Difesa Europea o Rearm Europe

Bandiere dell'Europa al vento. Ue
Bandiere dell'Europa. (Lapresse)

Le recenti polemiche sul Manifesto di Ventotene dimostrano che il senso della storia è ben lontano dal pensiero comune. Il cittadino, che difficilmente si è curato di leggere il Manifesto, si trova a combattere con le tifoserie, spesso alimentate da politici poco avveduti, che ben poco chiariscono il contesto in cui questo sogno di un’Europa Unita è stato messo su carta. Lo si può anche capire, non si tratta di un documento di facile lettura, ma nessun “pensiero” è semplice, articolarlo è spesso una sfida e per noi, assuefatti dagli slogan a cui ci hanno abituato le reti sociali che di certo non sono il miglior supporto per la nostra capacità di analisi, lo è ancora di più. 

Tuttavia, circoscrivere il nostro articolo ad alcuni passaggi essenziali, rende più agibile l’approccio con il Manifesto che, chi ne ha voglia, potrà leggere per intero, cosa che raccomandiamo vivamente. Veniamo, quindi, ad alcune parti che meritano di essere sottolineate e discusse perché di estrema attualità e perché dimostrano che i tre autori, Altiero Spinelli, Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi, nel loro confino, immersi in un contesto storico atroce, ebbero una visione, sognarono un mondo migliore e, in circa venti pagine, posero le basi per una trasformazione epocale, qualcosa che avrebbe potuto cambiare la storia. 

Iniziamo ad invogliare alla sua lettura con una parte in cui troviamo la definizione di “progressisti”, nel manifesto contrapposti ai “reazionari”. Chiariamo: i progressisti non sono circoscritti in una specifica area politica, essere progressisti (come ebbi occasione di scrivere in altri articoli) indica avere una visione di futuro, una chiara idea di come evolve, o come dovrebbe evolvere, la nostra società. Nel testo dei tre visionari, che tra l’altro provenivano da tre diverse aree politiche, troviamo questo paragrafo: 

La linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai, non lungo la linea formale della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale. 

Certo, anche questo va contestualizzato, ma non troppo, perché le forze reazionarie di allora non sono state del tutto messe a tacere. Nel Manifesto si definisce una netta divisione: da una parte ciò che unisce le forze reazionarie, e dall’altra la creazione di un solido stato internazionale. Quindi, dividere da una parte e unire dall’altra. Queste chiavi interpretative trascendono la gestione politica e le vediamo chiaramente rappresentate in minacce attuali in cui totalitarismi e isolazionismi, sebbene mascherati da democrazie, sono sempre più frementi, anche in occidente, e vediamo come ad essi si contrappongono movimenti, che siano nazionali o trasnazionali, che, invece, cercano una più solida unione. O quantomeno, a volte – va detto –  in modo deficitario, la via del dialogo. Mi permetto di dire che questa via andrebbe sempre percorsa.

Chiaramente, le mire espansionistiche di alcuni traggono giovamento dalla divisione di chi, invece, tenta di unire le forze alla ricerca dell’unione. Già, l’unione fa la forza, ma non solo, l’unione è un esempio di concordia che, con tutti i suoi difetti e le sue pecche, traccia un percorso alternativo probabilmente cercando di essere virtuoso. 

Comunque, secondo noi, è sempre più virtuoso il peggior cammino dell’unione che il miglior cammino della divisione.

E qui veniamo a uno dei punti discussi da tempo e di recente enfatizzati fino alla nausea: la difesa comune. Non è pensabile che la difesa comune europea si realizzi in tempi brevi, del resto se ne discute da anni senza arrivare a nulla anche perché, con l’ombrello della NATO a farla da padrone, la Comunità Europea non ha avuto bisogno di rimettere il tema sul tavolo. 

Oggi, però, succede che il maggior alleato di questa coalizione ha perso credibilità, anzi, appare come una potenziale minaccia anche perché guidato da folli imprevedibili e da tecnocrati, ahimè, un po’ estremisti. Lo si vede non solo per la guerra dei dazi e per alcune palesi mire espansionistiche, ma anche per aver messo sul tavolo alleanze discutibili, ben diverse da quelle in atto fino a pochi mesi fa. Certo, vorranno riportare in vita i patti di Abramo, sostenere Netanyahu (qui non parlo di religioni o di popoli, ma di scelte politiche criminali) nella sua follia, sostenere Putin (ancora una volta, non parlo di popoli o di religioni, ma di scelte politiche criminali) ottenendo una spartizione di territori, vorranno accaparrarsi la gestione di risorse preziose, probabilmente insisteranno nel fare di Gaza un resort per ricchi e tante altre belle cose che creeranno ulteriore instabilità e porteranno altre divisioni, messe in atto da tifoserie politiche prive di senso dello Stato o di visione democratica. E porteranno altra disperazione a chi di disperazione ne ha a iosa. 

