This is not my dream

(Immagine scaricata dalla rete)


Con l’arrivo di Trump alla Casa Bianca, e con tutto il suo seguito di tecnocrati, si è parlato, non a torto di oligarchia. E di destra che fa l’inchino, a lui gradito. Il fatto non si discute, è così e basta. Quello che lascia senza parole è l’inerzia dell’Europa che, invece di alzare la testa e confrontarsi con il “potere”, reagisce con colpevole silenzio e con timide parole in cui insinua la possibilità di soddisfare il nuovo re del mondo con l’acquisto di altre armi, naturalmente americane, e aprendo qualche Starbucks in più.

Certo, uno potrebbe anche pensare che le sue sono solo balle colossali sparate per far vedere ai suoi elettori che lui è il più forte, ma non illudiamoci, non sono solo parole al vento, saranno seguite dai fatti tradudendosi in una crisi senza precedenti per molti paesi, già vediamo alcuni fibrillare, e per l’Unione Europea. È abbastanza chiaro che la politica estera di Trump, e dei suoi sodali, si potrà riassumere in una frase del Marchese del Grillo: “io so’ io e voi nun sete un ca…”.

 L’Europa, che ha dalla sua una popolazione di alto livello di scolarità se confrontata a quella degli Stati Uniti e, quindi, una capacità di sviluppo che farebbe paura se sostenuta dai governi, soffre ancora le conseguenze di una storia travagliata e fatica a diventare una vera Unione, nonostante i tentativi di unificazione e di armonizzazione recentemente accelerati. Per Trump questa fatica è facile da stimolare, basta pensare alle tante balle che diventano verità nelle reti sociali, ormai strumento di divulgazione di spazzatura che manipola le menti. Togli il timido “fact checking” e hai un’arma in più. Tanto il popolo della rete abbocca. “Divide et impera”, diceva qualcuno. E l’Europa, che avrebbe ben altro da dire, tace.

Quando Trump dice che il vecchio continente è in debito con l’America per quanto successo nella seconda guerra mondiale e per tanti altri eventi della storia recente, si trova di fronte a interlocutori incapaci di ricordare che la Democrazia e la filosofia nascono in Grecia, che il Diritto nasce a Roma, che Leonardo, Michelangelo, Beethoven, Vivaldi, Bach eccetera sono colonne portanti della cultura mondiale e che persino il Blues e il Jazz sono figli dell’Africa… incapaci di ricordare che Trump è discendente di europei, che la sua lingua è l’inglese, che la storia dell’umanità nasce in Kenia, con Lucy, e che l’Homo Sapiens è stato sempre migrante ed ha popolato l’America qualche migliaio di anni fa, prima che arrivassero i “conquistadores”.

Insomma, la storia è un costante trasferimento di forze e di energie, è pensiero attivo, è un concatenarsi di eventi e che qualsiasi cosa si decida, si ha sempre un ritorno. A noi, cittadini comuni, basta pensare alle gomme da masticare (ricordate Brooklin, la gomma del ponte?) per capire che anche attraverso queste minuzie si è costruito un mito che serve a pagare il debito. Ma un quacchero volgare, furbo, avido e feroce, queste cose non le capisce. Lui è “americano” e, come diceva Sordi, “L’americani so’ forti”. 

Oggi, però, lo scenario internazionale è uno scacchiere di drammi e, con queste “nobili” menti a decidere cosa è meglio per pochi, non sarà certo la cultura a far breccia nelle menti malate che credono solo nella prepotenza. Certo, prepotenza che è stata presente anche nella conquista delle Americhe, nello sterminio dei nativi e nell’imposizione di un dio e di un modello di governo che oggi, piaccia o no, è una democrazia che spesso viene presa da esempio, e poi funziona come vediamo, e si trasforma. 

Trump è l’uomo forte che ci voleva, almeno per i suoi elettori, urla il suo “io so’ io e voi nun sete ‘n ca…” e, ahimè, ha ragione. Pensate che nella cerimonia di insediamento solo tre uomini avevano un patrimonio di quasi 900 miliardi, il 4% del PIL americano, poco meno del PIL della ricca Svizzera, o, se preferite altri termini di paragone, quasi due volte il PIL della Tailandia. Solo tre uomini. Il primo dei tre ha un patrimonio personale superiore al PIL dell’Egitto e il secondo al PIL dell’Algeria. E con il plauso di questi ricchissimi tecnocrati, Trump, che vicino a loro si direbbe povero con i suoi 500 e passa milioni, ha preso il controllo di un’economia che da sola vale 23 mila miliardi. 

Soldi, soldi, soldi. 

In rete mi è capitato di leggere paragoni con l’avvento di Hitler, ma è sbagliato: il pittore nazista non era ricco e aveva preso in pugno una nazione che viveva una crisi profonda. La Germania era distrutta e la popolazione ha ceduto alle lusinghe di un folle pensando di tornare grande a suon di bastonate. Trump, invece, povero non è né povero è il suo paese, e con il suo “make America great again” è palesemente ridicolo. La nazione più ricca, più potente, più influente e più armata del mondo, perché dire “great again”? E soprattutto, perché lo hanno votato? Non erano in crisi come la Germania del 1933, non erano e non sono dei disperati costretti a ribellarsi alle angherie del potere. Trump ha dimostrato che non serve una crisi per illudere un popolo. Basta fare la voce grossa e parlar male di tutto, essere ricchi e volgari e avere un’ambizione smisurata. E un popolo ignorante che vuole menar le mani. In piccolo, da noi abbiamo avuto un esempio simile poche decadi fa. 

Intendiamoci: le cose anche in America funzionano male, ma è probabile, anzi, sicuro che il popolo abbia scelto un presidente menzognero che le spara grosse proprio per la sua boria e per le sue menzogne, non per un programma politico di cui, probabilmente, gli elettori conoscono ben poco. Ora la domanda sarebbe: dove vogliono andare a finire? Su Marte a piantare una bandierina per far dire al mondo “l’americani so’ forti”? E intanto alzare barriere, imporre dazi, cacciare il migrante meticcio (Musk che è sudafricano non va cacciato, è più bianco di Trump), spingere per la separazione dei popoli che, corrotti da lusinghe fallaci, si accoderando all’uomo forte per avere un buffetto sulle guance o una pacca sulla spalla mandando il progetto europeo a rotoli… ma forse, però, metterà a tacere Putin (sarebbe un bene) e se solo si smettesse di bombardare a seguito dell’arrivo di Trump, beh, si evidenzierebbe di nuovo l’incapacità degli altri e magari, il quacchero, prendendosi meriti che non ha (come ha già fatto per il cessate il fuoco su Gaza) ambirà al Nobel per la pace e poi se ne andrà in pensione con il dovuto riconoscimento. Prima, però, metterà uno dei suoi alfieri al suo posto. E la storia parlerà di lui, forse anche bene, del resto, una delle prime leggi che ha promulgato riguarda tagli alla cultura, e si sa, senza cultura il popolo dorme e le menzogne diventano verità indiscutibili. E oggi con i soldi (non con le idee, ahimé) si può scrivere la storia. 

Insomma, l’America non è più il luogo del “I have a dream” di Martin Luther King, ma la culla di un incubo di Hoffmann. A meno che altri Martin Luther King bussino alla porta. Attendiamo. Intanto l’Europa tace.

Claudio Fiorentini 

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