di Francesco Santoro
Se si guarda in un vocabolario ai termini « astrarre » o « astrazione » si apprende che essi indicano una operazione della mente la quale si aliena dai sensi o dagli oggetti a lei presenti per incentrarsi in alcune idee che tutta la occupano e la applicano: ed è, se pur molto parzialmente, già una indicazione di quello che il moderno termine di « astrattismo » significa nel campo delle arti. Per precisare in linguaggio critico più rigoroso e specifico dobbiamo dire che l’astrattismo è quel vasto movimento dell’arte del ventesimo secolo che si propone di liberare le forme e i colori di ogni contenuto conosciuto, di ogni presupposto rappresentativo e di ogni principio descrittivo della realtà esteriore come viene percepita dai nostri sensi. Qualcosa, dunque, di estremamente rivoluzionario rispetto ad una tradizione di millenni che sempre ha chiamato l’arte ad un significato raffigurativo e ad un rapporto di comunicazione con gli altri uomini: spesso si è voluto vedere in certe espressioni in apparenza astratte dell’arte preistorica quasi un precedente di queste moderne forme di linguaggio, ed è stato un grave errore, in quanto l’uomo del paleolitico o del neolitico attraverso quei segni astratti esprimeva in termini convenzionali una realtà magica e rituale percepibile a tutti. Proprio perché era una convenzione ed il segno aveva il valore della parola scritta, che nasce precisamente da queste forme astratte e simboliche.
L’astrattismo, pertanto, è un fenomeno proprio e caratteristico del nostro tempo che ha le sue radici e le sue origini nella cultura europea a cavallo tra Ottocento e Novecento, specificamente nell’ambito del Simbolismo: in questo periodo cominciano a prendere forma i concetti di un’arte che vale solo in se stessa, per i suoi valori autonomi di linguaggio e non per il suo contenuto rappresentativo — in questo senso era stata molto stimolante anche l’esperienza teoretica della ” pura visibilità ”, enunciata dai filosofi e artisti tedeschi Fiedler, Hildebrant, von Marées —, in questo periodo si definisce il concetto dell’opera d’arte come ornamentalità, intesa non alla stregua di decorativismo ma quale forma capace di caricarsi di significati simbolici e letterari o, che è più pertinente al nostro assunto, di intime e interne suggestioni e allusioni ritrovate negli stessi strumenti linguistici di ogni arte. Il fine della pittura e della scultura, allo stesso modo dell’architettura o della musica, non è quello di riprodurre la realtà, sia pure attraverso lo schermo di una sensibilità individuale, ma di dare un equivalente plastico delle emozioni e dei sogni, degli stati d’animo. Come i poeti cercano di svuotare la parola della sua convenzionalità per caricarla di allusioni e inserirla in una armonia musicale e ritmica, così i pittori cercano di superare il limite della raffigurazione che vincola le forme e i colori, la linea e il tono, per farli liberamente aderire all’espressione del loro mondo sentimentale.
Se si sfoglia « Théories » di Maurice Denis, in cui confluiscono tutti i motivi estetici propri di questa congiuntura culturale tra il 1890 e il 1910, si troveranno molte illuminanti indicazioni di quell’atteggiamento poetico che conduce dritto all’astrattismo, anche se l’autore è un artista neo-tradizionalista. Citiamo alcuni brani dei più esemplanti: « Ricordarsi che un quadro, prima di essere un cavallo di battaglia, una donna nuda o un qualunque aneddoto, è essenzialmente una superficie piana ricoperta di colori riuniti in un certo ordine » ; « i suoni, i colori, le parole, hanno un valore miracolosamente espressivo, al di fuori di ogni rappresentazione, al di fuori anche dei significati letterali delle parole »; « noi affermiamo che le emozioni o stati d’animo provocati da uno spettacolo qualunque, comportano ‘nell’immaginazione dell’artista dei segni o equivalenti plastici capaci di riprodurre queste emozioni o stati d’animo senza che vi sia bisogno di dare la copia dello spettacolo iniziale: che ad ogni stato della nostra sensibilità deve corrispondere una armonia oggettiva capace di tradurla ».
