Idee nell’arte concettuale

Immediato come un tweet

L’arte concettuale ha la brevità di un tweet e non richiede l’uso di particolari tecniche, è compressione di idee in un codice di comunicazione fatto di oggetti ricontestualizzati, dice senza rappresentare, si imprime nella mente in maniera istantanea e prescinde da elaborazioni pittoriche o scultoree. Il superamento della tecnica che si ha in questo tipo di arte, però, nasconde un tranello: chiunque, mescolando oggetti in modo aleatorio, può dire di fare arte concettuale. Poi basta la parola di un critico illustre per glorificare l’opera. Oggi si produce molta spazzatura, spacciata per arte concettuale, e l’idea langue, latita, scompare oppure, semplicemente, non c’è.

Ma l’arte concettuale, senza idea, semplicemente non è arte, non è rappresentazione di un concetto.

Il concetto, che è la base di qualsiasi creazione di arte concettuale, deve essere percepibile nell’istante in cui l’opera viene vista, quell’istante poi lavora nella mente del fruitore e si sviluppa sotto forma di idee. Che queste si sviluppino o meno è del tutto secondario, importa che nascano e che stimolino la riflessione, importa che siano un’alternativa al mondo “memecratico” di oggi dove uno slogan si sostituisce all’approfondimento, dove un titolo di giornale vale più di un’analisi del tema trattato, dove basta un tweet per rappresentare il pensiero. È in questo contesto che l’arte concettuale è rivoluzionaria perché, appunto, invece di frenare l’idea, la rappresenta e la stimola.

Un esempio estremo di arte concettuale è la scultura invisibile di Garau, null’altro che un perimetro illuminato dove il fruitore ci mette quello che vuole perché, essendo invisibile, la scultura non esiste. Una provocazione? Certamente, ma l’idea è lì, esiste, vive e si concretizza nel certificato di autenticità. Insomma, Garau ha venduto un’idea. 

Si può dire che sia assolutamente ridicolo colui che compra un’idea rappresentata dal nulla, ma si può anche dire “nulla di nuovo”, basti pensare alla rivoluzione musicale che John Cage, nel 1952, iniziò con il suo 4’33”, un brano di assoluto silenzio dove il pianista esecutore non toccava i tasti per quattro minuti e trentatré secondi, salvo poi rialzarsi per godersi gli applausi. Ma in quel brano c’è un’idea molto interessante, cioè, quattro minuti e mezzo è il limite di durata del silenzio prima che il pubblico inizi a pensare di essere stato preso per i fondelli. Allo stesso tempo è una glorificazione del silenzio. Qualcuno ricorderà che all’ingresso di alcuni conventi è scritto “Taci, ma se proprio vuoi parlare, dì qualcosa che sia superiore al silenzio.”, ebbene, accettiamo la sua imponente grandezza. 

Anni addietro ebbi l’onore di frequentare Gino Cilio, un grande artista italiano che, stufo degli “Osanna” della critica e del pubblico, decise di pubblicare degli opuscoli chiamati A-zero, in cui illustrava la teoria dell’A-zeramento dell’ego dell’artista. Erano dei libricini deliziosi, la copertina era un non-colore (grigio, bianco o nero), e le pagine, copertina compresa, altro non erano che dei riquadri vuoti, insomma, il libro era un buco che si aprima verso quello che c’era oltre il libro. 

Tra i miei libri ne ho uno molto singolare, si intitola NUDO: ha la copertina nera, le pagine sono tutte bianche e non è un quaderno ma un libro da leggere.

Nei casi che ho elencato c’è una reazione del pubblico, che sia di stupore, indignazione, perplessità eccetera non importa, è quella reazione istantanea che fa la differenza. Da quel brevissimo momento di fruizione non si esce senza reagire, si vive per un istante il vuoto, si percepisce una forza creativa assai sottile e burlona, ma efficace. E si conclude la fruizione con un sorriso. Non male come risultato. 

Ecco la velocità di un tweet, ma questa volta è un tweet benefico.

Altre opere concettuali, che siano permanenti o effimere, come le istallazioni, esprimono concetti e idee, ma se l’idea non c’è, non è pensabile che qualcosa scaturisca dall’opera, e lì l’artista ha tradito la sua missione.

Tempo addietro feci un’analisi della banana di Cattelan (venduta ben due volte), l’idea si può elaborare e ne viene fuori un bel ragionamento che non sto a ripetere (potete trovare l’articolo in questa rubrica). L’acquirente farà le stesse riflessioni che ho fatto io? No di certo, l’ambizione del collezionista è il possesso, non il ragionamento. “Che si fotta!”, potrebbe pensare l’artista, e va bene così. L’opera vale sei milioni? Sicuramente no, ma se qualcuno è disposto a pagarli è affar suo. Secondo me sarebbe meglio che quei sei milioni finissero in opere benefiche, ma questo è un altro discorso.

Vorrei comunque chiarire che Cattelan, Cilio, Garau, Manzoni, Hirst eccetera, sono (o sono stati) comunque dei grandi artisti che, arrivati a un certo punto, sfidano il sistema con provocazioni e con messaggi assai forti. Loro se lo possono permettere e il mercato li rincorre. Diversa è la situazione dell’artista che non è affermato, che magari ha ottime idee e le esprime attraverso opere concettuali di valore, ma viene preso per un ciarlatano. Vero è che tra gli artisti concettuali la quasi totalità sono ciarlatani perché credono che mescolare oggetti sia arte concettuale, ma quelli che si salvano, cioè, quelli che esprimono idee con la velocità di un tweet, quelli vanno seguiti. Difficile trovarli, identificarli o capirli, il mercato e la critica non aiutano perché spesso glorificano il nulla, ma oltre il mercato esistono operatori culturali che sanno di cosa si nutre l’arte concettuale, e sanno parlarne. 

L’arte concettuale si nutre di IDEE e se non c’è l’idea, non c’è arte!

Claudio Fiorentini 


Nota: di questo tema parleremo a Madrid, presso la galleria Captaloona Art, dal 3 al 13 giugno 2025. Per saperne di più consultate il sito www.loonacontemporary.com 

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