Più l’età avanza più il parrucchiere diventa compagno imprescindibile nella vita di una donna, almeno, questo vale sicuramente nella mia. Non so se sia triste invecchiare pelo a pelo col proprio parrucchiere, non me lo chiedo neppure. Ne prendo atto.
Sono temporaneamente a Roma e il caso vuole che i miei nuovi compagni di vita tricologica stiano proprio sotto casa. Mi è sembrata una cosa bellissima. Teoricamente potrei lanciarmi dalla finestra e atterrare sulla loro poltrona. Una volta catapultata mi metterebbero delicatamente un telo sulle spalle e procederebbero con tatto infinito nelle operazioni di rito.
Tutto questo garbo ha rafforzato le mie convinzioni sulle differenze di approccio ai cuoi capelluti dei due paesi, che però trovano riscontro in quelle delle mie amiche. AP. per esempio, sostiene che ogni volta che va dal parrucchiere rientra a casa col mal di testa. Le ho sempre detto di non esagerare, ma in effetti mi ero dimenticata di cosa fosse lavare e asciugare i capelli con tanta delicatezza.
Sono ormai abituata ad andare dalle mie parrucchiere desiderando un elmo in testa. Vado con l’apprensione con cui vado dal dentista: non so a che ora inizio, nonostante un appuntamento preciso, e tantomeno a che ora esco. Certo, il ritardo è inciso nel modo di essere spagnolo, ma forse dipende anche dall’età media delle clienti: sono clienti de toda la vida. Si conoscono da sempre e si ritrovano nel salone di questo barrio popolare per attardarsi in schermaglie appassionate. Si dicono frasi come: estás siempre haciendo lo que te sale del chocho che, come ho già spiegato altrove, mi lasciano basita, perché penso a mia nonna utilizzare la stessa espressione in italiano: “stai sempre facendo quello che ti esce dalla figa!”.
Ogni tanto si apre una porta ed un marito che zoppica col bastone o una badante viene a prenderle. Io vado lì, perché mi piace ascoltare ciò che dicono queste signore di una Spagna ormai trascorsa. Sono simpatiche e mi fanno ridere con tanta saggezza costruita in un’intera vita.
Sono una delle clienti più giovani – e questo dà l’idea dell’età media – nonché straniera, “l’italiana”. Mi sento la zazzera lunga e folta e la mia autostima cresce perché mi piace vincere facile. Salgo dal salone cinguettando, però dopo aver sofferto, perché è al salone che la mia vena masochista esce allo scoperto.
Le mie parrucchiere mi prendono in ostaggio quando gli pare, mi immobilizzano letteralmente arrotolandomi un telo addosso manco mi stessero facendo un TSO; mi agitano la testa coi contraccolpi della spazzola e me la sbattono sul lavabo; al momento dell’asciugatura mi fanno lo scalpo con un pettine per liberare i capelli dai nodi e si rivolgono a quelli più ostici con l’elegante frase la madre que te parió, che preferisco non tradurre. L’ultima volta mi hanno addirittura pulito le orecchie frizionandomi con il telo ruvido. La parola balsamo, con loro, non connota il prodotto.
Tutto ritorna un po’ a quella maniera di fare, educata per carità, ma brusca e tagliente di cui ho già parlato altre volte.
Io sono un agnellino al loro cospetto. E loro lo sanno, quindi, quando hanno apprendiste, perché in questo senso sono brave persone che permettono di fare esperienza nel loro salone, me le assegnano d’ufficio. L’ultima volta mi hanno assegnato una giovane colombiana: esile e gentile, dai capelli neri neri e lucidi lucidi. Era così esile e il lavaggio così delicato che pensavo si spezzasse in due al momento del balsamo: un vero balsamo sul mio cranio. Ma in quella sua delicatezza e fragilità sono stata folgorata da un’illuminazione: ho capito perché è stato così facile sterminare gli indiani d’America.