Oratorio

Da qualche tempo – si sa – invio alla Redazione de La Voce d’Italia, per la rubrica Appunti d’italiano, articoli di etimologia e semantica storica riferiti al lessico italiano. Si tratta di una preziosa occasione, una pratica meritoria di divulgazione culturale, che, favorendo mediante esempi la conoscenza di alcuni aspetti della linguistica, cerca di mantenere saldi i legami di chi, fuori dall’Italia, ancora pratica correntemente la parlata dei padri. Nello stesso tempo, sempre attraverso opportune esemplificazioni, ne illustra gli aspetti storici e culturali della civilizzazione.

Si sa, inoltre, che nel tempo la lingua è soggetta a trasformazione, nelle strutture fonetiche (modificazione dei suoni significativi), morfosintattiche (trasformazioni delle forme grammaticali), semantiche (adattamento del loro significato). È quello che si chiama “evoluzione della lingua”.

Oggi, come indicato dal titolo, intendo parlare di “oratorio”. Spiegando il senso che la parola acquista in riferimento all’oggetto (la cosa che normalmente indichiamo con la parola “oratorio”) per fare alcune considerazioni sulla portata, sulla storia, sulla funzione, di questa istituzione.

Nelle aree dove questa parola è usata (cioè, dove la tradizione dell’oratorio si è radicata) l’oratorio è il Centro parrocchiale o Centro Giovanile dove si pratica la pastorale giovanile: una struttura residenziale diurna, bene attrezzata, che ospita tutte le attività orientate all’educazione della gioventù.

Ma “oratorio”, secondo la definizione del vocabolario Devoto e Oli, è “il luogo sacro destinato al culto e riservato a determinate persone o comunità”. A questo noi subito aggiungiamo quella parte di significato che ci siamo formato nella testa attraverso l’uso di questa parola, e l’esperienza dell’oggetto che essa indica, cioè l’oratorio.

Quindi, per chi ha conosciuto un certo tipo di oratorio, anche l’insieme dei servizi sociali, educativi, e ricreativi, per la gioventù, per i gruppi, o per le famiglie. Così “oratorio” è divenuto, per estensione, l’insieme degli spazi attrezzati dove queste attività si svolgono (il Centro giovanile). Col rischio di perderci, della parola, il suo originario significato. Cioè che l’oratorio si costruisce intorno ad una chiesa, o ad una cappella, o anche ad una semplice sala-riunioni dove è importante la preghiera.

“Oro/orare” – verbo latino – significa, infatti, “parlo, invoco, supplico”. Da questo verbo deriva tutta una serie di parole che ancora usiamo, tra cui: oratore (colui che tiene un discorso) e orazione (discorso pubblico, ma anche preghiera).

In ambiente cristiano orare è essenzialmente pregare. Chi ha ancora una reminiscenza di latino ricorderà le espressioni sentite durante l’infanzia: “ora pro nobis” (prega per noi!) delle litanie; ma anche “ora pro nobis peccatoribus” (prega per noi peccatori) dell’Ave Maria; oppure “orate fratres” (pregate, fratelli!), l’invito rivolto ai fedeli da parte del sacerdote celebrante prima di iniziare la preghiera eucaristica della celebrazione della messa; o anche “ora et labora” (prega e lavora!), il significativo motto benedettino consegnato ai monaci come emblema di una regola di vita.

La spiritualità di S. Filippo Neri (1515 – 1595), ripresa poi da S. Giovanni Bosco (1815 – 1888), secondo una visione di educazione totale della persona, ha considerato il gioco, la ricreazione, il lavoro, l’impegno formativo della gioventù, come una preghiera. Ed è questa la pedagogia dell’oratorio; il luogo dove la maggior parte delle attività del giovane si svolgono. Attività che come ho detto sono già preghiera, e che si sublimano nel momento della consapevolezza dell’elevazione a Dio, nel luogo deputato: che sia il campo di calcio, oppure il teatro, o la stanza delle riunioni, o la cappella dove si custodisce il Sacramento.

Ciò significa che al centro di tutte le attività dell’oratorio c’è un tipo di catechesi (insegnamento religioso) costruito a partire dal proprio vissuto individuale, offerto a Dio come preghiera.

Ma anche prescindendo da un’opzione di fede, intesa come scelta personale di adesione ad una proposta religiosa o accettazione di una rivelazione divina, la medesima metodologia educativa la si può applicare a partire dalla ragione e dalla coscienza. E troveremmo comunque una risposta alla questione sociale della gioventù, che, antropologicamente parlando, ponga al centro la necessità della tradizione culturale e storica di una collettività, e del suo sviluppo umano.

Anche in questo caso non si dovrebbe prescindere dalla “preghiera” nella vita dell’uomo, e si recupererebbe allora, ancora una volta sebbene in maniera laica, il senso originario di “oratorio”, attraverso la valorizzazione del culto alla divinità, l’adorazione del Dio dell’amore e della vita, le devozioni scaturite dalla pratica dei buoni sentimenti, e un ideale di vita accettata e svolta in sintonia col creato.

Almeno per gli esseri razionali. Per questo motivo anche in una possibile visione laica – e diciamo pure laicista – chiunque può avvicinarsi all’oratorio rispettandone la finalità di chi l’ha ideato e l’ha voluto, e di chi, accettandone l’eredità, ne ha fatto motivo di impegno civile, morale e religioso. Come si vede, qui non c’è né proselitismo, né coartazione di coscienze, ma piuttosto una vera educazione allo spirito libero e alla responsabilità personale.

Anzi a voler essere veramente “laici”, bisognerebbe partire dal riconoscere che nel progetto educativo, è primaria e fondamentale l’esigenza – ai fini di una educazione totale e completa della persona – della preghiera non come qualcosa di estraneo o di aggiunto alla umanità, ma come l’atteggiamento più naturale e congeniale della stessa condizione umana.

Luigi Casale

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