Analisi di alcune opere metafisiche di De Chirico (XI)

Ciò che vi propone la rubrica Al Nord della Polare, è una serie de pubblicazioni, le quali argomentano inizialmente intorno ai due termini quali sono “Spazio e Tempo”. Questi, nel susseguirsi delle pubblicazioni saranno applicati allo studio dell’arte pittorica, in particolare allo sviluppo artistico del 900, del quale sappiamo protagonisti diversi movimenti artistici. Accenneremo al carattere di molti confrontando le motivazioni, ma in particolare si darà maggior protagonismo all’opera metafisica, e quindi, al più grande Maestro del 900 Italiano. Vi invitiamo a seguire la lettura con dedicata attenzione, in quanto porta con se le premesse per capire l’arte e lo sviluppo di questa nel 900.

(PARTE 11)

“Il cervello del bambino” – Ristratto di Apollinaire” – Nostalgia del poeta” – “Canto d’amore”


Francesco Santoro

 Un quadro fra i più enigmatici e celebri della tappa metafìsica, è ‘II cervello del bambino’, l’iconografìa di questo lascerà impronte visibili sull’opera di Max Ernest, e come ha dimostrato Rubin, anche su Picasso mentre in De Chirico stesso trova un prolungamento in altri due quadri sempre di questo periodo, ‘Ritratto di Apollinaire’ e ‘Nostalgia del poeta’ che qui insieme al ‘Canto d’amore’ abbiamo riunito in unica analisi per l’identica tematica trattata da De Chirico. Il fascino che emana l’opera ‘II cervello del bambino’ è tanto innegabile quanto la sua oscurità, questo perché la scena in sé stessa non è suscettibile di spiegazioni ne può tradursi in un linguaggio distinto da quello pittorico. A parte l’esistenza plastica dell’opera, l’unica traccia possibile potrebbe essere data dal titolo che è poi quello che costituisce un vero ostacolo. Nella spiegazione dechirichiana il personaggio con gli occhi chiusi è associato in genere alla figura del padre, ciò potrebbe essere sostenuto da confronto con un altro quadro del 1924 o con i disegni di Ferrara del 1915 ‘II ritornante’, ‘II filosofo e il poeta’.

 

Ora oltre al riferimento della figura paterna, prendendo in analisi proprio il titolo di questo quadro, si potrebbe pensare ad un rimando che ci porta a considerare il poemetto di Rimbaud ‘Bateau ivre’ che nella Parigi dell’avanguardia 1914 tutti sapevano a memoria e in cui nella terza strofa si legge: “…Dans le clapotements furieux des marèes Moi l’autre hiver, plus sourd que les cerveaux d’enfants. Je courus…” versi che possono essere messi in relazione con quelli che aprono un poema della stessa epoca, ‘Les chercheuses de poux’: “…Quand le front de l’enfant plein de rouges tuormentes, implore l’essaim blanc des rêves indistincts…”

Come dire: siamo davanti alla testa del bambino popolata ‘da rosse tempeste’ con questa agitazione `rossa’ la mente infantile chiede l’aiuto, del ‘bianco’ dei sogni, l’altro mondo di assoluto e di liberazione – forse è uno ‘sciame’ multiplo e si tratta di sogni ‘indistinti’: pluralità. Chiuso in questo recinto inferiore il cervello del bambino deve essere `sordo’ al mondo esterno, e quello che ci mostra il quadro di De Chirico è precisamente il ‘Cervello del bambino’. In questa prospettiva il bimbo stesso è convertito in veggente.

Nei suoi sogni e nelle sue fantasie, il bambino non vede se stesso come un bambino, bensì come un adulto, per la stessa ragione per la quale l’adulto nelle sue fantasie si vede come un bambino, con gli occhi chiusi -attributo del veggente: filosofo, poeta, sordo al mondo esterno – che nel quadro si riduce a un ritaglio di cielo e ad alcuni frammenti di architettura metafìsica nella quale risalta quella che potrebbe sembrare una parte del quadro della ‘Torre rossa’. Il veggente con gli occhi chiusi ascolta il proprio mondo e, manifestamente ‘legge’ il libro chiuso che tiene davanti a sé, collegandosi in questo modo alla concezione di Boudelaire che sta alla radice dell’avventura simbolista della quale Rimbaud, il De Chirico metafìsico, e gli stessi surrealisti, sono i continuatori.

La figura dell’uomo seminascosta dalla tenda (che si associa mentalmente a una colonna) è quella dell’Oracolo, uno dei motivi chiave della ‘metafìsica’. L’oracolo cieco (come Tiresia) e anche il poeta (come Omero) corrisponde all’artista nel momento della rivelazione quando la ‘memoria del passato’ si complica con la ‘memoria del futuro’ e cioè quando il visionario diventa veggente e De Chirico disse “…ciò che ascolto non vale nulla, ha valore solo ciò che vedono i miei occhi aperti e più ancora chiusi…”. Frase che potrebbe far pensare quasi ad un autoritratto mascherato, comunque è più probabile indirizzare la ricerca dalla parte dei poeti piuttosto che all’ipotesi del padre come possibile chiave risolutrice per l’enigmatico quadro ‘II cervello del bambino’.

 

Occhi chiusi su un libro chiuso senza titolo guardano misteriosamente attraverso le palpebre serrate, gli occhi delle statue sono ciechi come quelli di Apollo nel ‘Canto d’amore’ o quelli del busto raffigurato nel ‘Ritratto di Apollinaire’, che è un altro dei più famosi del periodo metafisico. Ritratto che fu un omaggio al grande intellettuale, che per De Chirico e Savino rappresentò un vero profeta (‘angelo dei tempi nuovi’ lo definisce Savino).

