Tempo e Spazio: Dall’antichità fino a Einstein e ripercussioni culturali nel ‘900 (III)

De Chirico, Piazza

Ciò che vi propone la rubrica Al Nord della Polare, è una serie de pubblicazioni, le quali argomentano inizialmente intorno ai due termini quali sono “Spazio e Tempo”. Questi, nel susseguirsi delle pubblicazioni saranno applicati allo studio dell’arte pittorica, in particolare allo sviluppo artistico del 900, del quale sappiamo protagonisti diversi movimenti artistici. Accenneremo al carattere di molti confrontando le motivazioni, ma in particolare si darà maggior protagonismo all’opera metafisica, e quindi, al più grande Maestro del 900 Italiano. Vi invitiamo a seguire la lettura con dedicata attenzione, in quanto porta con se le premesse per capire l’arte e lo sviluppo di questa nel 900.


Francesco Santoro

Furono lanciati attacchi alle idee tradizionali dello spazio assoluto e all’unicità prospettica, presero corpo e si divulgarono filosofie come quella del prospettivismo e Nietzsche sollecitava ad utilizzare per la conoscenza proprio la diversità delle prospettive proclamandone un metodo.

         

Dello stesso avviso di Nietzsche fu José Ortega il quale formulava teorie secondo cui ci sono tante realtà, per quanti punti di vista, tanti spazi quante sono le prospettive, e che uno spazio`assoluto solo quando cessa di essere reale per divenire fenomeno.

José Ortega
F. Nietzche

Come dimostra in un certo senso l’opera metafisica di Giorgio De Chirico dove la dimensione spaziale e temporale, estendendosi ad ogni spazio ed ogni tempo, si assolutizza. Nella tradizione pittorica si considerava ‘positivo’ cioè comunicativo, soltanto lo spazio occupato dalle figure e si riteneva “secondario” lo spazio ‘negativo’ cioè quello contenente le figure. Si ebbe di conseguenza un crollo della distinzione tra il pieno e il vuoto tra il soggetto e lo sfondo, figura e campo, tra spazio sacro e profano. Sebbene la natura di questi cambiamenti differisca da settore a settore, permane tuttavia una somiglianza tematica fra i vari mutamenti che indica nell’insieme una significativa trasformazione dei fondamenti metafisici della vita e del pensiero. Alla paura che aveva caratterizzato gli spiriti precedenti, di fronte al vuoto che richiamava il nulla, al pensiero che ampi spazi rappresentassero incompletezza o povertà, s’impose l’idea di far pulizia di ogni eccessiva pomposità o accozzaglie di forme di colore.

Cases d’Horta, Pablo Picasso, 1909

Si fa ricorso al valore di superfici piatte e semplici, si elogiarono stazioni, ferrovie, saloni di borsa come edifici di una nuova epoca che intendeva eliminare decorazioni esagerate. Un riflesso di una tale tendenza la vediamo anche nella riforma teatrale di Adolphe Appia, il quale abbandonò i fondali dipinti che mimavano la natura, creando spazi ritmici con forme architettoniche scolpite, dove il contrasto chiaro-scurale rendeva un senso drammatico alla scena. Gordon Craig svilupperà ulteriormente le idee di Appia facendo del palcoscenico un unico spazio positivo, eliminando ogni illusorietà ricompose lo spazio con tendaggi, tramezzi e forme geometriche.

 

Esempio di Teatro di Appia

 

Esempio di Teatro di Craig

Appia e Craig eliminarono così le profondità illusionistiche date dal disegno tradizionale; i costumi furono liberati dalle decorazioni eccessive, il palcoscenico fu ornato solo con luci e ombre e scenari non figurativi che mettevano maggiormente in risalto lo spazio in cui si muovevano gli attori.

Lo spazio ‘positivo – negativo’, cioè il fondo assumendo la medesima importanza del positivo, s’impose alle vecchie convinzioni. Esattamente come in fisica la teoria atomica s’impose alla teoria del campo.

Lo spazio era riconosciuto sia come costituente che attivo, così in arte era realizzato in due modi positivi. Lo spazio ‘negativo-positivo’ divenne così il centro focale su cui s’imperniavano ricerche e modi d’espressione, che diedero vita ad un vero e proprio culto del vuoto, del negativo, che portò poeti come Mallarmé prima e pittori come De Chirico poi ad incentrare la loro creatività sul concetto di spazio ‘negativo-positivo’. Mallarmé attraverso gli spazi bianchi modellati sulla pagina sperimentò un verso nuovo creando una specie di pausa visiva per cogliere un movimento ritmico di parole e di immagini come in uno spartito musicale.

Stephane Mallarmé

 

“Un coup dés jamais n’abolirá le hazard” (1897)

 

Voleva che la poesia fosse evocativa, cioè non rappresentasse un oggetto, ma l’effetto da esso prodotto. Cercò di rendere visiva la natura evocata dalla sua poesia rappresentandone l’essenza con gli spazi bianchi, intervallati dallo scritto. Intervalli che simboleggiavano le lacune del pensiero le interruzioni nella comunicazione umana, il silenzio che circonda ogni espressione umana.

Il vuoto, il nulla divenne così l’elemento con cui si tentava una soluzione all’enigma del mondo, che agli albori del 19º secolo restava (nonostante tutto) ancora legato alla concretezza fatta di macchine, ferrovie, industria, istituzioni, materialismo, capitalismo e grandi città. Per quanto pesanti e opprimenti apparissero queste novità potevano essere definite catalogate con un nome, e toccate materialmente.

 

Giorgio de Chirico – Canto d’amore – 1914

 

Giorgio de Chirico – Solitude (Malinconia) -1912

 

Mentre le forme a venire del XX secolo risulteranno assai meno tangibili; si vivrà in pieno il mistero della negatività, in cui artisti come De Chirico svilupperanno opere in cui “il vuoto” occupa il centro. Si cercheranno significati al di fuori di ogni forma definita o indefinita, si esplorerà uno spazio e un tempo diverso, fuori da ogni reale visibile dove si troverà solo e sempre il nulla, muto nel suo silenzio. Dunque un radicale rovesciamento di valori dato da quella tendenza culturale che gravitava soprattutto intorno a Nietzsche del cui pensiero si appropria ampiamente il nostro De Chirico ma diversamente da come hanno fatto i fauves, i cubisti e gli espressionisti.

Il Nietzsche di De Chirico si situa tra la nascita della tragedia interpretata in chiave Schopenaueriana, il Nietzsche di Torino, del superamento del senso logico, del non senso. Quell’inventario disparato di oggetti-simbolo che ingombra il quadro metafisico sono l’immagine sensibile di ciò che Nietzsche indica, come l’eredità culturale che pesa sull’uomo europeo, eredità di cui si ignora il vero valore. Ombre e luci dividono lo spazio metafisico di De Chirico, questa è l’atmosfera del tramonto che prelude l’attesa per la soluzione dell’enigma; ma mentre per Nietzsche l’auspicata trasformazione di valori si è dissolta nella follia, per De Chirico la risposta dell’attesa trova soluzioni in una seconda rivelazione: quella della `bella materia’ pittorica, il ritorno alla forma considerata non come maschera, ma com’è nella sua purezza, in sé e per sé, come mistero della stessa tecnica pittorica.

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