di Francesco Santoro
Il surrealismo resta anti-letteratura, anti-arte, come il dadaismo, ed in questa sua fase iniziale intende essere soprattutto documentazione e testimonianza di stati limiti ed aberranti — e non elaborazione ragionata e raffinata di dati sensibili. A questo punto, nasce il problema se è allora possibile un’arte, una pittura surrealista. Nel terzo numero della rivista ufficiale del movimento «La révolution surrealiste» (del 15 gennaio 1925) uno dei condirettori del periodico, Pierre Naville, risolve in un senso negativo il problema. «Maestri, sporcate pure le vostre tele — egli scrive. — Oramai tutti sanno che non c’è una pittura surrealista: ne i segni della matita lasciata al caso dei gesti, nè l’immagine che evoca le figure del sogno, nè le fantasie dell’immaginazione possono essere qualificate come surrealiste. Ma ci sono degli spettacoli. La memoria ed il piacere degli occhi: ecco tutta l’estetica.»
Ma Breton insorge, cercando di eliminare gli ultimi residui dadaisti dal nuovo movimento. Nel numero 4 di «Révolution surrealiste» egli insiste sulla positività di tutte le esperienze ispirate ad uno spirito di non conformismo nei confronti della realtà, annasandole al surrealismo. Naville è scartato dalla direzione del periodico che pubblica largamente per la prima volta delle illustrazioni di opere di pittori. I nomi di questi artisti sono assai significativi: De Chirico, Ernst, Mirò, Picasso, Man Ray, Roy. In un lungo saggio pubblicato poi a puntate sulla sua rivista ed intitolato « Le surréalisme et ‘ la peinture» Breton afferma la piena validità di una pittura surrealista che va dal De Chirico del 1912-13 sino al Picasso più recente ed alle fantasie più libere di Ernst e di Mirò.
Ma se esiste un’arte surrealista, non si può parlare di una poetica surrealista, cui questi pittori dovrebbero ispirarsi. Tralasciando il caso Picasso che appartiene a tutta l’avanguardia dell’inizio del secolo, come non osservare che le opere di De Chirico, di Ernst e di Mirò sono totalmente diverse le une dalle altre nei loro elementi contenutistici e formali? Mentre in De Chirico dominano delle strutture dall’aspetto scenografico, un’infanzia ritrovata sembra prendere la mano a Mirò, e degli incubi cifrati alimentano le immagini di Ernst. Dire che in questi pittori domina un tono di «magicità», per cui gli oggetti o parti di oggetti evocati e presi a prestito dal mondo comune, sembrano sospesi in qualcosa d’altro, d’inatteso e d’insolito, ciò caratterizza solo un’atmosfera culturale (il surrealismo in arte non è forse solo un clima?), ma non indica i contenuti rappresentati nè il modo di rappresentarli.
Il surrealismo ammette infatti una grande libertà di mezzi espressivi: non è una «scuola» di pittura, ma una filosofìa, un atteggiamento esistenziale che alimenta nell’intimo l’agire di alcuni artisti. E sotto questo aspetto, il surrealismo quale che sia il giudizio complessivo che si voglia portare su di esso, rappresenta uno degli ultimi e radicali tentativi di ancorare in una piena sostanzialità ideale il lavoro degli artisti.
Dopo di loro, ci sarà il lavoro che crea dai suoi gesti stessi una convulsa e provvisoria ontologia (l’art brut alla Dubuffet o il drip- painting alla Pollock). In altri termini, il surrealismo è una delle ultime ideologie in cui gli artisti abbiano creduto: oggi, generalmente, credono come degli artigiani solo a quello che fanno, anche se intendono infittire il gesto che compiono attribuendogli densità ontologiche. Lo spessore della materia ricopre così, spesso, il vuoto delle idee…
Nel 1928, il surrealismo può apparire come un movimento oramai ben accetto negli ambienti artistici internazionali. Breton pubblica in volume Le surrealisme et la peinture e la galleria Berneim Georges organizza una esposizione Max Ernst. La purezza ideologica costringe Breton a una serie di prese di posizioni contro alcuni esponenti surrealisti, ed hanno origine in quei tempi le esclusioni sistematiche dei ribelli, che spesso vengono d’altronde riammessi qualche anno dopo. In quegli anni, pure, il pittore spagnolo Salvador Dall tenterà di spiegare l’incanto magico della pittura surrealista col «metodo dell’analisi paranoica-critica» che di fatto è un soggettivismo assoluto, che si presenta come piena oggettività. Il gusto un po’ equivoco di Dalí lo spinge a delle prodezze di realizzazioni minuziose, degne dei realisti più scrupolosi. Breton romperà poi con Dalí, soprattutto per motivi d’ordine politico.
Converrebbe ricordare qui altri pittori surrealisti e in particolare René Magritte dai personaggi macchinosi e sofisticati, Yves Tanguy che presenta delle strutture strane in pianure immense ove il protagonista sembra essere il cielo, Paul Delvaux le cui composizioni hanno un aspetto neoclassico benché le situazioni evocate siano sempre insolite e fantastiche, André Masson con le sue fantasie cosmiche. Siamo ancora con questi pittori all’epoca di un surrealismo narrativo e sintetico.
