Ciò che vi propone la rubrica Al Nord della Polare, è una serie de pubblicazioni, le quali argomentano inizialmente intorno ai due termini quali sono “Spazio e Tempo”. Questi, nel susseguirsi delle pubblicazioni saranno applicati allo studio dell’arte pittorica, in particolare allo sviluppo artistico del 900, del quale sappiamo protagonisti diversi movimenti artistici. Accenneremo al carattere di molti confrontando le motivazioni, ma in particolare si darà maggior protagonismo all’opera metafisica, e quindi, al più grande Maestro del 900 Italiano. Vi invitiamo a seguire la lettura con dedicata attenzione, in quanto porta con se le premesse per capire l’arte e lo sviluppo di questa nel 900.
Francesco Santoro“Vedere l’insolito nel quotidiano o, più semplicemente, vedere il quotidiano per la prima volta, o vedere l’invisibile attraverso il visibile”.
La seconda rivelazione avviene a Roma nel 1919 De Chirico racconta: “…fu al museo di Villa Borghese una mattina davanti a un quadro di Tiziano che ebbi la rivelazione della grande pittura”, scrive De Chirico nelle ‘Memorie della mia vita’.
Si può anche prescindere dall’iperbole poetica, seria e insieme ironica, con cui De Chirico continua la narrazione – “una Pentecoste di lingue di fuoco suoni ultraterreni e trombe di resurrezione”– ma si deve leggere con attenzione il paragrafo successivo: “…Capii che qualche cosa di enorme avveniva in me. Fino allora, nei musei, in Italia, in Francia, in Germania, avevo guardato i quadri dei Maestri e li avevo sempre visti come li vedono tutti cioè come immagini dipinte. Naturalmente, quello che allora mi fu rivelato al Museo di Villa Borghese non era che un principio; in seguito, con l lo studio, il lavoro, l’osservazione e la meditazione, ho compiuto progressi giganteschi…”.
Il racconto, con una finzione caratteristica del De Chirico polemista e memorialista, prosegue qui nuovamente fino all’iperbole satirica; tuttavia trasmette, fra l’altro, qualcosa di molto importante. Così come l’essenza del De Chirico metafisico consiste nell’atto di vedere per la prima volta il quotidiano, l’essenza del De Chirico neoclassico risiede nel cessare di vedere i quadri dei maestri antichi come “immagini dipinte”. De Chirico non ci dice tutto questo esplicitamente, cioè che vede tali quadri tralasciando di vederli come immagini dipinte, però la risposta è evidente: vede in essi la pittura.
Nel 1910 scoprendo la pittura metafisica, De Chirico scopre quello che è in sostanza l’essenza dell’arte. Egli scopre da solo una forma nuova di conoscenza attraverso la pittura.
Nel caso della seconda rivelazione, come la maggior parte degli osservatori, anche De Chirico vedeva le opere antiche solamente come immagini dipinte finché quella mattina non arriva, attraverso la rivelazione a vedere in queste la pittura, cioè la naturalezza specifica dell’arte pittorica. Da questo secondo momento non ammirerà più l’iconografia dei capolavori antichi, in quanto ora lo affascina la pittura in essi contenuta (intesa strettamente come materia pittorica). Ora le opere postume al ‘19 non segnano, come invece la critica ha voluto sottolineare, l’inizio di un declino della pittura metafisica; bensì uno spostamento sul fondo, cosa che ha fatto credere alla sua fine, alla sua inesistenza.
La pittura metafisica di De Chirico non si limita ad un solo costume, ad un solo scenario e neppure a una sola mitologia moderna. La sua universalità, più che finire nel ‘19 ha forse dato inizio al manifestarsi sovranamente, morendo apparentemente in se stessa, ha creato le condizioni materiali della sua resurrezione. Quello che accade nella rivelazione del 1910, cioè la prima, è che De Chirico incontra se stesso, ne è una prova le iniziali dello stesso De Chirico sullo zoccolo della statua di Dante. In altri termini si sostituisce a Dante, cioè alla cultura classica; segno appunto di questa rivelazione di sé, un risveglio dell’ ‘io’ reale attraverso 1′ ‘io’ ideale.
