Da Trump a Bolsonaro: L’avanzata delle destre nel mondo

Jair Bolsonaro, neopresidente del Brasile, e Donald Trump, attuale Presidente degli Stati Uniti d'America. FOTO SKY

Dopo il verdetto delle elezioni svedesi del Settembre scorso, che hanno permesso al mondo di conoscere la “destra”di Jimmie Akesson, anche il Brasile ha il suo Presidente: il controverso Jair Bolsonaro.

Le elezioni sudamericane, svoltesi in un clima di terrore e di apprensione, hanno confermato l’apparente avanzata delle destre in tutto il mondo. Da Donald Trump a Narendra Modi, Primo Ministro indiano che recentemente ha incontrato Giuseppe Conte, il mondo sembra essersi affidato al nazionalismo e al conservatorismo unilaterale dei valori tradizionali.

Al grido di “Dio, Patria e Famiglia”, uno slogan che da Oriente ad Occidente unisce l’intera “nuova destra”, il neopresidente Bolsonaro ha superato il candidato del Partito dei Lavoratori, Fernando Haddad. Gli eventi della campagna elettorale, forse, hanno condizionato l’esito delle urne: in primis  l’aggressione subita dal neopresidente, in secundis i temi che l’hanno caratterizzata.

Infatti, il 6 Settembre scorso, Bolsonaro fu aggredito da un individuo, placcato poi dai manifestanti, che alcune indiscrezioni non confermate collocano vicino all’ex Presidente Lula (attualmente in carcere per corruzione e riciclaggio). La ferita, tutt’altro che superficiale, ha trasformato il futuro vincitore in un martire della resistenza contro la sinistra, facendolo schizzare nei sondaggi (dal 22% al 34%) e regalandogli così il favore del popolo.

L’accoltellamento subito dall’attuale Presidente è stato provvidenziale: nonostante la dubbia moralità del gesto, su cui non si discute, l’episodio ha sottratto Bolsonaro al confronto diretto con il suo avversario. Una sorta di “sottrazione allo scontro delle idee” che gli ha permesso di mantenere la sua immagine “immacolata” nei confronti degli elettori, catturati dalla solidarietà.

Ma, ovviamente, non è stata soltanto l’aggressione a regalare a Bolsonaro la presidenza, anche i temi affrontati durante lo scontro elettorale hanno irrimediabilmente pesato sulle urne. In Brasile, durante la campagna elettorale, si è registrata una forte discesa dei valori progressisti introiettati nella popolazione grazie al decennale Governo di centro-sinistra, a favore di una riscoperta di un corpo elettorale fortemente tradizionalista e radicale. Infatti, il Presidente ha trovato terreno fertile quando ha affrontato temi come la criminalità, i trans-gender e gli omosessuali. Il più esteso Paese sudamericano, infatti, da anni naviga in cattive acque a causa dell’aumento repentino dei furti, degli omicidi, in genere all’interno delle periferie. Inoltre, la corruzione e la crisi economica, che hanno praticamente tagliato le gambe alla settima economia mondiale, hanno creato una frattura insanabile negli animi del popolo brasiliano.

Sul fronte dei diritti civili, invece, la messa in pratica delle sue promesse elettorali ha destato molta preoccupazione nei cuori dei progressisti. Il futuro Presidente, durante la pubblica lode dei valori cristiani (il Brasile è il Paese con il più alto numero di cattolici nel mondo), si è spinto oltre andando contro i matrimoni omosessuali, l’aborto e i diritti LGBT. Poi, ha esaltato la famiglia tradizionale (o naturale), sulle orme del Ministro dell’Interno italiano, Matteo Salvini.

Anche negli Stati Uniti, prima grande democrazia ad aver intrapreso la strada del “populismo di destra”, il Donald Trump ha conquistato la Casa Bianca al grido “America First”con un programma elettorale non dissimile da quello di Salvini e Bolsonaro.

Sembrerebbe che tutti i leader populisti mondiali siano uniti dagli stessi slogan, oppure che le esigenze dei cittadini delle varie nazioni siano le stesse…

La soluzione conservatrice brasiliana, e quella statunitense, si vadano ad aggiungere all’ondata nazionalista che ha invaso il mondo occidentale ed orientale. Ma, entrando nel particolare, quali sono i motivi che hanno portato la destra al potere all’interno delle economie più industrializzate del mondo?

Partiamo dall’Unione Europea ricorrendo ad un luogo comune, ma sicuramente veritiero:

L’ascesa della destra negli Stati membri dell’UE è stata accompagnata dal parallelo declino dei partiti di sinistra tradizionali.