Ma negli ultimi anni del primo dopoguerra e subito dopo, il surrealismo avrà dei nuovi sviluppi, analitici e divergenti, che ne attestano la fecondità. Potremmo osservare che il surrealismo allora si scinde soprattutto in due direzioni: da una parte, vi sono gli artisti che tenteranno di portare avanti l’intuizione di uno spazio magico e insolito, ch’era nato, in fondo, con le prime «piazze d’Italia» di De Chirico. E questo spazio, che assume tonalità angosciose nei disegni e nei rari dipinti di Alberto Giacometti diventa il centro delle opere suggestive di Francis Bacon. Dall’altra parte, l’invenzione di una struttura insolita che da personaggio diventa un fantoccio emblematico nelle opere di Victor Brauner, macchina legnosa in quelle di Graham Sutherland, totem nei dipinti di Wifredo Lam. Abbiamo parlato altrove di quell’isolamento delle forme che questi pittori hanno di mira. Il versatile ed inquieto Matta con le sue forme costruite che assumono improvvisamente aspetti dinamici di vettori in movimento, sembra altresì preannunciare un allargamento dello spazio cosmico verso nuove avventure.
L’influenza dei surrealisti è oramai determinante in molte ricerche dell’ultima avanguardia. Indubbiamente l’esodo di alcuni esponenti surrealisti — Breton, Ernst, Mirò, Dalí, Tanguy, Matta, Masson — negli Stati Uniti d’America al momento della seconda guerra mondiale contribuì in modo decisivo a creare le premesse di un’arte americana autonoma, nel campo dell’avanguardia internazionale. Da Arshine Gorky a Jackson Pollock i migliori pittori della nuova scuola americana sono debitori dei surrealisti, per il loro impegno e le suggestioni vitali che essi riuscirono a portare nella vita culturale di New York e di altre città degli Stati Uniti.
Il segreto della durata nei confronti degli altri movimenti d’avanguardia risiede nel fatto che il surrealismo non sta in un gusto, ne in cifre o simboli determinati, ne in una serie di nuovi procedimenti tecnici, ne nella prevalenza della materia o del grafismo, ma in uno spirito che alimenta con le sue prospettive di libertà le produzioni di alcuni artisti. Senza dubbio, molte cose sono cambiate dalle prime, drastiche affermazioni del 1924 e 1925, contemporanee al 1° manifesto di Breton, e che conservano un tono Dada di rivolta contro la cultura. I contenuti eccezionali da capire, nei confronti della banalità della vita quotidiana, non sono più cercati esclusivamente negli stati limiti alla follia e al sogno.
L’importanza stessa che sempre maggiormente i surrealisti assegnano all’amore testimonia come essi sappiano valorizzare delle esperienze normali dell’uomo. Sarà beninteso l’amore pazzo, l’amore unico, ma comunque non è più uno stato aberrante che ci pone fuori dai limiti dell’esistenza comune. E nell’analisi dell’amore essi hanno saputo cogliere, come molla che muove l’essere, l’universalità del desiderio, assegnandogli un’importanza privilegiata. Per i surrealisti il desiderio è infatti veicolo di trascendenza cioè è lo strumento che ci strappa dal banale e ci pone a contatto con quello che conta. Il surrealismo vive di essere questo «ponte» tra il normale e l’eccezionale in una mobile incertezza da cui nascono le fantasie più ardite e quindi le opere che le manifestano.
Questo stato di continuo trascendimento è nettamente rivoluzionario. Ed ecco perché i surrealisti hanno sempre avuto un conto aperto con i marxisti, ma sta di fatto che l’insopprimibile esigenza di libertà che sta nel fondo del surrealismo ha finito sempre per avere il sopravvento ed ha determinato nette prese di posizioni contro gli Aragon e gli Eluard. L’impossibilità di aderire ad un tipo d’azione efficace, com’è quella dei partiti politici, non sospinge comunque i surrealisti verso l’individualismo. L’energica frase di Lautreamont «La poesia deve essere fatta da tutti e non da uno» costituisce uno dei punti fermi del loro credo.
Il trascendimento surrealista pur essendo essenzialmente poetico, vorrebbe raggiungere la vita normale dell’uomo e determinare in essa una scossa anticonformista. Ed è qui che il surrealismo manca, anche sul piano poetico, quando le opere che ispira hanno degli scopi pratici. Nelle loro polemiche anticlericali e pseudoscientifiche, esse ci appaiono sullo stesso piano di quei lavori realisti di propaganda contro i quali i surrealisti stessi si sono pronunciati. Alcuni dipinti solo descrittivi e narrativi che hanno il compito di denunciare quello che i surrealisti chiamavano «le convenzioni della società».
Fresche e stimolanti, le intuizioni surrealiste non riescono a trascendere il piano dell’arte. Carenza d’essere, che d’altronde è forse quella di tutta un’età della cultura, capace di svegliare e di stimolare, ma non di rivelare il profondo. «Se ci fosse un nuovo movimento di emancipazione dell’uomo — disse Breton in una conferenza nel 1942 — vi aderirei subito.» L’intrepida disponibilità all’ignoto non perde quindi i suoi diritti anche quando il movimento è già affermato. E qui sta il segreto della freschezza del surrealismo, malgrado le sue carenze.