Spagna e Portogallo cercano oggi di attrarre i propri concittadini, i loro figli, i nipoti ed anche i pronipoti. Lo fanno con uno sguardo lungimirante e, perché no? anche interessato. L’Italia ha deciso di percorrere la strada opposta
Spesso assistiamo allo scollamento tra la politica nazionale e quella regionale. La prima legifera e l’altra ne subisce le conseguenze. È quanto accade nei rapporti tra il governo e la sua ventunesima regione. Tra loro c’è un immenso sconfinato solco apparentemente impossibile da superare. Ventunesima regione? No, non è un errore. Sappiamo che le regioni italiane sono ufficialmente 20, cinque di queste a statuto speciale. Ma per noi, a tutti gli effetti, sono 21 perché consideriamo le nostre comunità sparse per il mondo una grande regione con oltre 6 milioni di persone. Una regione che continua a crescere demograficamente. Una crescita preoccupante che denota un malessere soprattutto tra i giovani che sempre più cercano altrove quel che l’Italia non riesce ad offrire loro.
Se prima l’Italia rappresentava una meta per figli e nipoti di emigranti italiani all’estero oggi il nostro paese, con le nuove leggi restrittive sulla cittadinanza, sta creando un muro per impedire un loro rientro. Così, mentre altre nazioni, come ad esempio la Spagna e il Portogallo, valorizzano le proprie comunità all’estero con politiche orientate a reintegrarle nel tessuto sociale del paese per frenare la caduta demografica interna a causa del progressivo invecchiamento della società, e per rivitalizzare le aree geografiche condannate allo spopolamento; l’Italia approva leggi restrittive che alimentano la disaffezione.
Recentemente il presidente del Consiglio Regionale dell’Abruzzo, Lorenzo Sospiri, e il vicepresidente della Giunta Regionale abruzzese, Emanuele Imprudente, hanno coinciso nel sottolineare che le nostre comunità all’estero sono “i veri ambasciatori della regione Abruzzo e dell’Italia”. Non l’avrebbero detto se non lo credessero veramente. E poi il presidente Sospiri non avrebbe ammesso che “in Abruzzo sono migliaia le seconde case appartenenti ad emigranti” e che sono “tanti i borghi rivitalizzati dal ritorno degli emigrati e dal turismo delle radici”. Insomma, le regioni di forte emigrazione, probabilmente tutte, compresa l’Emilia-Romagna che ha uno sviluppo economico trainante, sono coscienti di quanto importante sia l’emigrazione storica per l’economia regionale, e ancor più quanto lo siano le nuove generazioni, che formatesi nelle migliori università in Europa e in America, rappresentano una ricchezza.
Spagna e Portogallo cercano oggi di attrarre i propri concittadini, i loro figli, i nipoti ed anche i pronipoti, in particolare ricercatori, scienziati, professori, manager, che oggi vedono minacciato il loro futuro professionale negli Stati Uniti. Lo fanno con uno sguardo lungimirante e, perché no? anche interessato. L’Italia ha deciso di percorrere la strada opposta.
Tutto ciò rende evidente lo scollamento tra il governo e la nostra regione, con una ricaduta negativa anche su tutte le altre. Queste leggi, infatti, non colpiscono solo i nostri giovani e le generazioni future ma anche tutte le regioni. Se il governo insiste sulla stretta sulla cittadinanza, se continua a considerare i nostri giovani una fonte di problemi e non una possibile soluzione a tanti di essi, tra pochi anni le nostre comunità all’estero saranno pressoché inesistenti e irrilevanti. Lo saranno anche i Comites, i Cgie e i nostri deputati e senatori eletti all’estero.
Quindi, che la nuova legge sulla cittadinanza sia il tema principale di riflessione nella prossima Plenaria del CGIE, che si terrà a Roma dal 16 al 20 giugno, non deve meravigliare. Sarà l’occasione per una profonda riflessione da fare insieme ai rappresentanti del Governo. Pochi, però, nutrono la speranza di un ripensamento, di un dietrofront, o almeno di emendamenti che riconoscano le nuove generazioni come un patrimonio e una risorsa per il Paese più che una gravosa “zavorra” di cui doversi liberare.
Mauro Bafile