Le uniche vie percorribili, per riscattare i valori democratici sono la protesta pacifica e la pressione internazionale. È soprattutto quest’ultima che ha il potere di cambiare la realtà politica in Venezuela
Non dimenticare. Non si può, non si deve. Il presidente della Repubblica, Nicolás Maduro, ha assicurato che consegnerà, per una approfondita e definitiva verifica, i verbali di tutti i seggi al Tribunale Supremo di Giustizia. E lo ha fatto. In qualunque altra nazione, in cui l’indipendenza del Poteri – leggasi Esecutivo, Legislativo, Giudiziario e, nei casi in cui è considerato tale, Elettorale – è rispettata, sarebbe sufficiente. Non in Venezuela. La ragione è semplice: non c’è potere dello Stato che non sia “contaminato” dal “chavismo”. Detto in altre parole, la cui sovranità non sia asservita, subordinata agli eccessi e alle deviazioni del potere. Quindi, qualunque giudizio espresso del Tribunale Supremo Elettorale non appare credibile. Il Consiglio Nazionale Elettorale, in un esercizio di trasparenza reale, dovrebbe rendere pubblici i verbali, come era prassi democratica 25 anni fa, quando l’alternanza al potere era la consuetudine. È ciò che chiede la comunità internazionale ed è ciò che chiedono tutti i venezuelani.
C’è chi ancora oggi, nel XXI secolo, avendo perso fiducia nella forza del voto, suggerisce vie alterne, scorciatoie improponibili per permettere al Paese di riprendere il sentiero democratico. La cospirazione non è la soluzione. Oggi ne soffriamo le conseguenze. Il “chavismo”, è vero, è stato la reazione ad una classe dirigente, a un insieme di partiti che non erano riusciti ad evolvere allo stesso ritmo della società e che non furono in grado di interpretare il “nuovo tempo” per proporre progetti innovativi. Ma anche vero che la cospirazione dell’estinto presidente Hugo Rafael Chávez Frías, terminata con il fallito colpo di Stato del 1992, fu sostenuta da correnti e interessi legati a settori economicamente forti e reazionari che poi finanziarono anche l’avventura elettorale del Tenente Coronello. Alcuni dei responsabili della scalata al potere del “chavismo”, oggi, vivono all’estero in un “esilio” dorato.
Le uniche vie percorribili, per riscattare i valori democratici sono la protesta pacifica e la pressione internazionale. È soprattutto quest’ultima che ha il potere di cambiare la realtà politica in Venezuela. Oggi il Paese rappresenta un pericolo per gli equilibri geopolitici della regione, per lo sviluppo democratico del continente e per la crescita economica dell’America Latina. Non è un caso che il Brasile di “Lula”, la Colombia di Petro e il Messico di AMLO oggi abbiano chiesto all’unisono al presidente Maduro di dimostrare, con prove e non solo a parole, il trionfo elettorale. Non lo è neanche che il giovane presidente cileno, Gabriel Boric, non abbia riconosciuto la vittoria elettorale del presidente Maduro o che anche la più stretta alleata del “chavismo”, l’ex presidente argentina Cristina Fernández de Kirchner, abbia chiesto che si rendano pubblici i verbali delle elezioni, in un gesto di trasparenza democratica.
Il Venezuela è il crocevia di interessi economici, politici e geopolitici. È la porta al Sudamerica per la Spagna e l’Unione Europea per i quali rappresenta un mercato potenziale di circa 700 milioni di consumatori se si riuscisse a promuovere la crescita di una classe media agiata e il consolidamento di una rete industriale moderna. È di grande interesse per la Cina che, più pragmatica, punta alle materie prime di cui è ricco il Paese. Il Venezuela non solo possiede le più cospicue scorte di petrolio del mondo ma ha anche giacimenti ricchissimi di oro, diamanti, ferro, litio e, soprattutto, coltan, considerato il petrolio del futuro, materiale indispensabile per la fabbricazione di condensatori, console per videogiochi, microchips,sistemi di posizionamento globale, satelliti, missili tele-diretti, apparati di microelettronica e via di seguito. È anche un’area di grande interesse geopolitico per la Russia, essendo a pochi chilometri a sud degli Stati Uniti e a nord del Sudamerica. Tutti, quindi, dovrebbero avere interesse in una transizione pacifica verso un sistema di governo democratico che assicuri la stabilità politica, la governabilità, lo sviluppo economico e il benessere sociale che il “chavismo” non può garantire. Stabilità, governabilità e benessere sociale che eviterebbero un nuovo esodo di venezuelani verso i paesi della regione. Una nuova ondata di migranti, come quella vissuta negli ultimi anni, moltiplicherebbe le difficoltà di accoglimento che oggi hanno Colombia, Cile, Ecuador, Perù, Brasile, solo per nominare alcuni paesi sudamericani. Creerebbe problemi di convivenza a nazioni europee, come Spagna, Italia, Germania o Inghilterra, che sono le mete più gettonate.
La solidarietà internazionale oggi è l’unica chiave per aprire in Venezuela la porta verso una democrazia, forse imperfetta ma perfettibile. Le manifestazioni di protesta di una popolazione esasperata e allo stremo, terrorizzata da una repressione sempre più violenta non sono sufficienti. Il mondo non può restare indifferente a quanto accade nel Paese. La pressione internazionale non deve cessare.
Mauro Bafile