Non credo ci sia da aggiungere altro a questa frase, poiché descrive alla perfezione l’avanzata delle destre: se la sinistra ha fallito, la destra riacquista credibilità. In Germania, ad esempio, la storica alleanza tra SPD CDU/CSU non è più in grado di garantire stabilità sicurezza governativa e l’avanzata di AfD, il partito neonazista, sta diventando realtà. Inoltre, a rovinare i piani della Merkel si è aggiunto anche il movimento ecologista “I Verdi”che nelle elezioni del Lander “Assia” si è imposto con quasi il 20%, eseguendo un balzo di circa 9 punti percentuali a discapito della “Grande Coalizione” che in tutti gli Stati Federati tedeschi sta perdendo fiducia e credibilità. Ma non solo la Germania, anche la Francia ha vissuto (e sta vivendo) la rinascita della “destra”: un paio di anni fa, Marine Le Pen, leader del partito “Front National” (ora ribattezzato – Raggruppamento Nazionale-), ha sfiorato la presidenza ed ora, con la popolarità di Macron intorno al 21%, sta riacquistando credito agli occhi degli elettori. L’Ungheria con Orban, la Polonia con “Diritto e Giustizia”, l’Austria con Sebastian Kruz e la Repubblica Ceca con Babis (soprannominato “il Trump di Praga”) sono la conferma di come “tutto il mondo è paese”, se volessimo usare un’espressione proverbiale per sottolineare come l’ascesa della destra non dipenda dal caso bensì da un grande fallimento: il fallimento del modello riformista e progressista messo in atto dalle sinistre.

I socialisti francesi, storico partito della sinistra d’oltralpe, alle ultime elezioni hanno perso 250 seggi, a fronte di un 5,7% bollato come peggior risultato di sempre. In più, catastrofe vuole che siano stati costretti a mettere all’asta la loro storica sede nella capitale francese. Anche la SPD, precedentemente citata, alle ultime elezioni tenutesi nel 2017, ha registrato un calo dei consensi (20,5% contro il 25,7% del 2013) che hanno relegato il partito ad un mero contenitore di voti per il partito di Angela Merkel (CDU/CSU).

La sinistra, anche italiana, negli ultimi anni caratterizzati da crisi economica, sociale e culturale ha perso il contatto con la realtà. E, nonostante le differenze tra i diversi Paesi dell’Unione Europea, le cause del fallimento in alcuni casi sono comuni.

L’incapacità cronica dei socialdemocratici tedeschi, ad esempio, di porre una visione alternativa all’elitismo della Merkel ha fallito miseramente. E la risonanza di questo fallimento ha fatto il giro d’Europa. Da anni la sinistra pone come alternativa dei modelli di “destra”, come il “neoliberismo” (mirante alla diminuzione delle tasse per chi possiede i capitali e a deregolamentare il mercato per favorire la crescita), nonostante siano delle ricette fallimentari e controproducenti. Il risultato di queste “formule magiche” è stato l’impoverimento progressivo della classe media, tale da eliminarla quasi del tutto, preservando invece, le classi abbienti e quelle bancarie.

L’adozione di politiche di destra, poi, ha reso irriconoscibili le due posizioni politiche. Ad oggi, al di là delle etichette, se dovessimo far riferimento ai soli programmi elettorali faticheremmo a distinguere la sinistra dalla destra. Inoltre, le alleanze non convenzionali (come quella tra Alfano e Renzi ad esempio, o il “patto del Nazareno” tra Berlusconi e Renzi), hanno provocato un disdegno per la politica in senso stretto, favorendo l’emergere di quella che viene unanimemente considerata “antipolitica”.

Ma perché questa ondata di disdegno ha interessato solo la sinistra? Le risposte sono molteplici.

Da un lato, le classi agiate continuano a votare “destra”, per abitudine o per le politiche perseguite (mancata redistribuzione della ricchezza, approccio blando all’evasione fiscale – si legga “condono” e flat tax – politiche di sicurezza), dall’altro perché la destra rappresenta, in alcuni casi, l’unica alternativa possibile.

La nuova classe dirigente di destra, inoltre, sta spostando il proprio baricentro da “centrodestra” a “destra assoluta”; le politiche sull’immigrazione, la legittima difesa e il nazional-populismo (quest’ultimo basato sulla difesa della propria cultura), hanno conquistato le campagne elettorali e i programmi di governo di quei partiti alla ricerca disperata di un consenso, che si presentano come valide alternative per un Paese che possa finalmente ritrovare le proprie radici. Questi partiti, cavalcando l’onda del terrorismo, della fantomatica islamizzazione che sta interessando il Continente Europeo e “dell’UE brutta e cattiva”, macinano consensi e mietono vittime tra le fila dell’opposizione.

