Bendaud (Comites Israele): “Mobilitati per aiutare gli italiani”

(ANSA)

MADRID – “Vivo in Israele da circa 15 anni. In passato ci sono stati momenti difficili, come lanci di missili dalla Striscia di Gaza verso Israele. Ma quanto accaduto a sud del Paese è stato apocalittico. Siamo stati svegliati sabato alle 6,30 del mattino dalle sirene. Hanno suonato in tutto Israele, dal nord al sud. Ci siamo svegliati di soprassalto, sorpresi. In genere, soprattutto nel sud, c’è una ‘escalation’ lenta della violenza che poi sfocia in eventi importanti. In questa occasione non è stato così. È stato sferrato un vero e proprio attacco. Ci siamo trovati improvvisamente nella necessità di correre ai rifugi. Io ho tre bambini”. Lo racconta Alik Bendaud, con cui conversiamo telefonicamente. È il presidente del Comites d’Israele, un paese in guerra permanente.

Ebrei e Palestini si contendono un fazzoletto di terra dal 1947, da quando l’Onu, con l’approvazione della risoluzione 181 (il piano di spartizione della Palestina) indicò la strada da percorrere. Da allora, quel lembo di terra che lo storico Yuval Noah Harari definì “il ring del mondo” continua ad essere lacerato dalla violenza. Ebrei e Palestinesi non riescono a intendersi, a convivere. Il clima è di “guerra” permanente. E la guerra, si sa, solo alimenta rancore, odio e violenza. La pace, dopo la crudeltà ingiustificata di sabato scorso, è più lontana.

Arik Bendaud, presidente del Comites d’Israele

– Il Segretario del Comites,  Davide Levy, abita un po più a sud – prosegue nel suo racconto  Bendaud -. Un missile è caduto a 100 metri da casa sua. Ha vissuto in prima persona l’orrore di sabato scorso. Quello che sta accadendo credo che sia apparso su tutti gli organi di stampa: centinaia di morti, migliaia di feriti e tante persone rapite. Il cugino di un mio cognato, che non è italiano, al momento è disperso. Temiamo che sia stato portato a Gaza.

Quasi mille morti nello Stato ebraico; più di 700, tra cui quasi 150 bambini nella Striscia di Gaza. Sono cifre in continuo aumento. Specialmente a Gaza, dove i bombardamenti indiscriminati continuano. A questi, poi, bisogna aggiungere il blocco totale annunciato dal ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant: niente più forniture di elettricità, cibo e carburante ad una popolazione che da anni vive in una prigione all’aria aperta. Una crisi umanitaria senza precedenti, se il “blocco totale dovesse prolungarsi”, sarà inevitabile.

– Ovviamente, dopo decenni di violenza siete organizzati, avete rifugi dove proteggervi dai missili?

– Israele, purtroppo – commenta -, è un paese abituato a queste emergenze. Le abitazioni moderne, quelle costruite nelle ultime decine d’anni, hanno un rifugio sicuro, una stanza nella quale proteggersi. Non è il mio caso. Vivo in un palazzo degli anni 80. C’è un rifugio nel parcheggio. È lì dove, con il resto degli inquilini del palazzo, cerchiamo protezione quando suona la sirena. Ci sono casi in cui le persone devono correre ai rifugi pubblici. È possibile che non se ne abbia il tempo. Allora si può solo pregare e sperare  che tutto vada bene.

Come ci illustra Bendaud, gli italiani in Israele, secondo l’Ambasciata e il Ministero degli Esteri, “sono attualmente circa 21mila: poco più di 17 mila nella circoscrizione di Tel Aviv e oltre i tremila, in quella di Gerusalemme”. Nel portale del Comites di Israele (http://www.comites.org.il/) si legge che “nel 2012 vi erano circa 15.000 cittadini italiani in Israele – tra cui diverse migliaia originari di Libia, Turchia, Grecia, Egitto, Tunisia – oltre a circa 3.000 non-cittadini immigrati dall’Italia e ad altri 7-12.000 membri delle rispettive famiglie, per una popolazione allargata totale di 25-30.000 persone”

–  Che notizie avete di chi vive vicino alla frontiera con la Palestina…

– Siamo a stretto contatto con loro perché due nostri consiglieri, Davide Levy e Gemma Nero, vivono nel sud d’Israele e ci aggiornano sulla situazione. Stanno vivendo un momento particolarmente difficile perché loro, quando scatta la sirena, hanno pochissimi minuti per recarsi ai rifugi. C’è tanto stress. È probabile che questo sia l’inizio di una guerra lunga. Non sarà cosa di una o due settimane come in passato.

Servizi di assistenza per i connazionali

Rispondendo ad una nostra domanda, spiega che il “Comites sta organizzando un servizio di assistenza per gli italiani”. Si tratta in particolare di “supporto psicologico”. Inoltre, “è stata aperta una linea, per fornire assistenza a chi ne avesse bisogno”.

– Stiamo anche organizzando attività di aiuto a livello di ospitalità – prosegue -, per quelle persone che vengono dal sud. C’è tanta gente sfollata.

Non manca un suo legittimo sfogo:

– Credo che sia importante dire che tanti paesi in Europa, nel mondo, hanno fornito e forniscono aiuto finanziario ad Hamas. Spero che ci si renda conto che bisogna aiutare le persone giuste, non organizzazioni terroriste.

