Terno secco

Navata di una chiesa
Foto di Rudy and Peter Skitterians da Pixabay

In casa mia non si andava in chiesa la domenica ma piuttosto, a scelta, in qualsiasi giorno della settimana, addirittura tutti i giorni, se il caso era particolarmente bisognoso e lo richiedeva. Da tempo, accompagnavo la mamma in questo suo misterioso pellegrinare, tutte le mattine alla stessa ora, nella chiesa un po’ distante da casa, prima di compiere l’altro rito mattutino: la spesa nel mercato di frutta e verdura all’aperto. Essendo ancora bimbetta, restavo a fare compagnia alla mamma che accendeva una candela dopo l’altra, muoveva la bocca senza che le uscisse la voce e finiva sempre per versare qualche lacrima.

Tutto questo mi affascinava.

Ma anche gli splendidi piccoli altari davanti alle statue, e le statue che disseminavano la navata. Le conoscevo  e le salutavo per nome: Maria, Rita.. Cominciavo dal fondo della chiesa, per arrivare in cima e poi ritornare indietro. Ma poi la mamma s’inquietava, s’innervosiva e cominciava a ripetermi: “Prega anche te, sei piccola, la Madonnina ti ascolterà. Chiedile che faccia la grazia.” Io ero diligente e copiavo, meglio che potevo, quello che facevano tutti gli adulti come lei, e cioè chinare il capo, congiungere le mani, e parlare da soli.

Quando uscivamo all’aperto la mamma mi guardava fiduciosa e chiedeva immancabilmente:” Hai chiesto la grazia?” ma si dimenticava di spiegarmi che cosa significasse, né dava spiegazioni.

Una mattina, mentre saltellavo da una statua all’altra, mi accorsi che la mamma piangeva. Osservai per un breve secondo e la decisione fu immediata, senza neanche pensarci sopra.

Forse ero annoiata per il tempo che passavamo lì, stufa di tanto guardare e contare le statue, e dall’odore dei ceri un pochino soffocante, e da quel silenzio ovattato dove anche il più piccolo rumore, come uno mio starnuto, rimbombava per tutta la navata. Mi avvicinai alla mamma. Inventandomi di sana pianta ma soprattutto per consolarla e vederla felice, gridai tutto d’un fiato pur sapendo che era una bugia e senza pensarne le conseguenze:

“Mi ha parlato! La Madonnina mi ha parlato e mi ha risposto!! Mi ha detto di dirti di stare tranquilla che ti ha fatto la grazia!” I pochi fedeli che erano vicino a noi si girarono di scatto a guardarmi ma questo non non bastò a salvarmi.

La sberla mi arrivò sulla testa, rapida. Secca. (All’epoca in Italia si usava così e da nord a sud credo proprio). Si scusò subito, la mamma, mi chiese perdono ma il danno ormai era stato fatto. Ero ammutolita ma non dalla sberla no. Ne avevo preso delle altre e in diverse occasioni.

Però questa, mi offendeva. Aveva distrutto la mia credibilità.

Uscimmo fuori all’aperto e lei mi tranquillizzò scusandosi di nuovo e accarezzandomi i capelli. Non saremmo più tornati in quella chiesa, perché le sue preghiere non erano state esaudite e poi era spiaciuta per quello che era successo.

Ma a me non importava più mi ero già dimenticata. O forse no..

Eravamo sotto i portici, e mi unii a dei ragazzini che come me, camminavano sul mosaico evitando due quadrati e poi saltandone uno, in un gioco molto popolare allora e che mi piaceva tanto. Come tanto mi piacevano i numeri che mi ero inventata (4 – 10 – 70) e che per ripicca verso la sberla immeritata, ripetevo canticchiando a cantilena senza fermarmi, tanto per infastidire chi mi stava vicino.

Devo dirlo? Mia mamma li giocò seduta istante (terno secco per Genova) in uno di quei botteghini, che allora abbondavano, della lotteria, e la cospicua vincita che ne seguì, rese felice tutta la famiglia perché (mi è stato raccontato in seguito) i miei stavano attraversando un periodo complicato e avevano veramente bisogno di una cifra di denaro non indifferente.

Da lì in poi per un certo tempo divenni famosa tra i vicini e gli amici dei mie genitori, a cui era stato raccontato il fortuito evento, e che quando mi vedevano mi chiedevano tra il serio e il faceto:

“Li dai sempre i numeri? Danne qualcuno anche a me che ne avrei tanto bisogno!” E io ne davo di numeri, inventandomi, a briglie sciolte, tutte le combinazioni che mi venivano in mente, giacché mi era stato proibito categoricamente, di dire quelli che avevano vinto, nel qual caso, la fortuna non si sarebbe ripetuta.

Nella mia famiglia quei numeri sono passati alla storia.

Anche perché non sono mai più usciti.

Sino a quando un giorno in casa sembrarono impazzire mentre gridavano: “Abbiamo vinto di nuovo abbiamo vinto di nuovo!”

Ma, quella volta, l’unica di una lunga serie di giocate settimanali, prolungatesi per anni, in cui religiosamente, venivano controllati con grande scrupolo i miei famosi numeri vincenti sul biglietto rilasciato dalla lotteria… ebbene, quella volta, il biglietto era stato infilato nel portafoglio, frettolosamente, senza manco essere guardato. E così non si erano accorti che invece dei soliti numeri ne era stato riportato uno diverso. Un numero sbagliato.

(GIMS )