ti separano da quel momento pensando che “erano ridicoli, teneri, dolci, ingenui e belli”. Poi gli direi: “Non crederci, è tutto una farsa, la storia non comincia con la memoria esterna, comincia prima!”

Ops, ho detto memoria esterna… chiarisco: la storia documentata inizia coi graffiti rupestri, le prime tracce che l’uomo ha lasciato, in maniera del tutto volontaria, su un pezzo di roccia. La memoria esterna è prodotto di un’alterazione dell’equilibrio naturale, un artificio tecnologico (a partire dal carbone strusciato sulla parte) che può resistere al passo del tempo: un utensile, un graffito, un dente d’oro, un pettine, un disegno, un tovagliolo ricamato, un testo scritto… parte di questa memoria racconta la storia dal punto di vista tecnologico, un’altra parte racconta soprattutto l’anima di quel tempo, e spesso lo fa attraverso una rappresentazione artistica, o attraverso un semplice abbellimento come, appunto, un ricamo su un tovagliolo. Ecco la memoria esterna, un’estensione dell’uomo, espressione di contenuti profondi che, però, possono essere tramandati.

Questa memoria esterna, che inizialmente era un graffito in una caverna, col tempo si è andata via via trasformando, ed ecco che sono apparsi i primi dipinti, i libri, gli spartiti… roba fatta a mano, e in un tempo assai recente ha iniziato a utilizzare la tecnologia, l’elettronica o chimica, e quindi abbiamo la fotografia e i suoi derivati, come il cinema, e la registrazione audio o video, con tutti i suoi derivati. Ancora non riusciamo a registrare i profumi, ma qualche giorno ci riusciremo. Parola chiave: registrazione. Si tratta di un concetto assai recente.

L’uso che si è fatto degli strumenti di registrazione a partire dagli anni sessanta, cioè da quando il registratore a cassetta o la macchina fotografica sono diventati accessori d’uso comune in quasi tutte le case, è stato esteso anche all’arte. Pensate anche alla commistione tra fotografia e pittura. Pensate anche a quanti musicisti contemporanei, che non sapevano scrivere musica, hanno scritto canzoni bellissime e ne hanno sviluppato arrangiamento e melodia grazie a questo strumento.

Un esempio virtuoso, così, tanto per divagare un paio di righe, sono stati i Beatles, la cui creatività si è espressa al massimo proprio quando hanno rinunciato ai concerti dal vivo e si sono chiusi in uno studio di registrazione dove, appunto, registravano tutto quello che facevano e poi sperimentavano, si riascoltavano scegliendo, ripulendo, facendo girare al contrario, assemblando e ripetendo per poi tirar fuori dei capolavori.

Torniamo in tema: “come erano dolci” o “come erano ridicoli”, lo possiamo dire solo da quando è iniziata la “registrazione” della vita. Da quando è nata la memoria esterna, insomma. È storia recente, diciamo forse un centinaio di anni facendo cifra tonda? E gli altri cinquecentomila anni di evoluzione della specie sono serviti a farci arrivare a questo minuscolo frammento di storia che possiamo rivivere con nostalgia…

Direi anche che, proprio per questo, la nostalgia è un’emozione che vede uno sviluppo incontrollato negli ultimi decenni. Prima no, prima c’era altro da fare e per spolverare quei frammenti di vita passata si doveva ricorrere solo alla memoria interna (ma occorreva avere un po’ di tempo libero per farlo, e il tempo libero è una conquista recente), oppure occorreva leggere un libro (chi sapeva leggere, però, erano quattro gatti).

La nostalgia, quindi, è un’emozione del tutto inutile che non fa parte dell’evoluzione del Sapiens (perché, ricordiamolo, le emozioni sono meccanismi di difesa) ma che ben si sviluppa a partire da quando l’uomo ha il tempo libero e gli strumenti tecnologici per rispolverare l’insana voglia di dire “ah, i bei tempi andati”.

Tutto questo giro per dire che le foto ingiallite, che pure sono belle, o quelle coi colori sbiaditi, sempre affascinanti, o la registrazione di suoni, meglio se sono passati di moda… insomma, quella roba che ci restituisce la memoria esterna e che serve per farci rimpiangere qualcosa che non ci appartiene, sono verità drammaticamente parziali e sono il ritratto di una menzogna che ci impedisce di guardare al futuro. La verità delle cose non è nella nostra nostalgia o nel nostro “com’erano dolci e carini”, ma è qualcosa di assai più complesso come i denti cariati, la mancanza di igiene, l’alimentazione malsana, la vecchiaia precoce, il mal di schiena, l’artrite e via dicendo, cose che la memoria esterna, proprio perché esterna, nasconde.

Quindi bando alla nostalgia, chiediamoci piuttosto cosa direbbe di noi un nostro discendente tra una cinquantina di anni, quando esplorerà la nostra ipersatura memoria esterna e se dovesse ridere di noi, magari pensiamoci prima, perché forse potrebbe essere bello popolare la nostra memoria esterna con dei pensieri forti più che con immagini di piatti di pastasciutta, di spalle tatuate, di sorrisi da foto ricordo e di incompleti ricordi ingialliti, che sono belli, ma che dovrebbero servire per guardare avanti e non indietro.

Pensiamoci prima, perché ai nostri discendenti dovremmo lasciare in eredità non la nostalgia, ma il pensiero.

Claudio Fiorentini

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