Quando la galanteria non passa di moda, ma sì i confini


Quando la galanteria non passa di moda, ma sí i confini.Ci sono luoghi del nostro quotidiano che sono dei veri e propri teatri a cielo aperto: ospedali, parchi, aeroporti; luoghi dove si vivono ed esternano, senza censura, emozioni e sentimenti.

E che risultano per questo espressioni dell’umano.

Tra questi luoghi ci sono anche le metropolitane, benché in questo caso si dovrebbe parlare di teatro sotterraneo. Ad ogni modo teatro anch’esse, perché anche qui si possono osservare, con attenzione più o meno forzata, scene di vita quotidiana che parlano del mutevole scorrere del tempo nei gesti e nelle abitudini del genere umano.Una sorta di luogo dove si incontra la manifestazione più vera dell’evoluzione sociale.

Entrando in questo profondo tunnel sotterraneo, e che diciamolo, qui a Madrid é mezzo efficiente e puntuale, si vedono infatti persone di ogni genere, colore e sesso che, silenziosamente o rumorosamente mischiati sulle piattaforme di attesa, colorano il mondo con le loro essenze, e propongono l’immagine attuale più veritiera possibile dell’essere umano.

Si incrociano qui i nostalgici della moda, come gli avanguardisti. Le madri frettolose e i padri annoiati con la loro 24h, donne in carriere impeccabili e profumate. Studenti assonnati e poco appassionati, giovani bohémien mischiati a preadolescenti pavidi ed introversi; c’è chi segue la moda omologandosi e perdendo identità, e chi esalta il proprio io con la musica nelle cuffie troppo alta o la maglietta su cui è scritto “dopo di me il nulla”.

 E tutti, nessuno escluso, con il telefono in mano.

Che spettacolo vario ed eterogeneo! Eppure accomunati da un mezzo che è diventato il prolungamento dei nostri arti superiori.

Guardo tutto questo con attento interesse e rifletto sulla poliedricità e omologazione dell’essere umano.

Poi arriva il treno, salgo anonima e fingendo disinteresse, e il mio sguardo cade su un gruppo di sei uomini distinti ed eleganti: completo blu scuro, camicia bianca, nessuno ha la cravatta, scarpa elegante ma non troppo, viso pulito, uno ha la barba di un paio di giorni ma curata; un’altro indossa perfino l’orologio. Insomma, il tipo di uomo che sa di altri tempi, e, guarda caso, nessuno ha il telefono in mano. Parlano sommessamente e sorridono con eleganza. Si guardano negli occhi e scambiano opinioni reciproche. Mi incuriosiscono e resto ad ammirarli come un quadro di Caravaggio, non so, mi pare addirittura di vederli immersi nel cono di luce tipico del pittore seicentesco.

La metro rallenta: è la mia fermata, ma a quanto pare anche la loro. Scendiamo tutti ed io resto dietro di loro incamminandomi verso la scala mobile.

Ed è qui che si sviluppa la scena principale dell’opera di oggi.

Nel momento di incolonnarci per salire ordinatamente, uno di loro, come un abile vigile urbano, ferma il flusso dei suoi colleghi e mi fa passare davanti.

Gli sorrido con gli occhi seppur, sono certa, é palese il mio stupore. Perché, siamo sinceri, è un gesto piuttosto raro oggigiorno! L’uomo ricambia con uno storpiato “no hay de que.”

Allora, mentre salgo il primo gradino, il sorriso compare radioso anche sulle mie labbra: sono italiani, l’accento non tradisce!

Mi rigiro indietro e li ritrovo sereni ed eleganti vivere il loro quotidiano senza sapere che hanno messo in scena uno degli spettacoli più belli e rari del nostro tempo: quale?

La galanteria. Quella tutta italiana, però. Che non passa di moda, che non si fa vincere dalla tecnologia, ma che viaggia, anche in metro, oltre confine, per colorare con un sorriso il giorno di chi, come me, osserva il mondo, e non il cellulare.

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