Il cagnolino bollente

Moni ed io


“Ti va un cagnolino bollente?” 

Questo hanno sentito le mie orecchie incredule ad una festa di quartiere uno dei primi giorni in Spagna. Ho sgranato gli occhi perché, avendo tradotto direttamente dallo spagnolo all’italiano, il perrito caliente era per me un cagnolino bollente. A tutto pensavo, fuorché fosse riferito a un hot dog. Col tempo ho imparato che gli spagnoli non usano anglicismi, a differenza degli italiani che sembra non possano più farne a meno. Riconosco che questa intransigenza mi piace, mi affascina. Mai dire working in progress, solo trabajo en curso, bulo al posto di fake, alredores invece di hinterland, così, tanto per fare qualche esempio.

Non valgono neanche i termini relativamente più moderni e legati alla tecnologia, che avrebbero un certo senso. Il giorno che mi hanno urlato di fare la “captura de pantalla” ho fatto la figura barbina. Stringevo forte il cellulare tra le mani, senza capire bene cosa mi avessero chiesto, perché nella mia testa la traduzione letterale suonava come “cattura di schermo”, espressione per me lontanissima dal maledetto screen shot. Insomma, vade retro satana all’anglicismo! Schifato, detestato e aborrito. Intransigenza e rigidità spagnola allo stato puro.

 

 

Rigidità che si scioglie al sole per tanti altri aspetti in cui gli spagnoli sono molto flessibili e informali. A partire dal tu, per esempio, che si dà a tutti, anche ai professori il primo giorno di scuola, e ai baci sulle guance – quasi sempre! -, porgendo la guancia opposta rispetto agli italiani, col risultato di baciarsi in bocca appassionatamente! (convenevole che mi sembra di aver già descritto in questa rubrica).

L’altro giorno sono stata dal fisiatra, il quale, dopo avermi visitato e non potendomi ovviamente baciare, mi ha dato una pacca sulla spalla e ha commentato: ¡Mujer, no es nada!, supplendo perfettamente al bacio. 

Nonostante sia abituata, resto sempre un po’ perplessa da tanta informalità, ma è col linguaggio culinario che questo paese dà il massimo e mi lascia basita.

Alcuni modi di dire sono letteralmente tenerissimi, come eres más  tierna que el requesón (sei più tenera della ricotta) che in effetti rende bene l’idea della morbidezza. Altri sono decisamente più forti. Il mese scorso la madre di un’amica, una distinta signora sugli ottant’anni, con tanto di perline alle orecchie e chignon elaborato, mi si è rivolta dicendomi ¡hago una sopa de ajos que te cagas!, che sarebbe come se mia mamma si rivolgesse ad una perfetta sconosciuta dicendole “faccio una zuppa di aglio che ti caghi!”. 

Oltre che lasciarla basita, l’espressione forte e colorita verrebbe letta dalla sconosciuta con significato contrario all’intenzione verbale che è invece espressione della bontà assoluta della suddetta zuppa. Questo linguaggio forte e colorito è per gli spagnoli la norma (di parolacce e bestemmie parlerò un’altra volta) e di quando in quando si colora emotivamente. L’altro giorno ho fatto un soffritto fissando intensamente una cipolla, perché mi avevano appena spiegato che doveva rosolare hasta perder el orgullo. Non è facile capire quando una cipolla di tropea perde il suo orgoglio. 

Ecco, continuo a non saperlo!

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