Europa, dove vai?

Il lago di Aral oggi.

Siamo vicini a un appuntamento elettorale di grande importanza e, come ormai succede da tempo, l’agone politico si distingue per la sua incapacità di comunicare bene, prevalendo, su programmi e idee, il becero pettegolezzo o lo slogan da bar. In questo, la stampa non aiuta. 

L’Europa, però, occorre dirlo, non è più solo un continente, ma un’unione politica ed economica di stati che ha iniziato il suo cammino grazie al Manifesto di Ventotene, redatto nel 1941 da Ernesto Rossi, Eugenio Colorni e Altiero Spinelli. Da questo manifesto, pubblicato nel 1944, è iniziato un lungo e tormentato cammino fatto di discussioni, accordi, trattati e altre amenità che ci hanno portato a questa, per quanto imperfetta, meravigliosa Unione. 

Ma il cammino non è finito, resta molto da fare, occorre andare oltre l’unione economica, oltre il debito comune (di cui abbiamo tutti visto la nascita durante la pandemia), oltre le normative che finora sono state definite e, spesso, disattese.

Molte di queste normative, infatti, possono ledere gli interessi di qualche singolo settore industriale in cui un certo paese è leader. Un esempio assai calzante sono le buste compostabili che determinano stravolgimenti nel campo del packaging, e infatti in Italia ci fu quasi una rivolta popolare quando se ne impose l’obbligo, mentre in Spagna sono ancora introvabili. 

Ma pensiamoci bene: se non si riduce, gradualmente, ma subito, l’uso della plastica, l’ambiente ci rimette, e ci rimettono i nostri figli e nipoti. Qui la domanda sorge spontanea: qualcuno può negare che l’ambiente sia un bene comune? L’aria non ha frontiere, l’acqua scorre ovunque, il mare e gli oceani non sanno cosa siano il controllo passaporti o le dogane, gli alberi crescono senza pensare all’anagrafe e gli insetti volano qui e là, impollinando, senza pagare dazi doganali. 

Altro esempio: la nostra terra è stata resa impermeabile dall’eccessiva cementificazione, è vittima di inondazioni e fenomeni climatici di portata devastante, questo non tanto per i fenomeni in sé, quanto per come abbiamo ridotto i nostri territori. 

Inoltre, la continua mania di guerreggiare in territori a volte sconosciuti, altri più vicini, per quanto ingrassi l’industria degli armamenti, porta distruzione e disperazione, cose che hanno ripercussioni nell’ambiente, il più comune dei beni, e nelle nostre tranquille vite che, nel salotto di casa o al bar, si animano di discussioni sterili, avendo dimenticato quanto queste stesse manie hanno portato distruzione e disperazione ai nostri nonni. E porteranno altre conseguenze perché le guerre, non dimentichiamolo, sono fabbriche di disperati che prima o poi busseranno alle nostre porte per chiederci le briciole che, quando non le buttiamo nella pattumiera, le diamo ai piccioni.

Ecco, il bene comune, questo è il primo degli interessi che dovrebbe avere un’Unione come quella per cui andremo a votare tra pochi giorni. In questo bene comune non solo ci sono il lavoro e la salute, ma anche e soprattutto l’ambiente. E la pace, sperando che non sia sempre una chimera. 

Il bene comune è, per sua natura, comune, non conosce nazionalismi, regionalismi o campanilismi, e non è individuale. L’ideale sarebbe un’unione di stati a livello mondiale che se ne occupi, ma non ci siamo ancora, e anche l’Unione Europea sembra che traballi davanti a chi, del bene comune, sa poco o nulla, oppure se ne infischia, a vantaggio di egoismi e vanagloria. 

Qundi, quale Europa vogliamo? Un’Europa fatta di nazionalismi, sovranismi e provincialismi, o un consesso transnazionale che unisca le energie e le menti che abbia come obiettivo, appunto, il bene comune? E che serva come modello, affinché questo progetto di unione pacifica con progetti e programmi visionari (almeno così la vorremmo).

A me risulta chiaro che il concetto stesso di Unione Europea preveda una sovranità sovrannazionale che armonizzi le varie energie, fonte di crescita, di cultura e di progresso. Erroneamente si pensa che questo toglierà sovranità ai singoli Paesi dell’Unione, io sostengo che, invece, l’Unione rafforzi le capacità intellettuali, economiche e industriali e operi a vantaggio di ogni membro della stessa. Una sovranità diffusa non ci impedisce di produrre benessere, semmai armonizza, un po’ come in un’orchestra dove il direttore indica ai singoli orchestrali, ciascuno visrtuoso del proprio strumento, quale sia la via per suonare una sinfonia nel migliore dei modi.

