Spagnoli e spagnole non amano invitare a pranzo. E non perché siano tirchi, anzi. Qualcuno ha ipotizzato che forse i loro appartamenti sono piccoli, almeno nelle grandi città. Questo è indubbiamente vero e di molti dei miei amici io non conosco ancora le case, ma non credo che la loro riluttanza ad invitare dipenda da questo.
La frase ricorrente di spagnoli e spagnole è “tomamos algo?” che letteralmente significa “prendiamo qualcosa?”. Possono ripeterla più e più volte nella stessa giornata e per svariati motivi. Ma lo stare insieme a prendere qualcosa implica sempre lo spazio esterno, la strada. Spagnoli e spagnole amano vivere in strada e spostarsi a picotear, (spizzicare) e a tapear da un locale a un altro. Questa forma di stare insieme mi è sempre sembrata una loro peculiarità e l’ho sempre trovata comodissima, visto che nessuno si doveva preoccupare mai di niente. Dopo tanti anni, però, mi sembra un po’ dispendiosa e a volte dispersiva. Inoltre, da buona sarda, mi attanaglia la nostalgia di invitare a casa mia, se non proprio di essere invitata. E allora procedo.
Quando li inviti per la prima volta restano un po’ sorpresi oppure, come mi raccontava la mia amica G., possono addirittura sentirsi animali in gabbia sotto tortura. I miei ospiti, però, sono abituati ai miei inviti e se ne rallegrano anche, perché non mi aspetto di essere ricambiata: capisco che non siano abituati e che entrino in panico. L’ultima volta che sono stata invitata da una spagnola DOC, di una certa età, le ho letto la sofferenza negli occhi e l’ansia da prestazione: sudava e si agitava con l’incubo che le sue commensali non stessero a proprio agio e non mangiassero a sufficienza. Preciso che eravamo ben quattro, compresa lei! Ho sofferto per tutto il pranzo empaticamente, sin quando non è crollata al terzo bicchiere di vino.
Quando li inviti a casa tua invece, essendo rilassati, si rivelano ottimi compagni conviviali. Ridono, scherzano e bevono. Possono cantare addirittura il repertorio porno folk della loro infanzia ed è proprio in quel momento che ci si sente più cugini che mai, “cuginissimi”. Inoltre, grande atto di amore, si sforzano di arrivare alle due del pomeriggio, una via di mezzo tra orari spagnoli e italiani, ma la tertulia, chiacchierata post prandium, dura a lungo e prima delle sette di sera non vanno mai via. Proprio in quel momento l’ansia viene a me, perché so che ci verrà la sindrome da pianerottolo.
Forse spagnoli e spagnole soffrono di horror vacui perché faticano a dire le ultime parole di congedo, neanche fosse l’ultima cena. Allora stazionano per un tempo infinito sul pianerottolo di casa parlando del più e del meno, magari coi cappotti addosso. A quel punto sono sfinita io, anche perché a casa nostra, nel micro spazio di un appartamento in città, e come le buone famiglie italiane di un tempo, abbiamo stipato almeno dieci persone che ora si accalcano in pericolo sempre più vicine alla tromba delle scale.
L’ultima volta che ci siamo accampati in pianerottolo me la sono squagliata quatta quatta dopo mezz’oretta e sono andata a dormire. I miei ospiti sono rimasti lì esattamente altre due ore. A quel punto lo storico consorte li ha fatti rientrare e dopo essersi tolti i cappotti hanno cenato con gli avanzi del pranzo. Hanno procrastinato, così, il temibile congedo.
Io ho continuato a dormire.