Mentre in altri paesi si prendono provvedimenti per facilitare l’acquisto della cittadinanza alle prime, seconde, terze, quarte generazioni, in Italia si votano, e probabilmente si approvano, leggi che si propongono l’obiettivo opposto.
Dopo il voto del Senato, l’approvazione del Decreto-Legge che restringe il riconoscimento della cittadinanza pare inevitabile. Il provvedimento, che dovrà essere convertito in legge nei prossimi giorni, è stato fortemente contestato dalle comunità italiane all’estero, dai Comites e dal CGIE. Un coro di proteste rimasto inascoltato.
Il Governo ha giustificato l’ingiustificabile sostenendo che il Decreto-Legge restrittivo risponde alla necessità di frenare “l’incremento esponenziale” di discendenti d’italiani che fanno richiesta della cittadinanza, un fenomeno presente soprattutto in America Latina.
Sempre secondo il Governo, degli oltre 6 milioni di cittadini con passaporto italiano residenti all’estero, circa 4,4 milioni non sarebbero nati in Italia ma in paesi come Brasile, Argentina, Stati Uniti o Germania. Inoltre, esisterebbero milioni di italo-discendenti che potrebbero, con le loro richieste di cittadinanza, oberare di lavoro i nostri consolati ed esercitare pressioni crescenti sui servizi consolari. Un’ipotesi assurda, visto che anche in paesi come la Spagna, con una emigrazione assai recente, i nostri consolati fanno fatica a soddisfare le esigenze dei connazionali. Il problema non sono le nostre comunità che continuano a crescere, ma il numero dei funzionari che resta inalterato. Se, in alcune circostanze, non si arriva al collasso dei servizi consolari, è giusto riconoscerlo, è grazie all’impegno dei funzionari, troppo spesso ingiustamente al centro delle critiche.
E così, mentre in altri paesi si prendono provvedimenti per facilitare l’acquisto della cittadinanza alle prime, seconde, terze, quarte generazioni, in Italia si votano, e probabilmente si approvano, leggi che si propongono l’obiettivo opposto.
Come ha scritto nel suo editoriale Pietro Mariani, consigliere del CGIE ed ex presidente del Comites di Madrid, “la diaspora italiana è una risorsa immensa”. I nostri connazionali non solo hanno contribuito alla crescita economica e culturale dei paesi che hanno trasformato nella loro seconda Patria, ma s’impegnano tutt’ora, siano nati o no in Italia, alla diffusione delle eccellenze del Belpaese. La crescita dell’export, non siamo noi a dirlo ma i numeri a dimostrarlo, s’impone nelle nazioni in cui la presenza italiana e degli italo-discendenti è assai numerosa. Ne sono esempio paesi come il Brasile, l’Argentina, gli Stati Uniti, la Germania e, ora, anche la Spagna, in cui le iscrizioni all’Aire aumentano a un ritmo vertiginoso
Mentre da un lato si promuovono iniziative come il “Turismo delle Radici”, per incoraggiare le nuove generazioni a visitare i paesi e le città in cui nacquero e vissero i genitori, i nonni o i bisnonni; dall’altro si propongono provvedimenti il cui obiettivo è strappare quelle radici che sono alla base del senso d’italianità. Mentre altri paesi sono impegnati a frenare la crescita demografica negativa favorendo l’acquisto della cittadinanza ai loro discendenti e promuovendo il loro ritorno, in Italia si percorre il cammino opposto e si chiudono le porte.
Le nostre comunità sono una ricchezza incommensurabile e gli italo-discendenti sono uno strumento indispensabile di promozione del “made in Italy”. È importante ripeterlo. Sono una ricchezza per il futuro. Non rappresentano loro il problema, ma piuttosto una soluzione per molti dei problemi dell’Italia.
Mauro Bafile