Un esempio lampante della radicalizzazione che sta interessando i partiti di destra, lontani sempre più da posizioni di “centrodestra”, lo troviamo in Austria. Sebastian Kurz, il trentunenne leader del Partito Popolare Austriaco (OVP), ha più volte attaccato l’Unione Europea sull’accoglienza dei richiedenti asilo accusandola di “trafficare rifugiati”. Tema che ha accompagnato la campagna elettorale che lo ha portato alla vittoria nell’ottobre dello scorso anno. Il governo a cui ha dato vita, è nato dall’alleanza dei popolari con l’FPO, il partito di estrema destra austriaco.

Orban e Babis, invece, sono riusciti a cavalcare l’ondata migratoria senza neppur essere interessati da una migrazione di massa. Entrambi i Paesi, appartenenti al celeberrimo “gruppo di Visegrad”, non sono minimamente toccati dai flussi migratori, però sono riusciti a far risvegliare uno spirito xenofobosopito nella pancia del Paese e ad ottenere il potere, instaurando un’oligarchia mirante al soddisfacimento dei propri interessi personali. Addirittura le “leggi anti-rifugiati” del Capo di Stato ungherese, sono finite alla Corte di Giustizia Europea che ha deferito il Paese dell’Europa Orientale, ora costretto a rivederle.

A quanto pare, ad oggi, le destre radicali non fanno più paura come in passato, e gridare al “fascismo” e al “nazismo”, dipingendole come pericolo per la democrazia, non è più un messaggio in grado di raccogliere il consenso elettorale. Anzi, certe volte l’attacco diretto è spesso un boomerang controproducente per gli stessi soggetti che lo lanciano.

La globalizzazione, ha creato delle domande a cui la sinistra non è stata in grado di dare risposta. L’internazionalizzazione dei fenomeni, sia politici che sociali e culturali, ha prodotto degli interrogativi che hanno impaurito l’opinione pubblica e l’hanno spinta tra le braccia dei populismi vari. L’apertura dei mercati, ad esempio, ha reso meno appetibili i grandi scenari industrializzati, attanagliati dal welfare, necessario, ma gravoso per la competitività sullo scenario internazionale.

Inoltre, i contrasti con l’Unione Europea, considerata come il nemico numero uno per la riconquista della sovranità nazionale, accrescono questo sentimento comune in una sorta di “internazionale populista” dalla Scandinavia al Mediterraneo, nel nome di un solo obiettivo: la presa del Parlamento Europeo nel 2019 (come “La Presa della Bastiglia” del 14 luglio 1789, simbolo della Rivoluzione Francese).

L’Europa appare oggi condannata ad andare sempre più a destra. Le istituzioni comunitarie, accusate di aver dato vita a questi fenomeni che stanno interessando l’intero continente, non sono in grado di reagire alla liquefazione dei partiti tradizionali di sinistra. L’integrazione europea, fenomeno tramandato da trattati datati, rischia di subire una definitiva battuta d’arresto e il progetto comunitario di una grande unione politica, rischia di sgretolarsi definitivamente.

In Italia, invece, il Partito Democratico è andato incontro ad un’agonia, lunga ed estenuante, iniziata nel 2013, con lo scialbo 29% ottenuto da Bersani contro un morente Berlusconi e un nascente Movimento Cinque Stelle, e culminata con il 18% delle Elezioni Politiche del 2018. L’allontanamento dall’elettorato è iniziato nella campagna elettorale del 2013, dove l’allora Segretario (Bersani), ha dedicato più attenzioni alle elites, economiche e bancarie, che agli operai che chiedevano maggiori tutele dalla crisi economica che stava logorando l’intero settore produttivo. Poi, come se non bastasse, la fine del berlusconismo a cui il PD dichiarò guerra alcuni anni prima, ha sgonfiato le armi e gli argomenti in mano alla sinistra che ai diritti sociali ha sostituito quelli civili.

La perdita della ragione sociale, ereditata con tanta fatica dal Partito Comunista Italiano, ha portato l’elettorato ad avvicinarsi prima al Cavaliere (che risulta essere il più votato dagli operai nelle elezioni del 2013) e poi al Movimento Cinque Stelle, consacrato a vero e proprio partito politico il 4 Marzo. L’avvicendamento di Matteo Renzi, visto come il risultato di un ricambio generazionale tanto agognato dalle nuove generazioni, ha prodotto, invece, l’allontanamento definitivo delle giovani speranze dalla sinistra italiana, tacciata di servilismo nei confronti dell’Unione Europea e delle banche, inadeguata ad affrontare i problemi derivati dalle crisi del 2008 e del 2011.