– Ci sono giovani italo-israeliani tra i riservisti richiamati dall’esercito?

– Si, molti giovani che conosco sono stati richiamati – commenta -. Non faccio nomi per ragioni di sicurezza. Amici e conoscenti che si erano recati in Italia, per le festività ebraiche, sono stati richiamati per andare al fronte sud. Alcuni già ci sono.

Bendaud ci conferma che il Comites “è in contatto con l’Ambasciata” e che ancora tante persone sono in attesa di lasciare il Paese.

–  Tante compagnie aeree, tra cui anche Ita, hanno annullato i voli. Di conseguenza ci sono persone bloccate in Israele. Vogliono andare via, soprattutto per i bambini. È un dramma.  I miei figli – ci dice con un tono di voce che tradisce preoccupazione e commozione – ora stanno dormendo, ma hanno tanta paura.

Segre: “La tensione si taglia col coltello”

Claudio Segre

Claudio Segre è il membro di maggior età del Comites d’Israele. Ha 80 anni e, confessa, che pensava  “di appartenere ad una generazione fortunata, per vivere in un mondo di pace”. Risiede a Tel Aviv.

– Come ha vissuto questi ultimi giorni?

–  Molto, molto male – confessa -. Siamo tutti molto preoccupati. Abbiamo vissuto giorni tra  le sirene, correndo su e giù. Ho la fortuna di vivere in un edificio nuovo; quindi, ho la “stanza di sicurezza” in casa. Chi vive in palazzi meno moderni non l’ha. Deve correre o nelle scale o nelle cantine, in cerca di rifugio.  É una vita molto difficile. Dopo due giorni, sono uscito. Gli unici negozi aperti sono quelli alimentari e le farmacie. Gente in giro non se ne vede. C’è una tensione che si taglia col coltello.

 – Da quanti anni vive in Israele?

–  Da 7 o 8 anni . Sono un “giovane” emigrato.

–  Come mai è emigrato?

– Mio figlio, la sua famiglia sono qui in Israele – spiega – . E poi, una certa forma di sionismo l’ho sempre avuta, sia per educazione sia per cultura. Sono un laico, non un religioso.

– Integrato nella Comunità israeliana…

– Eh sì, assolutamente – afferma -. Non sono solo parte della comunità italiana emigrata in Israele,  vivo tra gli israeliani.

– Situazioni come queste lei non le aveva mai vissute prima…

– Ho 80 anni – ci dice -. Non credevo mai di vivere una situazione simile.

Ascoltiamo il suono attutito di una sirena. Si fa il silenzio. Poi, un sospiro di sollievo

– L’ha sentita? – ci chiede Segre -… la sirena … per fortuna non è un allarme di missili.

– Cosa ha pensato quando ha sentito la sirena, sabato mattina…

– È stata una triste sorpresa. Dormivamo, erano le 6:30 del mattino. Sentita la sirena, ci siamo precipitati nella stanza di sicurezza. Ero in pigiama .

– Com’è questa stanza di sicurezza?

– È costruita tutta in cemento armato – spiega -. Ha una finestra con una tapparella di piombo e una porta assai simile a quella delle casseforti, molto pesante. C’è poi un sistema di ventilazione controllata.

– È una zona molto sicura.

–  Sì, sì. molto sicura.

– Ha conoscenti che vivono nelle zone vicine alla frontiera con la Palestina, vicine a quelle che sono potenziali teatri di guerra… dove ci sono stati gli scontri a fuoco?

–  Ho molte conoscenze che vivono lungo il confine col Libano ed altre lungo il confine a sud – illustra -. Oggi stanno molto male. La paura è che ci siano ancora infiltrati palestinesi. Sono chiusi in casa. Non possono uscire. Purtroppo, ci si è dimenticati di cos’era l’Isis. Hamas è l’Isis in Medio Oriente.

– Lei forse può vedere quanto sta accadendo con maggiore distacco, c’è possibilità di trovare una soluzione al conflitto?

– Certo, basta non alimentare continuamente l’Isis, con mezzi economici di sostentamento – risponde con veemenza -, non alimentare le frange estremiste che incitano  all’odio. Siamo tornati alle guerre di religione.

Gli italiani in Israele

Torniamo a parlare degli italiani: dove vivono, in cosa lavorano? Segre ci fa una fotografia, abbastanza nitida, della nostra comunità residente in Israele

– Un numero abbastanza importante di connazionali vive a Gerusalemme e a Tel Aviv. Anche ad Haifa. Il resto è distribuito un po’ ovunque. Molti sono venuti per idealismo. Vivono nei Kibbutz; quindi, in aree vicine ai confini del nord e del Sud.

Spiega che la nostra comunità è molto variegata: va dai consulenti ai commercianti; dai professionisti ai professori universitari e scienziati.

– Impossibile incorniciarla in una certa maniera – sostiene per poi commentare:

– C’è un afflusso di giovani. Prima di questo governo di estrema destra, era un paese governato bene. Si viveva bene. Israele è un bel Paese e Tel Aviv è una città in cui c’è vita durante le 24 ore del giorno.

Sostiene che il governo attuale “non ha saputo interpretare le esigenze del Paese” e che Hamas “ha approfittato di questo suo momento di debolezza per attaccare”.

Gli interessati ad aiutare gli italiani che oggi, in Israele, vivono momenti terribili ed hanno bisogno della nostra solidarietà, possono scrivere a:[email protected]

Mauro Bafile

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