Dov’è il complotto?


Mentre la stampa si concentra su guerre, nomine e partite di calcio, la rete continua a proporre la sua sequela di false notizie e di giudizi di improvvisati esperti che continuano a dirci che c’è un complotto, anzi, una serie di complotti che ci riducono a nullità, o che impongono l’acquisto di questo o di quello. 

Il complotto esiste da anni, e si chiama marketing. Il marketing si basa su dati di mercato, in fondo è uno studio dei comportamenti del consumatore e, se applicato a una visione del futuro, è chiaro che incide sulle nostre scelte. Il mercato, piaccia o no, siamo noi. 

Ma il marketing non è solo un complotto, è anche una visione della realtà e del futuro e a volte prende in considerazione le scelte strategiche a livello nazionale se non continentale.

Potremmo dividere il marketing, per questa nostra breve riflessione, in due linee guida: ricerche di bisogni futuri per scopi prevalentemente commerciali e sviluppo di mercati per tecnologie necessarie al bene comune.

La prima linea è facile da identificare, basti pensare a come si è sviluppata l’ormai irrinunciabile telefonia mobile, sempre più integrata, sempre più invasiva, nata da un bisogno che negli anni ottanta non avremmo mai pensato di avere. Era necessaria? Evidentemente no, e anche oggi l’uso principale che si fa del telefonino (riduttivo chiamarlo così), se non per lavoro, è in gran parte ludico e porta a fornire alla rete dati su dati, segreti personali, gusti e tendenze… sono dati che vengono usati per indagini di mercato e, quelli sì, servono per guidare i nostri consumi. Non è da demonizzare, ma viene da chiedersi perché gli utilizzatori non si rendono conto del gran mercato che stanno alimentando, fornendo dati privati in modo assolutamente volontario. E gratuito.

La seconda, e qui tocchiamo temi delicati, segue delle impostazioni strategiche, non sempre gradite, spesso necessarie per lo sviluppo economico e industriale dei Paesi o delle Unioni di Paesi. Ha, quindi, anche una valenza politica. Ma attenzione: se si definiscono i piani strategici, si tiene presente una realtà colossale che potrebbe darci o toglierci il futuro sia come realtà sociale che come individui. Un esempio? Beh, l’ambiente. O anche le prospettive di sviluppo tecnologico che, credetemi, non si fermano al presente. Un altro esempio? Semplice: il petrolio è una risorsa a termine e, secondo alcuni studi, ai ritmi di estrazione che si hanno oggi, potrebbe finire tra pochi decenni.

Quindi, da una parte la creazione di bisogni per avere nuovi mercati da sviluppare, dall’altra la visione di criticità future che determinano la necessità di cambiare rotta. 

Veniamo ora al dente cariato: i complottisti. Già.perché il complotto c’è. Ma dove? 

Le reti sociali sono un indicatore di come lavorano questi teorici del complotto che, guarda caso, non prendono mai di mira la prima linea, ma sempre la seconda. Già, perché se la prima tocca la sfera individuale, quindi solo quella del consumatore, la seconda è dettata dai piani strategici, quindi dai governi. Qui si toccano interessi economici di alto livello, a volte nazionali, a volte, come nel caso dell’Unione Europea, comunitari. E i complottisti, di solito disinformatori disinformati (a volte anche in buona fede), è lì che danno battaglia. 

Potremmo dire che se una campagna pubblicitaria ti porta a comprare le mutande con la firma sull’elastico, il complotto non lo vede nessuno, e tutti a comparare mutande con la firma sull’elastico. Invece, se si definiscono piani strategici (un esempio lo vediamo nel Next generation Europe, o anche nei piani proposti dai ministeri per lo sviluppo economico dei vari Paesi), allora sì c’è complotto. Intanto, con indosso le mutande con la firma sull’elastico comprate l’altro ieri, il guru della rete ti dice quali sono i grandi complotti, quelli orditi da chi ci vuole fregare, controllare, ridurre a consumatori di quello che vogliono loro.

Quando gli interessi sono di grande portata, però, questo lo dimentichiamo, chi ha interessi contrari ha nelle mani un’arma infallibile che sulla rete funziona e si diffonde più di un virus: la creazione di false notizie, o la diffusione di notizie parziali. Basta uno slogan, e il gioco è fatto. 

Cito un esempio che, di recente, ha avuto una grande diffusione: i materiali necessari per produrre la batteria di un’automobile elettrica. Non riporto il post, sicuramente lo avrete visto in rete, ma facciamo una considerazione semplice: è vero che le materie prime utilizzate per produrre batterie sono molte e che per produrre queste batterie si fa violenza alla natura e si danneggia l’ecosistema. Su questo è impossibile non essere d’accordo. Però il ragionamento dovrebbe essere più articolato, per esempio, si dovrebbe dire che la batteria di un’automobile dura 80.000 km (o 4 anni) e che per percorrere questa distanza occorrono circa 250 ricariche. Ah, e dove viaggia l’energia? Su rete elettrica. 

Facciamo il confronto con un’automobile media a benzina: in 80.000 Km consuma poco meno di 8.000 litri di carburante e alcuni litri di oli lubrificanti. Per produrre 8.000 litri di benzina occorrono circa 24.000 litri di petrolio. Per estrarlo si fanno quei pozzi che inquinano e distruggono aree a noi sconosciute, il petrolio viene trasportato in petroliere, oleodotti, treni o camion, e poi deve essere raffinato in impianti appositi, che sono le raffinerie, e una volta raffinata, questa benzina, viene trasportata in autocisterne che scaricano migliaia di litri di carburante in serbatoi sotterranei, e poi distribuita alla pompa. A voi fare due conti… 

Naturalmente occorre considerare la produzione di energia elettrica necessaria a ricaricare la batteria e l’intero sistema di produzione deve essere all’altezza, quindi in buona parte riconvertito a fonti meno inquinanti dei combustibili fossili e potremmo dire, lo dimostrano progetti come Noor, in Marocco (ne abbiamo parlato in un articolo qualche mese fa), che un’alternativa ecologica è possibile. In buona sostanza, comunque, avendo meno autobotti, meno raffinerie, meno oleodotti, meno stazioni di servizio con serbatoi che, se dismessi, rendono l’area impossibile da bonificare, eccetera, forse qualcosa ci guadagneremmo. 

A questo ragionamento andrebbero aggiunti vari altri dati, come la produzione e il funzionamento dei motori, ma mi dilungherei troppo. 

Certo, c’è ancora molto da fare, ma la riconversione è in corso e, se gli interessi di potenze che vorrebbero che l’Europa tornasse a dividersi non trovassero il favore del popolo della rete e, quindi, anche di elettori un po’ reazionari, la strada sarebbe più facile da percorrere e sarebbe ricca di opportunità di crescita e di sviluppo. Che vuol dire anche più lavoro. 

La mia è una riflessione, nulla di più. Il marketing puramente commerciale non è un pasto appetibile per i complottisti, eppure è quanto di più simile a un complotto. I piani strategici, che poi rivoluzionano i mercati, sono invece strade da percorrere, a volte piene di insidie. L’insidia più evidente sono proprio i complottisti che, spesso, non si rendono conto di fare il gioco di chi rema contro studi scientifici e ricerche di alto livello, che dovrebbero portare l’umanità di oggi verso l’umanità del futuro. Speriamo migliore. 

Claudio Fiorentini

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