Sono in videochiamata con mia sorella questa mattina. Un mezzo moderno per farci compagnia a distanza e che è diventato tradizione postmoderna dopo la forzata pandemia del 2020.
Si parla dei soliti discorsi che albergano i nostri pensieri da un mese a questa parte: i genitori anziani, le visite ospedaliere, ricoveri, tac, ecografie, medici e infermieri.
Parole che ormai riempiono il nostro vocabolario quotidiano, come quello di molti connazionali che hanno la fortuna di avere ancora i genitori in vita, ma la sfortuna di viverli a distanza, e quindi con maggiore nostalgia, e per lo più purtroppo malati.
“Quando si entra in un ospedale è per sempre” mi sembra di sentire dalla mia coscienza: il tempo non trascorre, tutto sembra uguale a ieri e il domani non prende forma.
Eppure, durante questa videochiamata, è accaduto qualcosa di veramente strano, eccezionale direi, ma soprattutto, atemporale.
Sì perché all’improvviso ha squillato il telefono fisso, e dall’altra parte del ricevitore, ha parlato una signora dal volto sconosciuto e dalla voce potentemente aggraziata, condita di premura, speranza e perseveranza: chiede notizie di mio padre.
“Signora scusate… ma lei chi è?”
“Sono la madre del ragazzo che due settimane fa era nel letto accanto a vostro padre; quello che ha dovuto fare l’operazione per un’ernia inguinale, il ragazzo disabile…vi ricordate?
Mio marito aveva avuto il permesso di rimanere nel letto accanto per prestargli assistenza viste le sue condizioni, e si è intrattenuto con vostro padre in quei giorni: si sono fatti un po’ di compagnia! Volevamo solo sapere…come sta?”
Io e mia sorella dall’ alto della nostra moderna videochiamata ancora attiva ci siamo guardate allibite, quasi sconcertate.
Ma vi rendete conto?
Una signora sconosciuta, che sicuramente ha alle spalle una vita di sacrifici, rinunce, preoccupazioni soffocanti vista la sua dinamica familiare sicuramente complessa e di difficile gestione, riesce a trovare il tempo, e il pensiero, per un nonnino che è stato il vicino di letto del proprio figlio in ospedale.
Una donna sicuramente non piú giovane, sconosciuta, invisibile agli occhi ma, ce ne accorgiamo entrambe, io e mia sorella, non al cuore. Sicuramente una donna impegnata nelle difficili faccende della propria famiglia, ma che con una premurosa gentilezza, e chiarissima empatia, chiama degli altrettanto perfetti sconosciuti per chiedere: “Vostro padre, come sta?”
Resto in silenzio ascoltando la fine della conversazione della donna con mia sorella e naturalmente rifletto. E mi dico: Dio benedica le donne e gli uomini resilienti, perché pensateci, è inutile cercare di trovare chissá che spiegazioni.
L’empatia è una prerogativa di certe persone che vivono eternamente tra fuoco e acqua, tra tormenti e purificazioni. E quando il proprio fuoco è stato almeno un po’ domato, ci si rivolge al fuoco altrui per versare un po’ d’acqua propria e aiutare nel processo di reidratazione di cuori ancora agitati.
Si chiama premura. Compassione.Gentilezza.Empatia, appunto.
Valori eterni seppur, purtroppo pare, in via di estinzione.
E come si possono attuare?
Evidentemente basta una telefonata.
Ma attenzione! Non un moderno e sterile messaggio whatsapp, ma una vecchia è rumorosa telefonata da telefono fisso, con tanto di squillo anonimo che desta sorpresa.
Perché la gentilezza, la premura, l’empatia, hanno un sapore antico che tuttavia si può ancora manifestare. Basta tornare ad ascoltare il proprio cuore e trasformare la sua voce in gesti spontanei, educati e gentili, che sanno di altri tempi. Appunto.
Un viaggio atemporale dove questi valori, fortemente ardenti in alcune persone, possono ancora salvare il nostro oggi soffocato di tempo senza tempo. E diciamocelo, anche un po’ “soso”.
Nadia Buonomo