Ogni disciplina artistica si sviluppa come risposta agli stimoli più profondi che l’artista (o che l’uomo in generale) riesce a percepire. La tecnica, l’esperienza, la capacità e l’abilità definiscono il metodo e tracciano il percorso espressivo che, a seconda della disciplina scelta, può essere più o meno breve. L’immediatezza della poesia, dell’intuizione della melodia, dell’incipit, del movimento, del gesto pittorico non sono altro che l’inizio di qualcosa di più grande, quindi non necessariamente l’opera compiuta. Che ci sia immediatezza o meno nel componimento è secondario, ciò che contaè che sia “agito” da esigenze profonde, importa il punto di partenza perché la grandezza dell’artista risiede nella capacità di identificarlo e nella capacità di essergli fedele.
Il percorso artistico si sviluppa in un moto del tutto irrazionale perché non ha scopi né ha tutori. La creatività impone che si parta da qualcosa che non c’era prima e che ora, dopo un lavoro che può durare istanti, giorni, mesi o anni, c’è. Non c’era e c’è. Se questo nuovo “c’è” ricalca la realtà, probabilmente non si è fatto un gran lavoro creativo, semmai si è fatto un lavoro di ricostruzione che può avere un ruolo importante nel sociale, ma che non è necessariamente artistico.
A prescindere dal risultato, creativo o ri-costruttivo, cos’è questo punto di partenza, cos’è che ci dice “scrivi” o “balla” o “componi” o “dipingi” … insomma, cos’è che ci dice “FAI”? A meno che non si lavori su commissione, non c’è una ratio che guidi questo moto, né tantomeno c’è un tornaconto pratico o materiale, almeno non a priori. Di più, la non-ricerca di qualsiasi tipo di tornaconto (per tornaconto intendo anche un minimo ritorno di visibilità) rende l’artista libero.
Quindi questo moto non si può sviluppare nell’ego perché ricerca di un nuovo “c’è”, proprio perché si parte da un “non c’è”. Per questo occorre cogliere questo “non c’è”, cioè, il punto di partenza.
Allora, cos’è questo punto? Forse un vuoto, un nudo, un abisso, in ogni caso un non luogo dove non può esserci un io strutturato (se ci fosse sarebbe una prigione). Il creativo, nel momento in cui inizia a “fare”, perde coscienza di sé e vive la sua follia creativa. Annullare l’ego, la psiche, il mondo necessario, le difese, a questo dovrebbe arrivare il creativo nel momento in cui inizia la sua opera. Prima del “fare” c’è “l’esigenza del fare”.
Da dove viene rimane un mistero perché, tra le tante pulsioni che ci animano, esiste qualcosa che va oltre le necessità pratiche, esiste una spinta a fare qualcosa di inutile (come anche solo guardar le stelle), esiste una pulsione che chiede al corpo di animarsi affinché realizzi qualcosa di assolutamente inedito. Questa pulsione che ci polarizza verso uno specifico moto creativo viene da una parte di noi che sovente dorme, e che forse si sveglia nel sogno. Il sogno è quanto di più assurdo e inutile popoli le nostre menti, eppure lascia sempre il segno, e in qualche modo ci ricorda che ciò che ci “anima”, nel profondo, vuole la sua parte.
Il sogno è il linguaggio dell’inconscio e si incide nella materia… prima in noi, poi in quello che facciamo. Il sogno appare vestito di immagini, ma in realtà queste immagini sono un velo che copre un mistero profondo: la mente priva di psiche, o forse l’anima. Insomma, l’esigenza del “fare” viene da lì. E se questo “fare” diventa un’estensione di quel linguaggio, diventa prolungamento dell’inconscio, diventa traduzione del sogno, allora può diventare arte.
Ma come appare questa pulsione, se non come un flash di immagini, un tessuto di figure e suoni, una sequenza priva di tempo e di spazio ma viva – molto vivadentro – forse da sempre, che chiede di essere vista, ascoltata, vissuta ed espressa…?
Ecco il punto di partenza: un accumulo di immagini, visioni, sogni e percezioni, una voce archetipa che l’istante prima di trasformarsi in pensiero, ci dice, dal buio più intimo, che la vita non è solo realtà, ma è anche e soprattutto stupore!
La vita è tornare vergini ogni attimo di vita che viene e che va, e quanto è dentro di noi non si esaurisce con ciò che a noi è noto. Riuscire ad intuirlo è il punto di partenza. Un flash, una scintilla, ciò che si vede quando il velo si squarcia, per poi tornare a coprire quella Verità.
Perché se si vedesse tutta, si impazzirebbe!
Claudio Fiorentini
L’articolo è stato pubblicato anche sulla rivista ReadAction e parte del testo è nel romanzo Torri di Pietra dell’autore, ed. Ensemble