La destra italiana, invece, sembra essere scomparsa dai radar. Il centrodestra italiano, viene fatto risalire all’entrata in campo di Silvio Berlusconi e del suo partito personale Forza Italia. I movimenti di destra, prima del 1994, non rivestivano un’importanza fondamentale. Le due formazioni maggiori erano l’MSI, di derivazione fascista, e il Partito Monarchico. Dopo “Tangentopoli”, il partito di Berlusconi divenne il baluardo del centrodestra, con Alleanza Nazionale (nato dall’MSI) e l’unione dei vari movimenti autonomisti, La Lega Nord. Il fallimento delle politiche berlusconiane, legato anche alle vicende personali del Cavaliere (a cui il partito era ed è fortemente legato), hanno portato al declino del centrodestra italiano e alla nascita di una destra compatta,“populista” e decisa: la Lega di Salvini.

La destra salviniana, più volte accostata al Fascismo, sembrerebbe l’unione delle politiche sostenute nelle altre parti d’Europa (relative all’immigrazione e allo scontro con i vertici di Bruxelles) con l’aggiunta di elementi economici tipici del partito dell’ex Cavaliere (superamento della Fornero, condoni fiscali e flat tax). Certamente, l’alleanza che per molti anni ha caratterizzato le due formazioni di destra, Forza Italia e Lega, ha un po’ plasmato le politiche del movimento autonomista, ma ora sembrerebbe che il partito di governo abbia preso il largo, accompagnato da un’altra formazione di dubbia collocazione: il Movimento Cinque Stelle.

L’accostamento al Fascismo, invece, sembra essere diventato un argomento a cui molti ricorrono quando si esprimono delle opinioni non convenzionali oppure non concordanti con una determinata linea di pensiero imposta dal politically correct. In Italia, ad esempio, si ricorre all’uso del Fascismo, un periodo storico che mai si ripeterà nel futuro prossimo, quando si vuole distogliere la popolazione da problemi più importanti e pertinenti come la criminalità nelle periferie, lo spaccio all’interno delle stesse oppure “quando la sinistra, non più sinistra, cerca di dire cose di sinistra” (perdonate il gioco di parole). A questo proposito, merita una citazione la celeberrima Legge Fiano contro l’apologia di Fascismo, in un determinato periodo dove la disoccupazione toccava il suo massimo storico. La proposta, passata alla Camera, è decaduta con la fine della precedente legislatura.

Lo sdoganamento di un regime dittatoriale in età democratica, dovrebbe avvenire tra i banchi di scuola, con imparzialità e obiettività, mostrando il male fatto da tutti i regimi autoritari/totalitari. L’uso politico e propagandistico di un“ritorno del Fascismo” non solo delegittima l’attuale classe politica, vuota di argomenti, ma a sua volta favorisce l’affermazione del partito che si vuole mettere in cattiva luce. L’opposizione, per riacquistare credibilità dovrebbe smettere di fare propaganda e si dovrebbe concentrare sui contenuti delle proposte che i partiti di governo producono, non con l’obiettivo di prevenire il “pericolo dittatura”, bensì con la reale intenzione di fare il bene del popolo sovrano.

Mettendo da parte il “caso italiano”, del tutto particolare, non mancano delle chiare e concise derive autoritarie neonaziste nel resto d’Europa come i già citati “Alternativa per la Germania”, nell’omonimo Paese, l’FPO austriaco di Strache, dichiaratamente di “estrema destra” e i partiti scandinavi della grande famiglia dei “Movimenti di Resistenza Nordica”. Queste formazioni, in assenza di un’autorità centrale in grado di garantire adeguata sicurezza e protezione, perseguono delle politiche liberticide e nazionaliste miranti al ristabilimento dell’ordine, “il più bianco possibile”.

La crescita dei movimenti conservatori, sicuramente, è imputabile al fallimento delle sinistre mondiali, dell’ancien régime e delle istituzioni sovranazionali. Le politiche perseguite non hanno tenuto conto delle reali esigenze della popolazione in uno dei periodi più neri della storia mondiale (la crisi economica), facendo allontanare progressivamente l’elettorato dai vecchi partiti. La soluzione populista, quindi, potrebbe prendere il sopravvento se riuscirà a perseguire ciò che le sinistre hanno trascurato, oppure potrà cadere nell’oblio in caso contrario. Le Elezioni del Parlamento Europeo del 2019, rappresenteranno il banco di prova definitivo che potrebbe consacrare il nuovo modello di destra a vera formazione politica europea, unita e decisa.

Donatello D’Andrea

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