La metafora dell’orchestra è quanto di più calzante: immaginate che l’Italia sia un violino e che la Germania sia un violoncello, questo per fare un esempio semplice: per suonare a tempo, i due orchestrali, non possono non guardare la bacchetta del direttore. Il direttore non è uno strumento (un singolo Paese), ma un’entità che vede l’insieme e si occupa del risultato, garantisce l’armonia che viene fuori dalle singole capacità. Inoltre, anche in un’orchestra, ogni strumento ha una sua parte solista pur rimanendo parte dell’orchestra. Quando finisce la parte da protagonista, torna a far parte dell’insieme meraviglioso che produce una musica unica.

Ecco, il direttore d’orchestra si occupa del risultato finale. Così dovrebbe essere l’Europa, un direttore d’orchestra che indica la strada di ogni orchestrale affinché il risultato d’insieme sia quello che deve essere: unione di meraviglie. E quindi, unione di energie per garantire il bene comune. Questo lo si fa con piani a lungo termine che garantiscono un risultato positivo anche nel futuro.

Qualcuno potrebbe dire che la sovranità non si tocca, ma non è così che si deve vivere la storia. Pensate a quando fu fatta l’unità d’Italia, che non fu qualcosa di pacifico ed ebbe momenti oscuri. Se dovessimo  parlare di sovranità nazionali, quando l’Europa è un sogno di Unione pacifica che si sta faticosamente realizzando, dovremmo pensare a come è stata fatta l’Unità d’Italia e fare un esame della nostra breve storia, che è stata tutt’altro che pacifica. 

Oggi, però, perdere sovranità, a dire di alcuni che hanno una visione che dire retrograda è un eufemismo, non è esattamente perderla, semmai è integrarla in un’orchestra, a vantaggio di un’Unione più forte e più sana in cui i poteri decisionali, su alcuni temi, sono condivisi, e condividere qualcosa per il bene comune significa garantire un futuro. 

Immaginate, ora, che con la pandemia, i 27 invece di dire “facciamo debito comune” avessero detto “sono  stati sovrani, i loro problemi se li risolvano da soli”, avremmo avuto PNRR e NGE? Questi due piani paneuropei sono debito comune e hanno consolidato il cammino verso un’Unione più forte e autorevole, e questo percorso non deve arrestarsi.

Infatti, nel frattempo sono successe altre cose, dove come al solito l’Italia è in ritardo e malinformata: il servizio sanitario europeo, cioè transnazionale, che in alcuni paesi già funziona. Mi spiego: tu vai in Lussemburgo o in Belgio o in Olanda o eccetera, e se hai bisogno di cure mediche dai la tua tessera sanitaria dotata di microchip al dottore che accede a un data base comune dove può vedere tutte le tue profilassi, allergie, storie mediche eccetera, e non hai bisogno di parlare la lingua del medico per raccontargli tutto.

Non dimentichiamo altri grandiosi passi avanti, meno recenti, come l’abbattimento delle frontiere e delle dogane, la libera circolazione di cittadini e merci, i voli low cost, il roaming eccetera, e altre cose più recenti come la fatturazione intra europea (non devi mettere l’IVA sulla fattura, ci pensa il sistema informatizzato che usa il tuo commercialista). 

Allora, cosa resta da fare? Mandare tutto a scatafascio o pensare a cosa dovremmo pretendere dall’Europa? Secondo me alcuni passi sono chiari, come difesa e politica estera comuni (è chiaro che con le guerre in corso non si può cincischiare ulteriormente), cittadinanza europea, fiscalità comune (questo garantirebbe maggiore trasparenza anche nei paesi dove, ahimè, evasione e ruberie sono la norma)… eppure c’è ancora chi si oppone. Meglio il sovranismo? Non direi.

L’Europa è imperfetta, questo lo sappiamo, ma chi è libero di colpe? Se qualcuno dei nostri politici antieuropeisti può dirsi esempio virtuoso di onestà, coerenza e trasparenza, allora che si batta contro quest’Europa cialtrona e invadente, ma se quest’opposizione al cammino di integrazione europea viene da una classe politica che si è dimostrata incapace di dare il buon esempio, beh, allora non c’e`da stare allegri.

Detto questo, andiamo a votare, e che il risultato premi chi ha a cuore il “bene comune”!

Claudio Fiorentini

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