Caso

caso

 caso

 


Questa volta voglio esaminare una parola … “a caso”. E’ il caso di … caso.

L’esercizio di scrittura di oggi, come tanti altri simili da me praticati, ha per scopo principale quello di avvicinare gli studenti ai problemi della lingua, di incuriosirli, di offrire loro qualche strumento di lavoro adatto alle loro capacità. Specialmente se hanno già acquisito un minimo patrimonio di conoscenze teoriche. Appassionarli alla ricerca, attraverso le piccole soddisfazioni del successo.

Nello stesso tempo l’apparente estemporaneità dell’intervento potrebbe offrire anche agli insegnanti – qualora volessero sostenerli in questo cammino di orientamento – una proficua divagazione, un “fuori programma”, tanto inatteso quanto gradito. Così, per rompere – una volta tanto – la monotonia scolastica della sistematicità del metodo.

Ma anche gratificare qualche appassionato lettore che si diletta con questo tipo di scrittura. E’ questo il motivo per cui, dopo aver fissato nella scrittura i pensieri vaganti, ne chiedo anche la pubblicazione.

I pochi che mi seguono lo sanno: l’occasione (o forse il pretesto) è alla base di questi tentativi, che quasi sempre si concludono con quella forma di paternalismo moraleggiante di chi tutto crede di sapere, pretendendo poi di dare contenuto pedagogico alle sue riflessioni.

Già da studente avvertivo anch’io la necessità di analizzare il significato (semantico) dei termini tecnici della grammatica: di capire cioè perché, e come, si siano formate quelle parole che generalmente usiamo nello studio della morfologia per designare gli elementi grammaticali, cioè la sua nomenclatura specifica. Approfondire così l’etimologia delle parole della grammatica. Ma quelle stesse parole noi le usiamo come vocaboli comuni del linguaggio quotidiano, e allora sembrano voler significare tutt’altra cosa.

Se appare facile capire il senso di “congiunzione” o di “imperativo” (parole trasparenti), di “presente” o di “passato prossimo”, la cosa diviene leggermente più complicata per termini come “copula” o “declinazione” oppure “casi” o “participio” (parole, come si vede, in un certo senso ancora opache).

Esaminiamo la parola “caso” (plurale: casi), utilizzata per indicare le possibili forme del nome, del pronome e dell’aggettivo, laddove ne esistono più di una. Cioè, chiediamoci che cosa siano “i casi” quando si studia la grammatica di una lingua? Mentre sappiamo che significato ha la stessa parola nell’uso generale che ne facciamo.

Nel primo “caso” (… ecco una situazione comunicativa in cui ricorre la parola che stiamo esaminando, usata non come termine tecnico, ma come parola comune), la parola significa (e indica), come ho detto, una delle forme (voci) di una parola flessiva di tipo nominale (nome, pronome, aggettivo), forme diverse dipendenti dal loro rapporto col verbo (per quelle lingue che hanno – o avevano – conservato la declinazione, come la tedesca oggi, e il greco e il latino nell’antichità).

Ma anche l’italiano se consideriamo la differenza tra le forme del pronome personale: “me” e “mi”. Si sa, infatti, che nelle lingue classiche (greco e latino) il nome, l’aggettivo, il pronome presentano varie forme (morfemi); cioè modificano la desinenza (la parte finale della parola) nelle diverse situazioni d’uso. Questa capacità o possibilità si chiama “declinazione” (piegamento, adattamento). E l’insieme di tutte le possibili voci della declinazione di una parola va a formare poi uno schema che si chiama “paradigma nominale”.

Il paradigma, nella sua definizione più generale è proprio “l’insieme di tutte le forme di una parola flessiva”. Ciò fa sì che il nome, l’aggettivo, il pronome si definiscano “parole declinabili” o flessive. Ma anche il verbo ha una sua flessione, che chiamiamo “coniugazione”. Mentre le varianti della flessione verbale (coniugazione) si chiamano “voci”, quelle di una flessione nominale (declinazione) si chiamano “casi”.

Nel secondo caso, quello del linguaggio comune, “caso” (come ho evidenziato di sopra in una parentesi) è anche “una situazione particolare unica e originale”, da cui nasce poi la parola casistica (= insieme dei casi: le situazioni, o constatate o possibili). E “caso” è anche il caso: “ciò che capita in maniera imprevista”, cioè “ciò che accade”, o meglio “che cade” (dal cielo?). Da cui nasce invece la parola “casuale”, usata in questo testo, e che significa “che segue il caso”, soggetta al caso.

Oppure è “il fatto eccezionale”, il quale diviene, in maniera emblematica, simbolo di un avvenimento, di un fenomeno, di un comportamento. E può essere anche “l’avvenimento aleatorio”, o addirittura l’imprevedibilità del destino; o il destino stesso.

Allora sollecitati da questa gamma di accezioni (cioè la serie di possibili significati) cerchiamo di vedere se è possibile ricondurli ad un unico significato di base riconoscibile nella parola latina da cui deriva “caso” (quello che si dice ètimo). Essa è “casus” che significa caduta (dal verbo cado/càdere); e quindi: caso, accidente, occasione, evento, eventualità, circostanza. Ho sottolineato le parole che hanno radice comune [ cad-] col verbo cadere.

Per una più agevole comprensione dello schema dei composti del verbo cado, qui sotto riportato, voglio ricordare che il verbo latino viene rappresentato attraverso le 4 voci che sono alla base di tutte le altre possibili, esistenti (come fanno i Dizionari scolastici). Esse sono: la 1^ persona del Presente Indicativo, la 1^ persona del Perfetto Indicativo, il Supino (indeclinabile) e l’Infinito presente.

cad-o;       cè-cid-i;              casum [da: cad-tum];      càd-er-e.

I verbi composti di cado sono :

Ad+cado               Áccid-o                  Áccid-i   ———-                   Accìd-er-e            (cadere verso)

In+cado                 Íncid-o Íncid-i                      ———–                 Incìd-er-e              (cadere dentro)

Ob+cado              Óccid-o                  Óccid-i Occàsum              Occìd-er-e           (cadere in avanti)

* Faccio notare (e cerco di spiegare) che i tre temi: cad- cid-, cas-, sono tre diversi temi originati dall’unico tema verbale: “cad- “ che genera “cid- “ per trasformazione apofonica della vocale “a”; mentre il tema “cas- “ si forma per normale fenomeno fonetico conseguente all’incontro delle consonanti “d” (del tema) e “t” (della caratteristica del supino) [cad+tum > casum].

Così da cado derivano: caso (dal sostantivo casus; “caduta”), accadere (“cadere verso”), accidente (participio presente: significa “che cade verso di me”), incidente (participio presente: che cade dentro [un tempo o un luogo]), occidente (participio presente: significa “che cade in avanti”), occaso (parola poetica per dire tramonto: “caduta in avanti”), occasione (caduta, già con valore metaforico).

Luigi Casale