In tutte le lingue esistono dei verbi dal significato generico, il quale si specializza e acquista un significato specifico a seconda di come venga completata la frase da un argomento che ne costituisca l’oggetto (quello che la grammatica ci fa chiamare complemento oggetto). Uno di questi – sia nella lingua italiana che in latino – è il verbo fare (lat.: fàcere) [che significa quasi tutto, essendo applicabile ad ogni azione]. Di questo verbo e di alcuni dei suoi composti abbiamo avuto modo di parlare nell’articolo su “facio e i suoi composti”.
Applicando l’identico metodo di indagine andremo a visitare ora il verbo pono (It.: porre), per scoprire l’origine di una larga famiglia di parole della lingua italiana. Mi sono limitato a tradurlo col vocabolo italiano porre giusto per dare l’idea del suo valore semantico (l’essenza, la radice, del significato che dovremmo trovare presente alla base di tutte le parole da esso derivate: quello che si chiama “tratto semantico” principale). Parole comuni che ogni parlante della lingua italiana potrà riconoscere senza eccessiva difficoltà. Ma per chi ha familiarità col latino una scorsa sul dizionario della lingua latina basterà a verificare, direttamente, come questo verbo, insieme ai suoi composti, abbia un’infinità di significati a seconda delle numerose situazioni comunicative.
Per rendere facile il compito anche a quei lettori che del latino sanno solo che era la lingua parlata dagli antichi Romani e, in seguito, da tutto il “mondo conosciuto”, vale a dire l’impero romano (successivamente chiamato “cristianità”), e quindi – possiamo dire – dall’Europa intera, ne dirò il paradigma (il modello delle sue forme essenziali): pono, ponis (1^ e 2^ persona del presente indicativo); po-s-ui (1^ persona del perfetto); pò-si-tum (voce indeclinabile, che tecnicamente si chiama supino, da cui si forma il participio perfetto, positus); pòn-e-re (infinito presente). Con questi elementi ora possiamo comprendere perché in italiano porre, pongo, posi, e posto appartengono allo stesso verbo. Adesso saranno più evidenti per tutti quei legami formali tra le parole che saranno esaminate qui di seguito.
Il medesimo meccanismo analogico potete applicarlo a tutti i verbi, suoi composti, che elencherò: ante-pono (=anteporre); *ad-pono (appono = apporre); *cum-pono (compono = comporre); de-pono
(=deporre); ex-pono (= esporre); in-pono (impono = imporre); ob-pono (oppono = opporre);
pro-pono (= proporre); re-pono (= riporre). Ecco così la vasta gamma di significati scaturiti dall’originario verbo pono/posui/positum/ponere. Da cui seguono le numerose parole italiane da posto a opposto, a deposto, a imposta, a composta, e via discorrendo con tutti i possibili derivati.
Questo significato di “collocare” del latino pono col passar del tempo si è trasferito al verbo mettere (come si era accennato nell’articolo pubblicato la scorsa settima [Ite Missa Est]).
Eppure il verbo mittere (paradigma: mitto, mittis; misi; missum; mittere), antenato del nostro “mettere”, esisteva già al tempo dei Romani, e significava “mandare”. Chi ne ha voglia, anche in questo caso potrà seguire la strada dei composti per identificate la famiglia di parole italiane da esso derivate. Anch’essa numerosa.
A me basterà, per rendere evidente l’originario significato di “mandare” richiamare solo alcune parole, come: missione, commissione, mittente, ammettere, dimettere. Ed anche messa, la celebrazione rituale delle chiese cristiane, parola nata dall’espressione “ite, missa est”. “Andate, è stata mandata [l’offerta]”.
E concludo dicendo che il significato di mittere (mandare) è passato ad un altro verbo latino: mando, che originariamente significava: affidare, raccomandare; significato che è rimasto vivo nel saluto dei friulani: mandi!
Tutto questo per spiegare ancora una volta a che cosa ci riferiamo quando parliamo di trasparenza linguistica e di scivolamento di significato.
Luigi Casale