E se sull’immigrazione fosse la sinistra ad aver perso la bussola?

E se sull'immigrazione fosse la sinistra ad aver perso la bussola?
Una motonave della Guardia Costiera impegnata in un'operazione di soccorso marittimo al largo di Lampedusa - FOTO ANSA

Quest’anno in Italia sono arrivati oltre 15mila migranti. Un numero di per sé elevato, se confrontato con i due anni precedenti. Nel 2018 ne arrivarono più di 19mila, nello stesso periodo. L’anno dopo, con il Salvimaio, questo numero si abbassò considerevolmente.

Al di là della fredda matematica, la quale non premia la sequela di lamentele secondo cui quello italiano sia l’unico popolo a farsi carico del polpettone migratorio, il problema, se possibile, è ancora più profondo rispetto alla disdicevole retorica spicciola secondo cui un problema complesso vada risolto adottando soluzioni all’apparenza semplici, come chiudere i porti (non si possono chiudere) o adottare un blocco navale (non è possibile sia per ragioni giuridiche che geografiche).

Di questi migranti, quasi sicuramente una parte farà domanda (o l’avrà già fatta) di Protezione Internazionale, poiché provengono da zone di guerra o grave Insicurezza (Libia, Afghanistan, Siria…); altri provengono da Paesi dove sono lesi i diritti umani (in Tunisia non esiste una vera e propria legislazione al riguardo e molti diritti non sono garantiti ai rifugiati). Altri migranti, invece provengono da Paesi dove la povertà è diffusa, nella speranza (legittima) di cambiare la loro vita.

Se per i primi la concessione della protezione umanitaria è quasi automatica, e per i secondi ci sono buone probabilità, per i terzi la domanda di asilo è un calvario. Ma d’altronde non hanno scelta, non essendoci sostanzialmente altri modi di entrare legalmente in Italia.

Da qui la forte crescita dei dinieghi delle domande di protezione. Si tratta di dati obiettivi, una parte sostanziale degli ingressi in Italia proviene da migranti economici a cui è negata la protezione umanitaria. Su questo frangente la destra ha ragione. Se negli anni passati la percentuale di coloro che ottenevano una forma di protezione era ben superiore al 50%, da diversi anni quest’ultima appare in netto calo.

E quali sono le conseguenze di tutto questo?

La prima è sicuramente il sovraccarico di lavoro a cui sono costrette le Commissioni Territoriali per il riconoscimento della Protezione Internazionale. Queste decidono se sussistono i requisiti per la protezione. Chi sa di non averli, è costretto ad inventarsi una storia pur di non tornare a casa. Purtroppo queste storie girano e va a finire che sono sempre le stesse. Lo faremmo tutti, senza dubbio, se ci trovassimo nella situazione di aver perduto tutto e se fossimo costretti a ricostruirci una vita.

Queste storie sono tante. C’è lo zio cattivo che vuole uccidere il nipote per rubargli la terra, ci sono i (numerosi) figli dei capi setta che vogliono fuggire da una vita già scritta alla morte del padre. C’è quel Paese in cui l’omosessualità è un reato perseguibile con la pena di morte (vero) e tutti si dichiarano omosessuali pur di fuggire.

Le attuali normative impegnano le Commissioni territoriali ad ascoltare queste storie, poiché tutti i richiedenti asilo hanno il sacrosanto diritto di essere ascoltati. Se un sistema del genere abbia senso? Questa è un’altra storia. Uno dei rischi, ad esempio, è quello di confondere il vero rifugiato con quelli che non lo sono, e così si finisce per escluderlo dalla Protezione.

Affinché questo rischio venga escluso, le Commissioni svolgono interviste davvero lunghe ma questo non fa altro che aumentare la mole di lavoro e i tempi per le decisioni e l’accoglienza. Ecco perché, in questo caso soprattutto, andrebbero modificati i percorsi di accesso per i migranti economici, dando loro la possibilità di accedere attraverso altri canali legali, permettendo alle Commissione di concentrarsi di più sui casi di domande di protezione effettivamente plausibili. Il richiedente asilo ha il sacrosanto diritto all’accoglienza. Ma bisogna trovare posto anche per quelle migliaia di persone che lo sono solo formalmente, e quando la domanda viene loro respinta ci sono sempre i ricorsi per via giudiziaria e i tempi si allungano ulteriormente.

