L’atrio del cuore

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L’altro giorno la mia amica Ale mi ha confessato che a volte, da quanto sono ligi, gli spagnoli le fanno paura. Ci ho pensato.

Forse una camera del cuoricino degli spagnoli, l’atrio suppongo, è arredata in stile asburgico. A me piace questo arredamento, è compatibile con il militare che c’è in me nell’organizzazione del lavoro, non a caso al liceo mi chiamavano “generale”.

La prima volta che sono venuta in Spagna, nel 1980, in occasione del regalo di maturità che mi fece mio padre, io e il mio fidanzatino di allora, fresco fresco di patente, rimanemmo sorpresi perché nelle strade statali, per farti sorpassare, ti avvisavano con la freccia a destra. Ho notato che questa felice pratica è ancora in uso: non si aspetta frementi il sorpasso e si evita la rabbia cieca nei confronti di chi nella vita è più lento di te. In Spagna si è ligi al codice stradale e non solo.

Lo storico consorte mi racconta di aver sentito da qualche parte che gli spagnoli sono i tedeschi del sud. Tendo a credergli, non tanto perché è il mio consorte ma perché è storico. Io non ho fatto ricerca e mi affido a un umile e circoscritto empirismo sul campo.

Nel 2005 quando sono arrivata a Madrid per i miei studi di dottorato, sono rimasta sconcertata: i professori ti davano un appuntamento e arrivavano puntualissimi. Senza bruciarti! Per non parlare delle mail: le scrivevo convinta che nessuno mi avrebbe risposto e la risposta arrivava in tempo reale o al massimo in 48 ore! Mi sentivo tanto lusingata da tali attenzioni che ero disposta a scrivere sciocchezze per il gusto di cronometrare il tempo necessario e confrontarlo con il mio paese di origine.

I problemi però li ho avuti con le file, le file in genere, anche se tendenzialmente sono l’ultima al mondo che farebbe la furba. 

Tant’è… 

Le prime volte che prendevo la scala mobile non capivo perché mi guardassero tanto in cagnesco. Saltellavo nervosa da destra a sinistra fin quando non ho capito che bisognava stare rigorosamente a destra per permettere il sorpasso sulla sinistra ai pedoni più veloci. Gli spagnoli si incolonnano perfettamente, neanche un lembo di mantiglia va fuori posto. Chi sta fuori dalla fila sicuramente non è uno spagnolo.

Ormai quando vengono a trovarmi i miei amici italiani me li arrotolo davanti con la mantiglia affinché non sbaglino e non si prendano gratuiti rimbrotti.

Perché, se non rispetti le regole, gli spagnoli possono diventare cattivissimi e più taglienti e scorbutici che mai. E sono pronti a compilare hojas de reclamaciones come se piovesse, non hanno peli sulla lingua e sono molto diretti.

Prendiamo le file in posti pubblici, per esempio, qualsiasi fila senza numeretti automatici. Bisogna chiedere rigorosamente “chi è l’ultimo”. Non esiste colarsi, imbucarsi. Non esiste fare il furbo, non è proprio concepibile, perché anche quando sembrano distratti non lo sono affatto. Sono attentissimi e a quel punto si rischia la vergogna nella pubblica piazza.

Proprio l’altro giorno ero in fila col carrello al supermercato quando mi sono ricordata di non aver preso lo zucchero, che vedevo a portata di mano. Piegavo il corpo sulla mia destra, allungando le dita come in uno stiramento di Pilates. Ma il maledetto zucchero non ne voleva sapere di venirmi incontro, dovevo fare solo due balzelli per riuscire a prenderlo e scomparire per una frazione di secondo dietro la scaffalatura. Sapevo che era azzardato ma ci ho provato. A qualcuno, in fondo alla fila, è andato subito a soqquadro l’atrio asburgico e mi ha ringhiato che ero un’impostora e che mi vergognassi. Sono diventata viola, atri e ventricoli in tachicardia libera, guardavo al suolo chiedendo perdono manco avessi rubato. Poi però ho pensato che se non altro qui non devi preoccuparti che non ti freghino il posto come mi succede ancora in Italia o come mi capitava da bambina. Il peggio che può capitarti è che ti scambino per “il solito italiano furbo”, così, giusto per essere in tema di stereotipi. Per il resto tutto funziona meglio.

A me quell’atrio in stile asburgico piace un sacco.

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