Uno scritto di Weininger spiega e dichiara: è ancora lo stesso fenomeno di Schelling, nell’ottava delle sue ‘Lettere’ sul dogmatismo e il criticismo, con queste parole profonde e magnifiche: “…noi possediamo un potere misterioso, meraviglioso, che ci permette di sottrarci ai segni del tempo, di spogliarci di tutti gli apporti esterni, per rientrare in noi stessi e contemplarvi l’esterno, sotto la sua forma immutabile…
Questa contemplazione costituisce l’esperienza più intima, più autentica, quella da cui dipende tutto ciò che sappiamo o che crediamo di sapere di un mondo soprasensibile. Questa intuizione intellettuale ha luogo tutte le volte che cessiamo di essere oggetto per noi stessi, tutte le volte che rientrato in se stesso l’‘io’ che contempla si identifica in ciò che contempla. Durante i momenti di contemplazione il tempo e la durata scompaiono per noi: non siamo allora noi ad essere nel tempo, ma è il tempo, o piuttosto la sua pura eternità assoluta ad essere in noi, non siamo noi a perderci nella contemplazione del mondo oggettivo bensì esso a perdersi nella nostra contemplazione.”
Dunque De Chirico attraverso l’ ‘io ideale’ lascia che la realtà oggettiva della cultura classica si perda nella sua contemplazione. Ponendosi nella condizione di uomo-oracolo cambia la veduta in visione, guarda alla piazza con occhi nuovi, e della chiesa in stile gotico e della statua di Dante ne fa uno spazio ellenico, attribuendo alla visione un carattere quasi miracoloso.
De Chirico stesso resta sorpreso da queste immagini che gli si rivelarono diverse e quasi estranee alla stessa piazza che le aveva provocate. Importante in questo senso è la citazione di Schopenauer, “Intorno alla nascita di un’opera d’arte” dove ci spiega come le rivelazioni in pittura non hanno nulla a che fare con la dimensione del fantastico, bensì dipende solo dal particolare atteggiamento che si assume nei confronti degli avvenimenti più comuni, far vedere come nuovo il già visto, paragonabile a quell’individuo che osserva la vita, (di cui è pure necessariamente attore) come spettatore disinteressato. “…Per avere delle idee originali straordinarie e forse immortali non si deve fare altro che isolarsi dal mondo per pochi momenti in modo così completo che gli avvenimenti più comuni sembrino essere nuovi e insoliti, e rivelino in tal modo la loro vera essenza. Se invece di idee, immaginate la nascita di un’opera d’arte pittorica nella mente di un artista, avrete il principio della rivelazione nella pittura.”
Un quadro dipinto in seguito a tale rivelazione fu proprio ‘Enigma di un pomeriggio d’Autunno’ scaturito appunto dalla visione vissuta in piazza S. Croce a Firenze.
A mostrare il valore di un simile quadro basterebbe la sola immagine tracciata correttamente, in quanto il suo valore non consiste nella qualità della pittura bensì nel contenuto spirituale dell’opera. Il momento della rivelazione è per De Chirico un qualcosa attraverso cui egli ha potuto intravedere un mondo esistente al di là fuori dalle cose conosciute dallo spirito umano.
Un mondo che la logica umana non può concepire e che non esiste per i comuni mortali dato che per noi esiste effettivamente solo quello che conosciamo. Questo mondo definito da lui metafisico del quale noi, con il nostro cervello, non scorgiamo nulla, è il mondo che Nietzsche fa intravedere nelle sue opere, mentre in pittura ce ne hanno tracciato un’immagine Böcklin e Klinger, un mondo dove le parole non hanno più gioco e l’intelligenza si può solo sentire per mezzo dell’intuizione togliendo alla ragione la facoltà di legare e imprigionare le cose in quella catena precostituita di ricordi e di significati.
De Chirico si pone in uno stato di chiaroveggenza e di astrazione, di smemoratezza che è sorella della pazzia. De Chirico lascia che lo sguardo si posi sulle cose, le quali si rivelano sotto un nuovo aspetto e precisamente metafisico.
Aspetto che non è qualcosa di trascendete, non implica alcuna intenzione moralizzatrice. Per De Chirico è metafisica l’infrastruttura poetica delle vita stessa, il limite stesso del mondo reale, la sua luce, la sua ombra.
Che lo manifesti o no attraverso le sue opere non ha mai cessato di essere metafisico. Parola che ha sempre qualificato e differenziato il suo territorio, la sua vita mentale e fisica, territorio da cui tutto vedeva ed osservava, forse come un profeta ha voluto mostrarci un’altra verità. Spazio contemporaneo e visioni antiche accostate fra loro, nitidamente costruite suscitano un senso di estraniazioni, di non logico, d’incongruo, questo è ciò che accadde in quella frazione di secondi vissuti da De Chirico nel vedere il mai visto, dove il tempo della rivelazione (inteso come durata) ha plasmato e mutato i segni della realtà dandogli l’aspetto insolito, diverso, di sogno, di sospensione enigmatica.
Enigma che vive fra questo perdersi e la rivelazione, l’enigma é ciò che fa da ponte fra i due, è il punto di passaggio tra lo sguardo sul tempo e il tempo stesso, cioè l’intervallo, il vuoto che li separa.