Raffigurato come una sagoma di Tiro a segno che a quanto pare profetizzò la ferita che Apollinaire ricevette alla testa perforato in quel medesimo punto segnato nel quadro, tre anni dopo da una scheggia di granata. Dal fondo di un cielo acceso di verde veronese emerge una sagoma scura l’immagine di un profilo triste e malinconico, in primo piano è collocato il busto d’una divinità greca. Il primo errore da sfatare è che si tratti di una statua di Apollo come traslato della poesia. La tipologia di Apollo De Chirico la conosce bene, infatti nello stesso anno appare ‘Canto d’amore’ un perfetto calco dell’Apollo di Belvedere in cui molti vogliono vedere il ritratto del fratello Savino. Ritornando al busto che compare nel ritratto di Apollinaire, questo ha una certa somiglianza con la ‘Venere di Milo’ soltanto che le sono stati tolti i capelli al centro per farla sembrare una figura virile.

E’ chiaro che il calco in primo piano ha un significato che spiega molto dell’opera. De Chirico vuole rappresentare Orfeo il veggente musico e poeta, non esistendone un prototipo antico, ha creato una sua tipologia.

Tutto diviene facilmente collegabile se si pensa alle poesie pubblicate nel maggio del 1911 di Apollinaire, poesie che si racchiudono in una raccolta: ‘Le bestiaire ou le Cortège d’Orpèe’ illustrate dalle xilografie di Raoul Duf. Se si analizzano le immagini di Duf si vede come Orfeo appaia trionfante con la sua cetra, o in rapporto con le sirene, o sulla riva del mare con alla destra due pesci quelli che Orfeo tramutò in musici. Ecco il primo spiraglio per la comprensione del ritratto di Apollinaire, il pesce è chiaramente associato, oltre che alle profondità marine a questo aspetto della personalità di Orfeo, mentre la conchiglia oltre che al mare, sembra alludere alla lira, la quale miticamente deriva proprio dalle conchiglie. Si potrebbe allargare la rosa dei significati attraverso la figura di Orfeo eroe multiforme che guida la nave di Argo e quindi degli Argonauti che volevano penetrare nell’aldilà, in cui egli era già stato, grazie al suo canto, e al suono della lira. Orfeo è dunque in rapporto con Apollo e con la luce come dice Apollinaire, Orfeo è colui che porta agli uomini la luce e verità. Da quest’analisi risulta chiaro che ogni elemento sul quale insiste De Chirico è un doppio, sagoma, calco antico, formella, ombra.

Non si esclude che questa insistenza su Orfeo sia stata dettata da un accurato studio della personalità di Apollinaire, che include anche una sottointesa automitografìa; Orfeo (Apollinaire) ha più volte salvato, durante il viaggio degli Argonauti (De Chirico e Savino).

 

 

 

Tiziano doveva essere fin dagli anni fiorentini e perugini uno dei pittori preferiti di De Chirico, senza escludere la notevole influenza che su De Chirico dovette esercitare Klinger con il ben noto ‘Ritrovamento del guanto’ è lecito in virtù di questo amore per la pittura di Tiziano sottolineare il contributo dell’immagine Tizianesche e cioè, ‘L’uomo del guanto’ che si trova nel museo di Louvre contributo dato in questo caso nell’elaborazione del quadro “Il canto d’amore”. Nel celebre dipinto di Tiziano, i dati salienti e in luce della composizione sono proprio l’efebico volto del giovane e la mano guantata, ricadente in primo piano.

È probabile come dice Calvesi, che De Chirico abbia estrapolato questi due elementi accostandoli e ricreandoli a suo modo. La testa diventa quella marmorea bianca di una scultura classica, che rimanda al poeta al musico, ad Apollo, questa è accostata ad un guanto rosso di gomma elemento tipico di un mondo industrializzato.

La palla verde è forse un ricordo dell’infanzia: il felice passato? O la sfera dell’indovino? Da notare come sulla quinta, tinta di ocra gialla si stagliano colori che rimandano alla bandiera italiana, dunque è presente anche il tono patriottico. Sullo sfondo la partenza è simboleggiata da un treno da cui esce una fumata bianca e si associa alla stasi di una architettura classica.

Classicità, e modernità, sono più che mai presenti, lo spazio pittorico è ancora altalenato fra uno spazio e un tempo della classicità e uno spazio e un tempo moderno; il risultato dei diversi accostamenti lo conosciamo, è sospensione assoluta, è atemporalità bloccata.

 

Per dipingere un simile quadro oltre che un grande pittore De Chirico doveva essere un grande poeta, perché solo in questo caso è possibile la costruzione di un’opera come questa costruita con tanta semplicità e forza, non un sogno, ma 1′ ‘equivalente’ d’un mondo di sogno, in cui la profondità dello spazio, l’insistente nitidezza delle immagini accrescano sino alle vertigini il senso di smarrimento nato dall’incertezza in cui ci si trova, dal luogo, dal tempo e dal significato delle cose. Il ‘Canto d’amore’ si considera una delle vette della pittura poetica di tutti i tempi, questa esercitò su Rene Magritte quanto ebbe occasione di vederlo un’azione decisiva, fu la rivelazione del suo futuro orientamento.

 

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