L’accento cade sempre sugli stati d’animo e sugli equivalenti plastici di essi, che è il problema centrale di tutte le forme astratte: non si tratta, pertanto, di una rinuncia all’espressione, ma di trovare degli schemi nuovi di linguaggio pittorico e scultoreo che più liberamente giungano a questa espressione del mondo sentimentale e dell’interiorità individuale dell’artista. L’astrattismo, alle origini, si presenta come un movimento che cerca di instaurare una nuova piattaforma linguistica, una nuova struttura formale, al di fuori di ogni tradizione e di ogni convenzionalità, fuori di quel campo di riferimento normativo che, ancora nell’Ottocento, rimaneva fondamentale e tranquillamente accettato da tutti gli artisti: dal romanticismo al naturalismo impressionista è sempre il rapporto con il mondo a condurre e guidare le espressioni artistiche, varie e diverse come vari e diversi sono gli atteggiamenti dei singoli pittori o scultori di fronte a questo mondo. Ma già l’accentuazione nella trasfigurazione lirica della realtà, riconosciuta come atto fondamentale di ogni vera creazione artistica, apporta nuove spinte alla nascita del movimento astratto.
Nell’ambito dell’« art- nouveau » — in Italia più conosciuta sotto la denominazione di « Liberty » —, per eccellenza preoccupata di forme decorative e ornamentali, non mancano alcuni singolari precorrimenti astratti, specialmente in certe composizioni giovanili di Van de Velde: della realtà esteriore non c’è più traccia, rimangono solo ritmi di linee e zone di colore armoniosamente accordate. Tuttavia non abbiamo ancora una piena consapevolezza teorica, in queste opere, in quanto esse vengono realizzate più in vista di un risultato ornamentale che espressivo. Lungo questa direzione, svolta fino alle estreme conseguenze, si immettono anche i russi Larionov e la Gontcharova, i quali dapprima riassumono la realtà esteriore in sintetiche forme decorative, poi lasciano il campo ad una pittura completamente disancorata da ogni riferimento rappresentativo.
In sostanza queste prime avvisaglie astratte sono più la conclusione di una cultura che l’inaugurazione di nuove forme di linguaggio: Van de Velde si dedica negli anni della sua maturità all’architettura e alle arti applicate, mentre Larionov diventa lo scenografo dei balletti di Diaghilev. Il vero filone astratto, nella doppia direzione lirica e strutturale, è quello che viene determinato dalle esperienze del russo Kandinsky e dall’olandese Mondrian, i due campioni di questo eccezionale: le loro ricerche vanno inserite nel clima avventuroso e sperimentale dei primi quindici anni del Novecento, che vede l’affermazione clamorosa del colore nei « fauves » — Matisse, Dufy, Derain, Vla- minck —, della forma nei cubisti — Picasso, Braque, Leger, Gris —, del movimento nei futuristi — Boccioni, Carrà, Balla, Severini —.
Nella poetica di questi diversi gruppi il soggetto e il tema illustrativo assumono un ruolo secondario — ad eccezione dei nostri futuristi, sempre legati alla rappresentazione del dinamismo della vita moderna —, mentre l’interesse si incentra sul problema formale: in questo senso si capisce facilmente come l’astrattismo si appoggi a questi particolari modi linguistici e a queste esperienze. L’artista del ventesimo secolo, sia esso pittore o scrittore, architetto o musicista, prende coscienza della sua individualità e dei diritti assoluti della fantasia e liberamente si avventura nelle zone inesplorate dell’animo umano e della realtà: non c’è nessun atteggiamento sistematico o programmatico nel suo operare, soltanto un’ansia di rinnovare dalle fondamenta, talora anche con estremismi gratuiti, sia i contenuti che le forme dell’arte. Egli approfondisce le possibilità espressive dei suoi strumenti di linguaggio — parole, suoni, colori — e trova un’infinita ricchezza di modi e di forme, fino allora mai tentate: la musica con Schoenberg scopre la dodecafonia e con Strawinski la libertà del ritmo, il romanzo con Joyce e Kafka esce dal naturalismo per divenire l’espressione diretta o simbolica del mondo interiore, con le sue analogie e le sue metamorfosi, la poesia con Pound è un mosaico di immagini e ritmi vorticosi, l’architettura con Wright si introduce nei paesaggio e con Le Corbusier cerca di conquistare nuovi spazi e di creare un nuovo paesaggio. In pittura e in scultura l’aspetto più clamoroso e discusso nell’ambiente dell’avanguardia è l’astrattismo, che rientra in questo clima artistico sperimentale e avventuroso, individualistico e privato: l’uomo è solo di fronte a quella tela o a quel marmo che deve caricarsi della sua emozione, deve diventare la sua emozione direttamente, senza il consueto e tradizionale ricorso al repertorio rappresentativo naturalistico, alla realtà come viene percepita dai nostri sensi.
