Ncigna

ncigna

ncigna

Il mio rapporto con questa parola è di grande familiarità, nel senso che, pur avendo avuto sempre poco da incignarmi, l’eccezionalità dell’avvenimento che essa denota, mi ci ha fatto affezionare. Comunque, come parola usata dalla prima infanzia, essa fa parte del mio patrimonio lessicale più caro alla memoria. Richiama la mamma, sempre; il papà delle giornate di festa; le prime comparse in società, la giovinezza, l’amore, lo sposalizio, in seguito, la famiglia; dopo, il verbo ha cominciato ad essere più desueto, continuando tuttavia ad essere sempre gradita la rara occasione di incignarmi qualcosa, perché, alla fine, ha associato alla mamma, nella memoria più cara, anche la presenza della sposa.

Nella mia prima adolescenza, prima ancora di affrontare gli studi del latino e del greco e già iniziavo a giocare con la para-etimologia, ingenuamente l’avevo associata alla parola “cigno”, e la spiegavo così: “farsi bello come il cigno”.

La prima delusione l’ho ricevuta quando il mio insegnante d’italiano, nel suo parlare corrente, corretto e forbito, in lingua, l’ha usata come una parola per lui normale e – mi sembrava – ricorrente.

– Allora esiste anche nella lingua italiana?

Mi son chiesto. Ed ho dovuto prenderne atto. Insieme al fatto che si cresce e si diventa grandi. Allora si impara. E si impara anche a guardare in faccia la realtà. Intanto questa sorpresa mi ha consentito di cercarla sul vocabolario italiano (non tutti la riportano) e di apprenderne un percorso etimologico più appropriato, in quanto più scientifico.

Da una forma di tardo latin, incaeniare, si risale all’aggettivo greco kainόs (che significa: nuovo)”. E il vocabolario me la indica come voce regionale. Certamente napoletana o delle regioni meridionali d’Italia.

Poi scopro che esiste nel linguaggio familiare toscano anche il verbo “incincignare”, indicato come voce che significa sgualcire (maltrattare e rovinare, insomma). E si dice del tessuto. Sarà l’opposto di incignare o incignarsi?

Vedete che è sempre meglio sentire più campane!

E qui mi corre l’obbligo di citare il dizionario da cui ho appreso queste informazioni. Non è pubblicità, badate! Ho detto obbligo.

Infatti, si tratta di un obbligo giuridico e morale. Ma anche un riconoscimento di meriti, che non mi spettano. Il dizionario è il DIR (dizionario italiano ragionato), edito da G. D’Anna – Sintesi. Direttori e coordinatori del progetto: Angelo Gianni e Luciano Satta.

E non vi indico la data di pubblicazione per due motivi. Primo: perché la pubblicazione ormai è un classico, anche se di poca fortuna. Secondo: per non far sapere in giro da quanti anni sono nella condizione di pensionato.

Allora, ai miei amici lettori, studenti di scuola media o comunque amanti della lingua italiana, dico che, se vi va, se vi piace la parola incignare o incignarsi (falso riflessivo: si chiama forma media del verbo), potete anche usarla nel tema in classe.

E se non fate più il tema in classe, allora nelle vostre “espressioni o scritture comunicative”.

Luigi Casale

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