L’Europa è fuori da ogni tavolo negoziale. Lo credo bene, primo perché non è un soggetto politico, secondo perché le scelte operate dalla Comunità Europea sono diverse da quelle che ora guidano l’amministrazione americana, terzo perché ha commesso errori di latitanza nei consessi internazionali manifestando una debolezza che rasenta l’inettitudine. Non è certo un motivo per arrestare il processo di unificazione, ma sì un motivo per dare due ceffoni a chi non è riuscito a definire la giusta strategia. 

Inevitabile, però, che in una situazione del genere, con un’Europa che non vuole smettere di essere Europa, si parli di difesa europea. Quindi si deve necessariamente tornare a parlare di federazione di Stati e questo implica che si delinei anche, e soprattutto, una politica estera comune. Bella sfida! Ma come integrare queste cose in un soggetto per ora prevalentemente economico? Un amico una volta definì l’Europa come una grande banca. Beh, è ora che questo cambi e che il seme di una politica comune germogli e trasformi la banca in un soggetto politico che proponga un po’ di valori. 

La difesa comune, occorre capirlo, implica due cose: la ridiscussione dei trattati e l’organizzazione degli eserciti in un unico ente, con soldati e armamenti suddivisi a livello transnazionale. Questo porta investimenti che, con la giusta razionalizzazione, a lungo termine potrebbero rivelarsi meno onerosi dei contributi NATO e sicuramente ridurranno la dipendenza militare da un alleato che, oggi, è assai inaffidabile. Ma di nuovo, e sottolineo: occorre una politica estera comunitaria che, al momento, dipendendo dalle politiche estere dei singoli Stati, è irrilevante.

Ai tempi di Ventotene la NATO non esisteva e i tre hanno parlato chiaramente di difesa europea. Probabilmente, se avessimo attuato il Manifesto, la NATO non avrebbe avuto motivo di esistere, ma nel 1949 l’Europa aveva le ossa rotte e doveva ricostruirsi, ben altre erano le priorità e l’Alleanza Atlantica è stata accolta con favore. Oggi, però, che sembra messa in discussione, specie quando il maggior azionista dell’organizzazione è un folle pericolosissimo e imprevedibile, e si deve correre ai ripari. Ben venga la discussione, ma che si parli di difesa più che di Rearm Europe mi sembra essenziale. C’è tempo per ridiscutere tutto l’impianto europeo? A giudicare dall’evolversi della situazione temo che il tempo non giochi a favore di una discussione seria e concreta e, se per anni non è stata affrontata, ora ci si trova a parlare di acquisto di armi prima che di organizzazione di una difesa europea. Direi che è inevitabile, ma se il tutto non viene ben orchestrato, il rischio di fallimento è dietro le porte. 

Ma torniamo al Manifesto e leggiamo questa parte:

Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, spazzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli. Se ci sarà nei principali paesi europei un numero sufficiente di uomini che comprenderanno ciò, la vittoria sarà in breve nelle loro mani, perché la situazione e gli animi saranno favorevoli alla loro opera e di fronte avranno partiti e tendenze già tutti squalificati dalla disastrosa esperienza dell’ultimo ventennio. Poiché sarà l’ora di opere nuove, sarà anche l’ora di uomini nuovi, del movimento per l’Europa libera e unita!

Erano dei guerrafondai? Evidentemente no, ma sapevano benissimo che la difesa comune è uno dei pilastri di qualsiasi federazione. Lo è anche la politica estera. 

Infine, per concludere questo ragionamento, occorre evitare semplificazioni: “difesa” non è solo mettere un sistema di allarme, ma creare un coordinamento di forze e inquadrarlo in una organizzazione comune. È indispensabile per la deterrenza, ma anche per una difesa attiva a livello elettronico o cibernetico perché è lì che gran parte delle minacce sono in agguato. Infine, nel 1941, quando fu scritto il Manifesto, era indispensabile per difendersi da eventuali totalitarismi con mire espansionistiche che, ahimè, erano molto presenti in quegli negli anni. Sono cose che non vorremmo rivedere ma, per come evolve la situazione internazionale, è difficile dormire sonni tranquilli.

Claudio Fiorentini

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