Wassily Kandinsky, uomo estremamente colto e aggiornato sull’avanguardia artistica internazionale, è certo il pittore i cui occhi, primi, vedono astratto: egli è spinto da una infrenata sete di spiritualità e dal desiderio di rilevare attraverso l’arte il mondo invisibile dell’immagini che abitano la sua mistica fantasia. Il quadro diventa una improvvisazione musicale, dove alle note e al ritmo si sostituiscono i colori e le forme. Dapprima egli smaterializza gli oggetti del mondo esterno, li rende entità traslucide e diafane sotto l’azione di una folgorazione luminosa, li immerge in un vortice dinamico, privandoli delle loro naturalistiche relazioni per parteciparli di una contemporaneità narrativa fantastica. Kandinsky cerca una sintesi spirituale della realtà e liricamente la trova nell’armonia del luminoso colore che si stende con finissime sfumature sulla tela, raccordato da ritmi lineari. Sono questi gli anni estremi del periodo monacense dell’artista russo — 1910-1914 —, che successivamente raffredda questa sua invenzione in un arido schematismo di forme geometriche, di valore quasi del tutto decorativo e ornamentale.
All’astrattismo lirico e musicale di Kandinsky si contrappone l’astrattismo architettonico e strutturale dell’olandese Mondrian, il quale prende l’avvio dalle forme sintetiche dei cubisti francesi per tendere sempre più verso una limpida e cristallina concezione del quadro come equilibrio intellettuale di spazi e volumi geometrici: i rapporti che reggono la facciata di una casa — pieni e vuoti, luci e ombre, volumi aggettanti e rientranti — sono gli stessi che debbono governare la definizione del quadro. Ogni riferimento alla realtà esteriore è completamente cancellato ed essa non ha più alcun valore per l’artista, chiuso nella torre d’avorio di una mentale contemplazione: il pittore astratto non opera una sintesi di ciò che vede fuori di lui, non deforma l’immagine naturale della realtà, come Picasso, e non ne offre un equivalente plastico, ma inventa mentalmente relazioni e rapporti tra forme e colori. Alla fine del 1913, a Mosca, un pittore russo amico del poeta Maiakovski, Kazimir Malevich, espone un dipinto con un quadrato nero su un fondo bianco: nient’altro. È senza dubbio una posizione estremista, ma di siffatti atteggiamenti è fitta la cronaca dell’arte del nostro secolo.
Il grande tentativo di raccogliere insieme questi diversi aspetti d’arte astratta e di creare uno stile unitario per tutte le varie forme espressive — pittura, scultura, architettura, arti applicate, disegno industriale —, viene operato nel terzo decennio dal gruppo di artisti che si raccolgono nella Bauhaus di Weimar e di Dessau: questo centro d’irradiazione esercita una notevolissima influenza in Europa, poi, in seguito alla soppressione del gruppo ad opera dei nazisti, anche in America. In pittura la nota dominante è offerta dall’astrattismo geometrico, che si afferma in tutti gli angoli del mondo, diventando una sorta di esperanto internazionale, alquanto arido e schematico.
Per reazione a questo nuovo accademismo si determinano nel dopoguerra, sempre in ambito astratto, violente ed esagerate forme espressive che si affidano esclusivamente al gesto incontrollato della mano, alla sgocciolatura casuale del colore sulla tela, all’ingorgo informe della materia — Pollock, Fautrier, Wols —: si tratta della cosiddetta « action-painting » americana, chiamata anche astratto-espressionismo che rappresentano la propaggine estrema dell’originario astrattismo.
Dopo mezzo secolo di vita questo vasto e importante atteggiamento artistico si è ormai svuotato di ogni contenuto polemico ed è diventato una forma espressiva accettata dal grande pubblico, oltre che dai collezionisti e dai Musei di tutto il mondo: possiamo dire che è un passaggio quasi obbligato nella formazione di ogni giovane pittore, anche se ormai il suo ciclo sembra esaurito, se le forze più vive dell’arte attuale cercano di definire un nuovo e più impegnativo rapporto con la realtà e con la vita.