“Naranjo esquina”, l’antiromanzo di Fabián Soberón

La copertina del libro

BUENOS AIRES.- Dal titolo, Arancio Angolo, Naranjo Esquina, (edito dall’Ente culturale Tucumán), ci stupisce. Nella sua apparente mancanza di concordanza sintattica, nel mistero sottostante. Il che si completa con l’illustrazione della copertina di Pablo Iván Ríos- una sorta di Hopper creolo, che ritratta una patetica stazione di servizio, avvolta in una nuvola di agonia.

Così, dall’inizio, entriamo nel clima di questo libro. È un romanzo? È una sequenza concatenata di storie? È una cronaca? È finzione?

Fabián Soberón rompe le strutture dei generi, i cliché. Come Cortázar con Rayuela, però in altro modo, inventa una categoria letteraria diversa, nella quale il libro si legge come un romanzo, ma anche come una catena di racconti con personaggi comuni, le cui storie si vanno intrecciando.

Pare che Arancio Angolo sia il nome reale di un paese del sud di Tucumán, una ex posta coloniale. Ma non il luogo dove si svolge l’azione (le azioni). Nella nostra lettura scopriamo che si tratta di un paese immaginario. Né Macondo, né Shambala, bensì un desolato “paese piccolo, inferno grande” del nord ovest argentino, dove succede e successe di tutto. C’è un narratore, un giornalista, Augusto Rodríguez, originario del posto, che arriva lì per cercare una risposta ad una inquietudine. Gli abitanti sono personaggi tra il surreale e il reale galleggiando tra la vigilia e i sogni.

Probabile alter ego di Soberón, il giornalista Augusto si trova con un paese dove permane una storia complessa (le crudeltà di un genocida, supposto clone di Bussi ), uomini e donne sofferenti, mutilati, saggi e bizzarri, reazionari, anarchici, mistici, antieroi in qualsiasi paraggio insulare come quello. 

 

Fabián Soberón (Foto Pablo Masino)

 

“Dipingi il tuo villaggio e dipingerai il mondo”

-disse Tolstói. Dipingi Arancio Angolo e dipingerai la repressione, l’omofobia, i pregiudizi, gli eroismi, le piccole grandi cose che succedono senza succedere o che quando succedono si trovano in stato latente, come se non fossero successe.

Lo stile di Fabian Soberón è sensoriale, colorato, con un chiaro nucleo poetico. Le sue descrizioni sono molto visuali. Si avvertono le doti di cineasta dell’autore.

Raccomando con grande convinzione questo libro perché per me, esprime in maniera compiuta la definizione che Milan Kundera diede del romanzo. (e anche dell’ “antiromanzo”, come questo). Cos’è un romanzo? “E’ la grande forma della prosa, nella quale l’autore, mediante eghi sperimentali (personaggi) esamina fino al limite alcuni dei grandi temi dell’esistenza (…) il romanzo è poesia antilirica”.

(Alina Diaconu, traduzione Silvana Medici)

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