La seconda conseguenza è il sovraccarico del sistema di accoglienza in tutte le sue forme. Quando si apre un contenzioso giudiziario, i tempi di accoglienza si allungano e questo costa. Tanto. E anche su questo la destra gioca facile, facendo leva sulle difficoltà economiche degli italiani per sollecitare il razzismo che è sempre in agguato. Da quando i decreti Sicurezza hanno chiuso gli Sprar, cioè quei centri in cui si elaborano progetti di accoglienza e di integrazione, il sistema si è inceppato, dando luogo alla propaganda di dipingere un “complesso” al collasso.

Quando sentiamo dire che in Italia il sistema dell’accoglienza non funziona, non dobbiamo per forza di cosa inalberarci. È vero. E la politica, da destra e da sinistra, non fa nulla affinché questo possa cambiare. La legislazione è ferma, i centri di accoglienza sono piccoli e disorganizzati e i soldi dell’Europa spariscono non appena superano il confine.

Non ha senso paventare accuse di razzismo anche quando si sottolinea questo. Non ha senso e soprattutto non è utile. Si finisce per alimentare una propaganda che, purtroppo, ha assunto la parvenza di una verità nascosta e negata per loschi interessi.

Una soluzione non può sicuramente essere “apriamo la porta a tutti“, perché è altrettanto ideologico del “chiudere i porti“. E chi scappa da guerre, fame e miseria umana sicuramente non ha nessun bisogno di essere messo al centro di uno scialbo dibattito ideologico.

E allora cosa fare? In questo frangente alberga l’ipocrisia di chi si erge a paladino dei migranti e poi conclude accordi con la Libia per rispedirli proprio nel lager dai quali fuggono. Dunque assurgere a questione morale l’argomento delle migrazioni, prescindendo dal tenere in considerazione la gestione della stessa in Italia e in Nord Africa, è sbagliato. Chiunque abbia cercato di circoscrivere il problema è stato messo subito a tacere dal polverone mediatico della pietas italica, la quale non ha fatto altro che alimentare la propaganda di coloro che non hanno nessuna intenzione di trattare l’argomento come buon senso vuole.

Urgono interventi politici che mettano un punto alla questione e che vadano oltre il populismo e oltre quell’ipocrisia di chi ha sottoscritto accordi criminosi con i trafficanti.

Su questo argomento è stata la sinistra a lasciare terreno alla destra, dandole la possibilità di gridare e sghignazzare slogan inutili e dannosi. Opporsi alla politica migratoria di Salvini, accusando di razzismo chiunque sollevi qualche dubbio sull’adeguatezza del sistema d’accoglienza non fa altro che confermare l’intorpidimento di parte dell’opinione pubblica italiana, ancorata a vecchie (e superate) divisioni ideologiche che fanno di ogni scontro una “guerra di posizione”.

Dunque, e se fosse la sinistra ad aver sbagliato tutto sull’immigrazione, imprigionando il dibattito in una scialba riduzione binaria tra razzisti e “accoglisti”?

Perché non ripensare l’accoglienza, creando altri modi legali di entrare in Italia? Perché non mettere in piedi strutture adeguate per sostenere il peso delle migrazioni? Perché non coinvolgere di più l’Europa, facendo gestire direttamente alle sue istituzioni il denaro messo a disposizione dell’accoglienza? Perché costa voti e soprattutto perché il dibattito è saturo di così tante fandonie, posizioni ideologiche e preconcetti, che per convincere l’elettorato della necessità di almeno una di queste riforme occorrerebbero anni, o secoli.

Bisognerebbe far capire che è inutile fare una legge contro il capolarato se poi i motivi per cui lavoro nero e caporali proliferano non vengono affrontati e risolti. Bisognerebbe far comprendere che costruire un sistema europeo, per cui si può venire in cerca di lavoro su tutto il territorio continentale a prescindere dal luogo di arrivo, è una soluzione così ovvia che non necessita di nessuna spiegazione. E a questo proposito, perché non mettere la stessa foga con cui si è affrontato il Recovery Fund nella riforma del Trattato di Dublino? Approntare un sistema di quote continentali, oppure potenziare i corridoi umanitari. Non sarebbero delle cattive idee.

In poche parole, vogliamo gestire finalmente il fenomeno, invece di lasciare le cose così come sono, alla mercé di un circo politico e mediatico che non giova al dibattito su un tema serio e sempre attuale?

È arrivato il momento di affrontare seriamente la questione dell’immigrazione, a destra e a sinistra. Limitarsi al “chiudere tutto” oppure all’ “aprite tutto” non risolve nulla, anzi. Comportamenti del genere rischiano di sfociare in un inconsapevole assist per la parte più becera e xenofoba del Paese.

Donatello D’Andrea